Raoul Precht
Periscopio (globale)

Tutti Benedetti

L'esordio autobiografico, la lunga stagione rivoluzionaria, la trasformazione in un mito della letteratura latinoamericana: ritratto dello lo scrittore uruguaiano Mario Benedetti e delle sue mille facce

A volte la storia della letteratura abbonda, prestando il fianco a qualche confusione. Di Mario Benedetti, per fare un esempio, ce ne sono stati ben due: uno è un nostro poeta friulano, che il Covid-19 si è portato via nel marzo scorso e che resta poco noto al grande pubblico (ammesso che per la poesia un grande pubblico possa mai esservi), ma la cui importanza e centralità verrà riconosciuta probabilmente nei prossimi decenni. L’altro è lo scrittore sicuramente più noto, se non il principale, del secolo scorso in Uruguay, ed è di quest’ultimo che parlerò qui, nel centenario della nascita avvenuta il 14 settembre 1920.

Benedetti è per molti versi un caso emblematico nella recente letteratura ispano-americana: intanto, per la versatilità, che lo porta a svariare dalla poesia alla prosa, dal teatro alla saggistica alla canzone d’autore; poi, per la commistione di privato e politico che innerva tutta la sua opera e per il peso specifico in essa dell’azione politica concreta; infine, per l’ironia sottesa in particolare ai suoi versi, che come vedremo li riscatta sovente dal rischio di farsi demagogici e retorici.

Come il nome suggerisce, Benedetti è figlio di due immigrati italiani; nasce in provincia, ma ad appena quattro anni si trasferisce a Montevideo, la capitale che sarà il teatro vivente e pulsante di tanti suoi libri. A causa di problemi economici in famiglia, dopo studi piuttosto irregolari dovrà cominciare a lavorare già all’età di quattordici anni. Dopo un soggiorno di tre anni a Buenos Aires, di ritorno a Montevideo trova lavoro come contabile e collabora attivamente per quasi trent’anni con il settimanale Marcha, dove sarà dapprima redattore, poi direttore letterario, fino alla chiusura del giornale da parte di una delle tante giunte militari che hanno infestato il Continente, in questo caso quella insediata in Uruguay dal presidente-dittatore Bordaberry.

All’attività giornalistica e critica si accompagna quella letteraria, che diventa sempre più preponderante: pubblica poesie, racconti e romanzi, aggiudicandosi anche diversi premi letterari. Se dei primi due libri stampati non venderà neanche una copia, grazie all’attività pubblicistica il suo nome comincia pian piano ad affermarsi.

Il primo vero successo di critica e di pubblico, anche a livello internazionale, lo otterrà solo nel 1960 con il romanzo La tregua, scritto all’ora di pranzo, nell’intervallo di lavoro, in un caffè di Montevideo, pubblicato con il passare degli anni in un centinaio di edizioni, tradotto in diciannove lingue – in Italia le sue opere, compreso questo romanzo, sono edite prevalentemente da Nottetempo – e più volte rielaborato per la radio, la televisione, il teatro e il cinema. Libro velatamente autobiografico – protagonista ne è un anziano contabile, vedovo, che s’innamora d’una giovane appena assunta nell’azienda dove lavora –, il romanzo contiene, ben incuneato nella relazione clandestina, un forte potenziale trasgressivo nei confronti della morale piccolo-borghese, che finisce tuttavia per trionfare perché la felicità assoluta non esiste, e al massimo ci è possibile ottenere una temporanea sospensione (una tregua, appunto) dell’infelicità.

Per Benedetti il 1960 è l’anno della svolta anche per altri motivi: soggiorna per cinque mesi negli Stati Uniti, ricavando da quella civiltà e dal modo di vivere, e in particolare dal razzismo e dalle disuguaglianze sociali, un’impressione estremamente negativa, che lo indurrà semmai ad avvicinarsi, assieme del resto a molti altri scrittori e artisti sudamericani, alla rivoluzione cubana. Grazie a quest’ultima sembra infatti profilarsi per la prima volta la realizzazione di un’utopia alla quale anche gli intellettuali possono finalmente partecipare in modo concreto, ponendosi al servizio di un modello politico-sociale apparentemente più giusto ed equo. Già il titolo di una delle sue maggiori opere di saggistica, del 1974, è a questo proposito emblematico: El escritor latinoamericano y la revolución posible (Lo scrittore latinoamericano e la rivoluzione possibile). Quanto quest’entusiasmo fosse giustificato e quanto potesse essere frutto d’illusioni, possiamo forse stabilirlo con il senno di poi, ma va ricordato che negli anni Sessanta e Settanta, in un contesto politico in cui in America Latina si verificava un golpe fascista dietro l’altro, lo scrittore non aveva altra scelta che quella d’impegnarsi per l’alternativa di governo che gli sembrava più umana.

