Giuliana Bonanni
Finestra sul mondo

Il caso Douglas Stuart

Douglas Stuart con il suo “Shuggie Bain” ha vinto il prestigioso Booker Prize. Una storia nera (e autobiografica) di lotta e disperazione a Glasgow dedicata alla madre dello scrittore: «una lottatrice, presente in ogni pagina di questo libro, senza di lei non sarei qui»

Che gli inglesi scommettono su tutto, lo sapevamo. Su ogni tipo di sport, sulle elezioni politiche americane e perfino sulla scelta del nuovo papa. Quello che non sapevamo è che riescono a fare pronostici e puntare anche su chi sarà il vincitore di un premio letterario come il Booker Prize. (https://lithub.com/here-are-the-bookies-odds-for-the-2020-booker-prize/).  E i bookmaker hanno indovinato.

È stato proprio il grande favorito fra i sei finalisti, lo scozzese-americano Douglas Stuart con il suo romanzo autobiografico di esordio Shuggie Bain, ad aggiudicarsi il più prestigioso riconoscimento letterario inglese, la somma di 50.000 sterline e un successo editoriale assicurato. Il Guardian (https://www.theguardian.com/books/2020/nov/19/douglas-stuart-booker-voice-shuggie-bain), ci  descrive la storia del libro, i commenti della giuria ma soprattutto dà voce allo scrittore 44enne, nato e cresciuto a Glasgow , emigrato a New York a 24 anni per lavorare nel mondo della moda dopo una laurea al Royal College of Art di Londra.

«Sono cresciuto in un ambiente operaio, ho fatto altro nella vita e ho cominciato a scrivere tardi» racconta Douglas Stuart, che, come il protagonista del romanzo, ha conosciuto la povertà delle case popolari nella Glasgow degli anni ’80 con una madre single e alcolizzata di cui tentava di prendersi cura e di salvare. La caduta nella dipendenza dall’alcol della madre, nel romanzo e nella vita dello scrittore, va di pari passo con la scoperta della sua omosessualità e del bullismo che deve subire. «Una storia dura, i protagonisti che devono affrontare prove difficili e non c’è un happy ending ma ciò nonostante è una lettura che a suo modo ci dà una speranza e ci cambia in meglio» ha dichiarato Margaret Busby, editrice inglese e presidente della giuria del premio.

Il romanzo è dedicato alla madre di Stuart, morta per alcolismo quando lo scrittore aveva 16 anni, «una lottatrice, presente in ogni pagina di questo libro, senza di lei non sarei qui» dice, ringraziando «tutti gli scozzesi, specialmente quelli di Glasgow, il cui senso dell’umorismo, empatia, amore e capacità di lottare sono alla base del mio romanzo».

Il legame con la città e in generale con la cultura della sua terra è fortissimo ma, per molti anni, inconciliabile con la scelta di vivere negli Stati Uniti come «due capitoli non ricongiungibili». «A cambiarmi la vita – era il 1994 – è stato il libro di James Kelman How Late it was, how late, che quell’anno vinse il Booker, perché per la prima volta ho visto la mia gente e il mio dialetto nelle pagine di un romanzo» ha dichiarato, commosso, indicando il volume nella libreria alle sue spalle. Il racconto degli anni di formazione di Shuggie Bain parte da lì, con la riscoperta e l’innamoramento per la città, «una città ottimista per natura – dice – altrimenti come sopravvivere quando devi lottare sul fronte dell’esistenza e senza il conforto del denaro?».

Per scrivere Shuggie Bain, Douglas Stuart ha impiegato dieci anni, di nascosto e nei ritagli di tempo, soprattutto durante i lunghi viaggi aerei per lavoro. Il romanzo è stato rifiutato da 30 case editrici prima di essere pubblicato da Grove Atlantic negli USA e da Picador in UK. Stuart, dopo il premio, ha dichiarato che ora si dedicherà alla scrittura a tempo pieno e, a chi gli ha chiesto come impiegherà la somma vinta, ha risposto, scherzando: «I soldi mi servono per pagare la scommessa con mio marito; lui aveva puntato sulla vittoria, io no».

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