Gabriella Sica
Lettera a un giovane poeta

Coltivare la pagina

La destinataria è Giuseppina Biondo, autrice della raccolta “La contadina”, «un libro frugale, tormentato e fragrante, che a volte si ritira su un suo ritmo breve e sincopato, a volte si distende in versi lunghi…»

Gentile Giuseppina Biondo,
stamani appena sveglia ho letto il tuo libretto frugale, tormentato fragrante dall’immaginifico titolo, La contadina (puntoacapo CollezioneLetteraria). Mi incuriosiva la poesia di una trentenne, che si affaccia con piglio e con pudore sulla scena letteraria. Fatto questo che è già un fatto oltre che un piccolo mistero. E mi incuriosiva per quel titolo tanto brillante ai miei occhi, dal momento che i contadini nella mia infanzia hanno segnato la mia immaginazione e ho sempre pensato che in fondo i versi non sono altro che la ripetizione dei loroversi: seminare, coltivare e raccogliere in quel vertere sia la terra che la pagina con sapienza, coraggio e tenacia. Solo i contadini e i poeti conoscono la vera sapienza. Tra i miei titoli c’è Il contadinoLa vangaC’erano i contadini ma non ero arrivata a scrivere La contadina. Mi mancava e ci voleva, mai come in questo tempo del terribile morbo in cui si può capire più a fondo l’importanza e la centralità di chi lavora la terra e la poesia e lavorando seminare. Non che tu faccia la contadina anche se coltivare un giardino è, dopo scrivere, la cosa più bella che ci possa capitare. Il fatto è, come scrivi bene, che: “Contadina anche sono del mio tempo”. 

Scrivevo dunque de La contadina, un libro frugale, tormentato e fragrante, che a volte si ritira su un suo ritmo breve e sincopato, a volte si distende in versi lunghi che arrivano a fine riga. C’è il tomento dell’amore che rimane sempre incomprensibile e dunque indicibile. Se ne può dire solo i contorni sfumati, fragili, vulnerati di quello che è la tempesta d’ogni amore. E c’è il tormento dei luoghi, quell’oscillare tra due poli opposti dell’Italia, Mazara del Vallo e Milano, così lontani e diversi, eppure quasi specchianti, in quella stessa lettera iniziale di un nome trisillabo, quasi uno spostamento del corpo rimanendo ferma. Non si sentono i dondolii della nave, lo sfrecciare dei treni, ma si possono immaginare in quell’andare lento da un capo all’altro dell’Italia, dalla terra natia alla terra della crescita culturale e magari professionale verso l’enigmatico accelerato destino, nella speranza che non sia il più ingannevole ma il più generoso, cosa, quest’ultima, che auguro sentitamente.

Frugale perché l’io non ostenta, non pretende, non s’impanca. E meglio si potrebbe riconoscere a questi versi una frugalità liquida che non sa di terra ma di mare, che non pensa tanto a mettere radici quanto a un movimento fluido, ondoso e magari trasformativo, sia in senso fisico (nei luoghi) che metrico (dalle forme più piccole a quelle più ampie di canto). E quando la frugalità si trasforma in furia esplosiva o soltanto in creatività, allora chiede aiuto e benevolenza agli alberi, ai lettori e alla poesia. 

Infine fragrante perché è un libro giovane, fresco, di buona premonizione, per te e per tutti noi. Ci siamo incontrate a Milano, alla presentazione del mio ultimo libro, insieme a Umberto Fiori, giusto un anno fa. Ci ritroviamo ora chiusi in casa, con il meraviglioso bene dei libri, tra cui il tuo, che mi porta anche Giuseppe Conte eccellente firmatario di una prefazione al libro di grande spicco e strepitoso auspicio, da tenere come amuleto. Facciamo i contadini su una pagina, sperando di farlo su un terreno a primavera.

Con tanti auguri da un’altra contadina navigata, 

Gabriella Sica

(Il disegno è di Michelangelo Pace)

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