A partire da quel periodo, in Benedetti la dimensione letteraria e quella politica si vanno fondendo in maniera quasi inestricabile, almeno fino al 27 giugno 1973, data del colpo di stato militare in Uruguay, a seguito del quale Benedetti è costretto a lasciare l’incarico accademico – era diventato nel frattempo direttore del dipartimento di letteratura ispanoamericana all’Università di Montevideo – e ad allontanarsi dal paese, cominciando un esilio durato un decennio che lo porterà, in fuga costante, prima in Argentina, poi in Perù, a Cuba e infine in Spagna, mentre la moglie è costretta a rimanere in patria per occuparsi dei genitori di entrambi. Al suo rimpatrio parziale in Uruguay, nel 1983 – per il quale Benedetti conierà il termine di desexilio, intendendo non solo il proprio ritorno ma soprattutto la comunione con quanti durante la dittatura erano dovuti rimanere nel paese, e superando dunque la dannosa dicotomia tra “los que se fueron” e “los que se quedaron” (si veda la poesia Quiero creer que estoy volviendo) –, Benedetti partecipa alla fondazione di una nuova rivista, Brecha, che idealmente continua la testimonianza civile della precedente Marcha, e s’immerge nella vita letteraria del suo paese. Per prudenza o abitudine mantiene tuttavia anche una seconda residenza a Madrid, finendo per risultare molto attivo e presente in entrambi i continenti, fino alla morte, che lo coglierà a Montevideo il 17 maggio del 2009. Come avviene ai personaggi estremamente popolari, il suo feretro sarà accompagnato nell’ultimo viaggio per le vie della città da migliaia di persone.

Le foto che lo ritraggono nelle diverse fasi della sua vita mostrano una persona simpatica, cordiale, sempre incline a un sorriso ironico; non c’è ragione di ritenere che la sua adesione agli ideali della sinistra rivoluzionaria non fosse sincera e solida, come pure la sua critica del sistema capitalistico, in particolare nella sua declinazione latinoamericana, ma anche in quella più propriamente uruguayana. Va ricordato che soprattutto nei primi vent’anni del Novecento l’Uruguay era considerato un caso a parte, la Svizzera dell’America latina, grazie alla stabilità economica e a una qualità della vita relativamente elevata.

Ciò nondimeno, Benedetti ne mette in luce con acume le ipocrisie e le insufficienze: già nel 1960, non a caso, aveva intitolato un suo saggio El país de la cola de paja (Il paese dalla coda di paglia). Nel romanzo Gracias por el fuego, 1965 (Grazie per il fuoco, edito in Italia prima dal Saggiatore, ora da La nuova frontiera), ripercorre per esempio le sorti di tre generazioni, mettendo in luce, attraverso le sconfitte e frustrazioni dei suoi personaggi, i limiti di una società rimasta, malgrado le apparenze, profondamente arcaica e corrotta. Da segnalare fra i romanzi anche i successivi Primavera con una esquina rota (Primavera con un angolo rotto), del 1982, e La borra del café (Fondi di caffè), del 1992. Un altro genere nel quale Benedetti eccelle è quello del racconto, spesso incentrato sulle peripezie della piccola borghesia di Montevideo, città che diventa, con la sua ristrettezza di vedute e prospettive, la vera protagonista di gran parte della sua narrativa. Qui la vena ironica di Benedetti si accompagna a uno stile sobrio ed efficace, fortemente depurato di ogni didatticismo, che fa risaltare ancora di più la crudeltà e la follia dell’esistenza.

