Paolo Petroni
Al Teatro dell'Opera di Roma

Nella rete di Figaro

Daniele Gatti e Mario Martone hanno diretto e allestito una bella versione del "Barbiere di Siviglia" di Rossini in "versione covid" e ripresa dalla tv. Un tra cinema e teatro, perfettamente riuscito: quasi un film sull'opera

Mille fili si intrecciano per tutto lo spazio del teatro Costanzi, calando dal loggione giù di traverso sino alle poltrone di platea creando una trama, una rete per il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini che apre la stagione di un’Opera di Roma vitale e che non si arrende, sotto la direzione di Daniele Gatti e con la regia di Mario Martone, che ha bella esperienza teatrale e cinematografica, per uno spettacolo televisivo, senza pubblico come accade di questi tempi pandemici. «Una rappresentazione dell’opera certamente unica, come il tempo nel quale stiamo vivendo», ha sottolineato il sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Carlo Fuortes. È nato così un lavoro libero dallo spazio del palcoscenico e ripreso tutto con tecnica sapiente, brillante e coinvolgente, facendo sì che questo tipo di rappresentazione di opera lirica sia qualcosa di nuovo che potrebbe non finire del tutto con la fine dell’emergenza Covid. Questo col sostanziale sostegno della Rai, che l’ha mandata in onda su Rai 3 e la ritrasmetterà su Rai 5 la sera di capodanno, il 31 dicembre.

La trama del teatralissimo libretto di Cesare Sterbini, ispirata all’omonimo testo di Beaumarchais, coincide proprio con la rete tra le cui maglie si muovono tutti i personaggi per riuscire a strappare dalle mani dell’anziano tutore Don Bartolo la sua giovane e bella pupilla Rosina, che lui vorrebbe impalmare, mentre lei si è innamorata dello sconosciuto giovane Lindoro, che la ricambia e alla fine si rivelerà essere il Conte d’Almaviva. E se Rosina è la prigioniera e perno dell’azione, l’altro protagonista è il barbiere Figaro, sicuro di sé, pronto a ingannare, tessere tele e sotterfugi perché il Conte possa realizzare il suo desiderio e sposare la ragazza. Così, alla fine sarà proprio Figaro a iniziare, seguito dagli uomini della Forza di polizia, a tranciare simbolicamente i fili che cadranno liberatori a terra all’unisono con le ultime note di Rossini. Altra scenografia, del resto, non c’è, e l’azione spazia come fosse un set cinematografico per il palcoscenico e tutta la platea, con sforamento nei corridoi e, all’inizio, esterni con l’arrivo in teatro in moto di Gatti e Figaro, che inizia a cantare col casco la sua celebre cavatina “sono un barbiere di qualità”, terminandola entrando poi in teatro.

Tanta ampiezza e libertà scenica permette alla regia di dare a tutti i personaggi, e mantenere, un ritmo che va di pari passo con quello della musica cui Rossini, con sapienza costruttiva e le sue invenzioni melodiche e armoniche, i contrasti tra i pianissimo e i crescendo, conferisce un movimento e una dinamica particolari e incalzanti di scena in scena. E allora si entra e si esce, si passa dall’essere tra le poltrone o in un palco al ritrovarsi sul palcoscenico che funge un po’ da casa di Don Bartolo, che Martone ha messo su una sedia a rotelle. Se quando arriva la Forza di polizia, questa compare in tutti i palchi di prim’ordine, come a circondare gli altri, quando il Conte e Figaro entrano di nascosto in casa di Rosina lo fanno calandosi con una scala dai palchi del piano superiore.

E le funi si fanno via via confini, balaustra, appoggio, corrimano, mentre nell’azione scenica la finzione convive con la realtà a vista dei cambi di costume (sostanzialmente tradizionali, firmati da Anna Biagiotti) o dei rumoristi che danno corpo al temporale del secondo atto. Al momento poi della finta febbre scarlattina di Don Basilio, ecco che irrompe il quotidiano del Covid e col termometro sulla fronte gli viene misurata la febbre e i personaggi che gli sono attorno indossano la mascherina e cantano con essa, come del resto la hanno da sempre in viso tutti gli inservienti e tecnici che appaiono via via, oltre al direttore Daniele Gatti e agli orchestrali, autori di un’esecuzione davvero di qualità, rigorosa, asciutta ma brillante e con una nota di divertimento che regge anche i momenti più esuberanti, come il finale del primo atto (anche se forse solo in qualche punto c’è televisivamente da correggere il livello del suono in trasmissione, che capita sovrasti troppo quello dei cantanti). Il coro invece era diretto da Roberto Gabbiani.

Naturalmente una ripresa cinematografica o televisiva che sia, con i suoi tanti stacchi, tra visione generale dei piani lunghi e molti, inevitabili primi piani in tale ricchezza di azione ha bisogno che i cantanti siano anche attori, e Martone è riuscito a ottenerlo un po’ da tutti, con alcuni davvero bravi come Alessandro Corbelli (Don Bartolo dal bel pigio come sempre anche vocale) e Patrizia Biccirè (la serva Berta). Ma credibili riescono a essere anche Vasilisa Berzhanskaya, con gli stupori di una Rosina dalla bella voce un po’ scura cui però mancava una nota più seduttiva, o il vitale e sornione Figaro di Andrzej Filończyk, di una bravura che evita gli eccessi per farsi naturalezza. Con loro sono Ruzil Gatin nei panni del Conte d’Almaviva, vocalmente non al massimo (tanto che gli è stata tagliata l’impegnativa aria finale) e Alex Esposito il maestro di musica Don Basilio pronto a vendersi al miglior offerente. E Tutto, per l’assenza di applausi, finisce in un silenzio che è rumorosissimo e sottolinea l’assurdo di un teatro fatto senza pubblico, il cui calore i quasi settecentomila che avrebbero assistito alla trasmissione tv, e forse per la prima volta positivamente scoperto l’opera lirica, comunque non rimpiazzano. 

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