Gianni Marsilli *
Cartolina da Parigi

Giscard di Maggio

Europeista e intellettuale, introdusse in Francia l'aborto e cancellò la censura; era di destra ma non piaceva ai gollisti: ritratto di Valery Giscard d’Estaing, l'ex presidente appena scomparso. «Peccato non sappia che la Storia è tragica», disse di lui André Malraux

In Francia la “particule” ti rende la vita difficile. Non la vita privata, in genere assai agiata per via ereditaria, ma quella pubblica. La “particule” è il “de” davanti al cognome. Solo De Gaulle, per la sua indiscutibile stazza militare e politica, non venne sbertucciato. Lazzi e frizzi hanno invece sempre sommerso Valery Giscard d’Estaing, da pochi giorni scomparso. Certo, lui ci metteva del suo. Alto, sportivo, elegante, colto, narciso, navigato, ovviamente chatelain, castellano: un bersaglio ideale. A suo agio nei safari africani e nei più esclusivi salotti parigini, e ancor di più al tavolo dei Grandi. Di lui si sa più o meno tutto: dalla presidenza “moderna e liberale” ai diamanti di Bokassa alla legge sull’aborto all’impegno europeista, tutto è stato ricordato in questi giorni. Si può dire che, quantomeno, l’uomo non porta con sé le inquietanti e fascinose zone d’ombra inumate, per esempio, con la salma di François Mitterrand, e che all’ombra resteranno nel piccolo cimitero di Jarnac nella Charente Maritime.  No, Giscard non cela misteri. Fin da quell’alba parigina quando alla guida della Ferrari che gli aveva prestato Roger Vadim e reduce da un incontro galante, incocciò di brutto, lui presidente in carica da pochi mesi, il camioncino di un innocente lattaio. Infedele? Sì, ma marito devoto.

Può essere interessante, allora, fare un’escursione in quegli anni ’70 che lo videro protagonista, in Francia e non solo. Diventò presidente nel ’74, a soli 48 anni, succedendo a Georges Pompidou, che un tumore aveva prematuramente sfrattato dall’Eliseo. Pompidou aveva operato nel solco del Generale, ma innovando nello stile. Amava l’arte astratta e credeva nella dinamica industriale. Si deve a lui il Beaubourg, che i detrattori chiameranno “la raffineria”, per via dell’incrocio di tubi che si erge in pieno centro parigino. Ma in quegli anni quel tocco di modernità non bastava ad una Francia che viveva un doppio “dopo”: dopo De Gaulle, ma anche dopo il Maggio. La rivolta del ’68 ne era uscita politicamente sconfitta, la destra era ancora saldamente al potere, anzi ne era uscita rafforzata. Ma il Maggio aveva reso la società molto più esigente, soprattutto sul piano dei diritti, e Giscard l’aveva capito, affrancandosi dal gollismo della tradizione e guardando piuttosto al centro dello scacchiere politico. Vinse, e inaugurò il suo mandato risalendo gli Champs Elysées a piedi anziché in automobile. Era una bella giornata di maggio e portava un vestito grigio chiaro, anziché le grisaglie dei suoi predecessori. La Francia adora i simboli, e lui cominciò offrendone come fossero mazzi di fiori. Mitterrand, sette anni dopo, sarebbe andato al Pantheon a rendere omaggio con grande solennità ai “grands hommes”, portando una rosa rossa sulle loro tombe. Giscard no, lui si era voluto alla mano, poche cerimonie, abiti sportivi per un messaggio di stampo kennedyano, inedito per la “vieille France”. Poi, assai rapidamente, passò ai fatti.

Giscard d’Estaing con Jacques Chirac

Cominciò abbassando il passaggio alla maggiore età a diciott’anni. Continuò introducendo, e affidandone la tutela politica a Simone Veil, il diritto all’aborto. E poi via la censura che opprimeva l’espressione cinematografica, e anche letteraria. E la riforma dell’Ortf, la radio televisione nazionale, che perderà il suo monopolio assai asfissiante. Giscard promuove e incoraggia le riforme. Rimane ancorato alla destra, ma le toglie parecchie ragnatele. Si muove sul piano internazionale, introduce il G5, che diventerà G6, e via dicendo. È un tecnocrate, crede fermamente nella libertà d’impresa e in un’Europa liberale e liberista.

I gollisti, passabilmente statalisti in nome della “grandeur”, cominciano a guardarlo con sospetto. Il primo ministro Jacques Chirac lo pianta in asso dopo due anni: caso unico, di solito è il presidente che licenzia il suo primo ministro, non il contrario. E, in vista della scadenza elettorale dell’81, Chirac prende la testa del nuovo partito gollista, detto Rpr, “Rassemblement pour la Republique”. Giscard la prese male e parlò sempre della “trahison”, il tradimento. E 15 mesi fa, ai funerali di Chirac, ascoltando l’Impromptu di Schubert s’interrogò a voce alta: «Perché la suonano qui? È il mio pezzo preferito». Gli astanti giurano che ghignasse. Elegantemente, ma ghignava.

Perse nell’81 perché la destra era divisa dietro di lui, e la sinistra unita dietro Mitterrand. Si considerò tradito, ancora una volta: la Francia l’aveva messo alla porta a soli 55 anni. Ritrovò autorevolezza internazionale quando guidò i lavori che avrebbero dovuto partorire la nuova costituzione europea. Era tranquillo nell’aprile del 2005, quando i francesi furono chiamati al voto per il referendum. Nessun dubbio, avrebbero votato per la nuova Europa che lui aveva congegnato. Invece no, i francesi votarono contro, tradendolo una seconda volta. Si dedicò alla letteratura, ma a detta dei critici gli mancava la stoffa. L’impietoso giudizio non gli impedì di pubblicare ben cinque romanzi, uno più brutto dell’altro. Forse aveva avuto ragione molti anni prima André Malraux, che così si era espresso: «Il problema di Giscard è che non sa che la Storia è tragica».


*Con questo articolo Gianni Marsilli, esperto di politica internazionale, da anni corrispondente dalla Francia, inizia la sua collaborazione con Succedeoggi.

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