Francesco Arturo Saponaro
Notizie dalla Biennale Musica

Artaud rivisitato

Pregevole “I Cenci”, teatro di musica allestito da Giorgio Battistelli ispirato alla tragedia “Les Cenci” che l’autore francese presentò nel 1935 a Parigi. Leone d’oro alla carriera a Luis de Pablo, celebrato alla 64esima edizione veneziana appena conclusa, con l’esecuzione di sue opere

Si è appena chiusa, a Venezia, la 64esima edizione della Biennale Musica, festival internazionale di musica contemporanea. Era stata inaugurata dalla cerimonia di attribuzione del Leone d’oro alla carriera a Luis de Pablo. Decano dei compositori spagnoli, oggi novantenne (è nato nel 1930 a Bilbao, nella regione basca), Luis de Pablo è un’icona della musica del nostro tempo. Inizialmente autodidatta, e poi studente a Madrid, alla metà del secolo scorso Pablo, per liberarsi dall’atmosfera conservatrice che lo circonda, si impegna a conoscere e frequentare le personalità e i centri europei all’epoca più impegnati sul versante della nuova musica. Eccolo quindi in Francia e specialmente in Germania, dove negli anni Cinquanta e Sessanta la scuola di Darmstadt si impone come culla dell’avanguardia. E sulla base di queste sue esperienze estere egli si adopera instancabilmente per superare l’arretratezza e l’isolamento della vita musicale spagnola, sotto la dittatura franchista. Sicché già dagli anni Cinquanta, in patria, Pablo promuove associazioni e iniziative concertistiche, tese a diffondere la musica contemporanea, e anche a far conoscere altre realtà etnico-musicali extraeuropee. 

Di questa sua apertura culturale è specchio il fatto che circa tre quarti delle sue composizioni – il catalogo annovera oltre cento titoli – abbiano avuto la prima esecuzione fuori Spagna. D’altra parte, Pablo ha una significativa attività d’insegnamento in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, oltre che nel Conservatorio di Madrid. Con un idioma molto personale, Luis de Pablo compone in tutti i generi musicali e per ogni formazione strumentale, con larga universalità di tecniche e contenuti. Frutto, questo, delle ampie conoscenze che, fin da ragazzo, egli ha assorbito nella sua insaziabile curiosità che, oltre alle ricerche musicali, lo ha orientato a letture di storia, antropologia, arti figurative, etnomusicologia. Ecco perché composizioni e scritti di Pablo documentano una conoscenza enciclopedica delle diverse culture musicali, anche di epoche passate. 

Luis de Pablo

A celebrare il conferimento del Leone d’oro, la serata inaugurale è stata interamente dedicata a musiche di Luis de Pablo, con la prima esecuzione assoluta del Concerto per viola e orchestra, concepito nel 2018. Ne è stato interprete lo stesso dedicatario del pezzo, il violista irlandese Garth Knox – nella sua carriera è stato componente di insiemi prestigiosi quali l’Ensemble Intercontemporain e il Quartetto Arditti – con l’Orchestra di Padova e del Veneto, diretta da Marco Angius. Caldo, comunicativo il suono di Garth Knox, capace di innescare echi differenti e suggestivi nel suo dialogo con l’orchestra. Creando un clima di trasognata poesia, con il peso del suo accento, convinto e penetrante, la viola illumina l’ordito raffinato della composizione, grazie anche alla sapiente concertazione di Marco Angius, e si pone via via in intenso colloquio con i diversi strumenti, lungo i tre episodi del Concerto. Diverso l’impianto formale della successiva Fantasia per chitarra e orchestra, lavoro del 2001 in prima esecuzione italiana, affidata al solista Thierry Mercier, con lo stesso complesso orchestrale, sempre diretto da Marco Angius. E anche qui affiora la duttilità della scrittura di Pablo, ispirata da curiosità e ansia di ricerca, che favoriscono soluzioni inaspettate nello scambio tra chitarra e orchestra, alla luce dell’innata sensibilità drammaturgica che orienta il grande compositore spagnolo. Eloquente la resa del chitarrista Thierry Mercier, e con lui del complesso orchestrale, impegnati in un confronto serrato che si dipana in continui scambi tra il solista e i diversi strumenti via via, in un disegno familiare al linguaggio di Pablo. Una compresenza di spunti che è ribadita nell’episodio finale, dai cui nessi contrappuntistici affiorano profumi anticheggianti. 

Altro appuntamento di rilievo è stato l’allestimento de I Cenci (nella foto accanto al titolo), di Giorgio Battistelli, teatro di musica da Antonin Artaud. È un lavoro che risale al 1997, a Venezia eseguito per la prima volta in lingua italiana. Lo spettacolo è tratto dalla tragedia Les Cenci, che Artaud presentò a Parigi nel 1935, con attore protagonista egli stesso. Questa di Battistelli, che con la musica firma il libretto, è una riscrittura rispetto alla fonte originaria, ridotta e modificata in una dimensione di teatro musicale, nel quale agiscono gli attori, l’ensemble strumentale, l’elettronica dal vivo, e una serie di immagini proiettate; non c’è voce cantata. Al centro della vicenda, la figura sinistra e perversa del conte Francesco Cenci, ricchissimo e potente funzionario papale nella Roma di fine Cinquecento. Padre padrone della sua famiglia, storicamente Cenci esercita la propria torbida dissolutezza fino ad abusare della figlia Beatrice, giovinetta neanche ventenne. Questa, insieme ad altri familiari, organizzerà l’omicidio del padre, e di ciò sarà punita dalla giustizia papale con la condanna a morte. Ma la sua figura sarà rivalutata in letteratura a partire da Shelley, e in pittura da Guido Reni, oltre che nel teatro musicale, essendo fin dalla sua decapitazione assurta a eroina popolare, vittima di turpe violenza. 

I Cenci di Giorgio Battistelli

Col suo spiccato talento drammaturgico, Battistelli confeziona uno spettacolo di forte pregnanza. Intanto la recitazione prescrive agli attori un campionario di emissioni che dal sussurro vanno alle risa, alle grida, al pianto, a rumori gutturali, alla declamazione, al parlato. Ma poi il tutto è avvolto da una scrittura strumentale incisiva, a volte rovente, altre volte impalpabile, che diventa essa stessa musica fortemente teatrale. Non c’è un attimo di pausa, in questa partitura che si intreccia perfettamente con la scena e le proiezioni, in un’incalzante successione di episodi, sostenuta dalla presenza in buca di due set di percussioni. L’Ensemble900 del Conservatorio della Svizzera Italiana è impeccabile sotto la bacchetta di Marco Angius, e rende con piena efficacia i chiaroscuri e le accensioni del lavoro di Battistelli, portandolo a una temperatura quasi espressionista nell’inesorabile incedere degli episodi verso la catastrofe. Convinti applausi tanto ai musicisti, quanto agli attori Roberto Latini, Anahi Traversi, Elena Rivoltini, Michele Rezzonico, e alla danzatrice Marta Ciappina, tutti guidati dalla regia di Carmelo Rifici.

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