Le stesse caratteristiche già ricordate più volte le ritroviamo trasferite nella produzione poetica, che in Benedetti è stata varia e abbondante. La maggiore innovazione da lui introdotta nell’ambito della poesia sudamericana, ancora una volta non certo da solo, ma al fianco di altri poeti contemporanei, è il ravvicinamento fra lingua parlata e colloquiale e lingua poetica, corredato, come si rileva anche in Juan Gelman ed Ernesto Cardenal, per fare altri due nomi illustri, da un’attenzione inedita all’espressione della vita quotidiana – una tendenza che fin dagli anni Trenta è comune a tutta la poesia del continente, compresa quella di lingua inglese. Va ricordato naturalmente anche il tema amoroso e la presenza costante della figura femminile, spesso magnificata, come nei versi seguenti: “una mujer querida o vislumbrada / desbarata por una vez la muerte” [una donna amata o appena intravista / sgomina per una volta la morte]. L’incontro amoroso può assumere però anche un andamento drammatico, se non tragico: “nuestro amor/ fue desde siempre un niño muerto” [il nostro amore / è da sempre un bimbo morto], scrive in un toccante componimento che compare in una delle prime raccolte, Noción de patria. L’ironia è un’altra delle caratteristiche salienti nell’espressione poetica di Benedetti: un’ironia mite ma puntuale, che non di rado si abbatte anche sulla presunta superiorità degli intellettuali e sui riti stanchi e desueti con cui la loro casta si autoalimenta; poeti e scrittori “a menudo bostezan en recitales de otros / y asumen que en el proprio bostecen los amigos” [spesso sbadigliano alle letture degli altri / e presumono che gli amici sbadiglino alle loro]. Meno convincenti nel loro insieme i momenti in cui il poeta si fa portavoce della rivoluzione e delle lotte di liberazione, in una poesia di stampo socio-politico ed epico in cui tuttavia, grazie all’onnipresente umorismo, Benedetti aggira lo scoglio maggiore, il rischio di diventare ridicolmente enfatico e profetico, mantenendo un sempre difficile equilibrio fra l’urgenza di testimoniare e demistificare e l’esercizio, malgrado tutto, di una letteratura elevata e capace di elevare. Non manca infine, soprattutto nei componimenti più maturi, l’evocazione filosofica, il tentativo, non sempre pienamente riuscito, di dare un senso alle cose: “para saber que al fin el mundo es esto / en su mejor momento una nostalgia / en su peor momento un desamparo / y siempre siempre / un lío” [per sapere che in fin dei conti il mondo / è nei momenti migliori nostalgia / nei peggiori abbandono / e sempre sempre / un garbuglio]. Temi classici, come vediamo, espressi con una semplicità rafforzata dall’uso del verso libero e da un’elevata tendenza colloquiale e comunicativa.

Dicevamo del grande favore popolare che ha sempre arriso alla sua poesia: trasformata da altri (fra questi Alberto Favero, Joan Manuel Serrat, Chico Buarque, Luis Pastor e Daniel Viglietti) in canzone, ha potuto avvalersi di un meccanismo di diffusione e di propagazione garantito solo a pochissimi fra i poeti del Novecento, non solo di lingua spagnola. Al tempo stesso, nel corso degli anni non sono mancate le critiche, anche piuttosto animate, nei confronti di una certa facilità della sua scrittura, che in alcuni casi sfiora la banalità. Il fatto che con il passare del tempo Benedetti, con i suoi ottanta volumi pubblicati, si sia convertito in una figura ecumenica, facile da celebrare perché in fondo non disturba più nessuno, ha fatto il resto.

Lasciano perplessi oggi, per fare qualche esempio, il finale inutilmente melodrammatico del suo miglior romanzo, il già citato La tregua; l’eccesso nelle descrizioni, in particolare dei sentimenti, per una letteratura intesa come confessione continua che dà vita talora a personaggi schematici; quella che è stata definita l’insistita cordialità del narratore e che sembra più un tratto caratteriale che letterario; in poesia, soprattutto, certe cadute retoriche e una superficialità che la scelta del cosiddetto prosaísmo finisce per accentuare. Benedetti rimane tuttavia l’autore uruguaiano più celebrato del Novecento, anche perché è stato in grado di far confluire nella sua opera, seppur forse secondaria rispetto a quella di altri autori coevi, le inquietudini e gli stimoli che hanno attraversato, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, l’intero continente americano.

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