Gianni Marsilli
Dietro le quinte d'Europa

Conoscete Michel Barnier?

«Non sono un eurocrate, sono un politico»: così dice di sé Michel Barnier, uomo schivo e grande mediatore. Se la Brexit non sarà un disastro (per gli inglesi e per gli europei) sarà merito suo. Vediamo chi è e quale è stata la sua strategia

Segnatevi questo nome: Michel Barnier. Alcuni sanno perfettamente chi sia, altri ne hanno sentito parlare, ma per il grande pubblico europeo è uno sconosciuto. E sta sulle scatole a un sacco di gente. Lo snobba per esempio il milieu politico parigino, per il quale è sempre stato un provinciale: arriva dalla Savoia, insomma scende dai monti. Non frequenta i salotti, non gli interessano i diners en ville, le relazioni privilegiate. Ai giornalisti non regala mai la frasetta piccante, mai che cerchi un titolo di giornale, un momento in tv. Parla solo dei dossier che conosce, una noia. Nasce a destra, gollista “sociale” folgorato all’età di sedici anni, nel ’67, dall’immagine del Generale che riceve all’Eliseo il cancelliere Konrad Adenauer. È una fotografia che da quella volta campeggia sempre nei suoi diversi uffici. Non discende da lombi illustri né particolarmente fortunati: papà fabbricava scrigni per gioielli, la mamma era cattolica praticante e nutriva simpatie verso la sinistra.

Non piace alla sua destra quel suo modo di comporre i conflitti. In Francia vige il muro contro muro: o di qua o di là. Vale per le forze e le dinamiche politiche e anche per le relazioni sociali. Prima ci si bastona, poi eventualmente si apre un tavolo di negoziato. Ecco, Michel Barnier non opera in questo modo. Costruisce consenso, è un tessitore paziente. Quattro volte ministro con tre presidenti diversi: Mitterrand ai tempi della coabitazione, poi Chirac e infine Sarkozy. Dicasteri assai pesanti: ambiente, affari europei, esteri. Ma soprattutto due volte commissario europeo. La prima con Romano Prodi presidente della Commissione, dal ’99 al 2004, per le politiche regionali. La seconda con José Manuel Barroso, dal 2010 al 2014, per il mercato comunitario. Fu allora che i britannici cominciarono a prenderlo di mira, poiché voleva porre limiti alle scorrerie della finanza. Memorabile una prima pagina del Daily Telegraph con la sua foto sormontata da un titolo che non lasciava adito a dubbi: «Questo è l’uomo più pericoloso d’Europa». WANTED, in una parola.

Michel Barnier

Nel 2016 Jean Claude Juncker, presidente della Commissione, si trovò tra i piedi una grana gigantesca, esplosiva. In quel giugno un referendum aveva decretato l’abbandono dell’Unione europea da parte del Regno Unito, divorzio noto come Brexit. Si trattava di negoziare la partenza di Londra, con tutto il suo carico di condizioni politiche, commerciali, doganali, persino di delicatissima frontiera, quella irlandese. Juncker consultò, e ne trasse la convinzione che Michel Barnier fosse l’uomo giusto. E così fu. Da quasi cinque anni Barnier telefona regolarmente a 27 capi di governo per metterli al corrente dei passi avanti, e soprattutto indietro, che compie il negoziato. Proposte e controproposte sono passate al vaglio comunitario nella sua massima espressione. Barnier costruisce passo passo le condizioni della fiducia nei suoi confronti. Senza illusioni: dice subito che, se accordo ci sarà, sarà un accordo “loose-loose”, altroché win-win”. Tutti perdenti, con la Brexit.

Dopo quattro anni e mezzo si arriva al dunque. Dice oramai Barnier che «ci resta solo qualche ora utile» per trovare un’intesa. Altrimenti ci si lascerà con un «no deal», che significa tornare agli scambi secondo le regole del Wto, cioé dentro un ginepraio di tariffe doganali e di quote. Come nei rapporti con le Filippine, o l’India, o il Giappone. Barnier aveva posto subito i paletti. Volete libero accesso ai mercati comunitari? Bene, ma allora non potete pretendere l’esclusività della pesca nei vostri mari, per esempio, dove operano francesi, olandesi, spagnoli. Non potete avere la botte piena e la moglie ubriaca, il libero accesso ai nostri mercati e la totale sovranità sul vostro. La forza di Barnier è stata di assicurarsi della compattezza dei 27. Il suo interlocutore, il tosto David Frost, non ha trovato varchi polacchi, o cechi, o ungheresi (anche perché i vantaggi che offrono i fondi comunitari non soffrono alcuna concorrenza).

Dice Barnier che «nel 2050 né la Francia né la Gran Bretagna e neanche la Germania saranno più nel G7. Ne deriva che non abbiamo altra scelta: essere patrioti ed europei». Il patriottismo sono le radici storiche, linguistiche, culturali, il resto sono fesserie: o la forza è europea oppure non c’è. Barnier tiene a dire anche un’altra cosa, le rare volte che parla di sé: «Non sono un tecnocrate bruxellese, un eurocrate, io sono un uomo politico». Ha una direzione di marcia, quella europeista, ed è stato abbastanza scaltro da assicurarsi due solide stampelle, di nome Macron e Merkel. Comunque vada a finire il 31 dicembre, l’Europa avrà avuto a quel difficilissimo tavolo un alfiere di gran classe.

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