Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Ai bordi della luce

Fin dalle prime prove, la poetica di Marina Corona è apparsa contenuta nel doloroso controllo da cui scaturisce equilibrio. Come i versi di “Nessuno” dimostrano, anche dai margini, dall’annichilimento l’uomo può irradiare lucentezza

Quando, nel 1998, presentavo L’ora chiara di Marina Corona, titolo perfettamente intonato a un libro che cercava e trovava la luce quand’anche non sfolgorante o ardente, ma certa, libro di chiarore o albare o diurno, mai crepuscolare, sottolineavo un pregio di questa autrice che spiccava allora e che ha saputo permanere nelle opere successive. E che emerge con forza in questa lirica netta e piena di calma vitalità: «Non tutti coloro che cercano la propria espressione nella poesia – scrivevo nella quarta di copertina – devono liberarsi, molti devono contenersi, e il doloroso controllo di Marina Corona è un esempio eccellente di questa perenne tensione, di questo tragico e mai definitivo, ma indispensabile equilibrio».
Leggete con quale rigore in Marina Corona quel terribile nome, Nessuno,sfugga alla facile, storica catalogazione, per svelare come dal farsi nessuno, dall’annichilirsi, l’uomo, traverso la poesia, accettando di essere nel nero, pur di essere, pur di non negare e non negarsi, si trovi umilmente ai bordi della luce: e in tal modo, dai margini, l’uomo “fa luce”.

Nessuno

Nessuno ci può seppellire, bendarci

di cemento o zolle terrose

al limitare della croce,

costruimmo il cielo, l’arca della nascita

e l’altra arca della luna nera

in perpetuo naufragio,

reclinammo poi nella fossa come di cera

ad assaggiare la decomposizione della rosa

per la brama d’essere

anche questo nero

nel nero e quest’intimità con la materia

che sta ai bordi della luce

e fa luce.

Marina Corona

Da L’ora chiara,I poeti, Jaca Book, 1998

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