Lidia Lombardi
Lo scaffale degli editori

Libri d’autunno

La Milano del lockdown raccontata da Giuseppe Genna, gli animali insospettabili di Sarah Savioli, i rottami dell'Urss per Julia Phillips: le strategie delle case editrici per la ripresa

La pioggia torrenziale di fine agosto ha spazzato via l’estate più incauta che l’Italia abbia mai avuto, tutti ammassati sulle spiagge e nei ritrovi notturni, fossero le piazze storiche o le discoteche. Un esercito di immemori ai quali farebbe bene leggere (ma dovrebbero giovarsene tutti, appunto per non dimenticare) Reality di Giuseppe Genna (Rizzoli, 320 pagine, 19 euro). Il quale come un reporter allucinato ancorché fedelissimo alla realtà – pur così straniata da parere un reality – racconta Milano nei giorni del lockdown, metropoli azzerata e dolorosa. Genna (tra i suoi romanzi Nel nome di Ishmael e Assalto a un tempo devastato e vile) non fa sconti, usa il bisturi quando riporta sulla pagina bianca quello che ha visto entrando a cavallo della sua Vespa nella città vuota. Così ripassiamo a una a una le stazioni di una via crucis che le ferie appena concluse hanno ubriacato di spritz. Vaga e registra, l’autore.

Brancola in una Milano trasmutata, elettrica e buia, deserta e inquietante, come quella dei mutanti di Blade Runner. Ecco l’anziana che sbraita perché non ha il modulo mentre va a comprare un etto di prosciutto, ecco il cardinale che prega la Madonnina sulle guglie del Duomo, ecco lui stesso, Genna, fermato da un agente di polizia che gli chiede perché va in giro e lui risponde per lavoro e quello lo multa perché, alla richiesta di che lavoro faccia, risponde disarmato e sincero: lo scrittore. Lo stile è una sorta di discorso continuo, di giaculatoria disincantata e lugubre. Milano è la parte del tutto, il suo buio non è neanche illuminato da quel piccolo uomo bianco, il papa, che zoppicando prega davanti a una piazza san Pietro deserta e la rischiara “come uno zolfanello acceso in una stanza buia”. Grazie a un contatto, Genna entra del Policlinico, e – come si fa con i neonati – porge il dito a un malato di polmonite interstiziale messo prono sul letto della terapia intensiva: quel bersaglio ansimante del coronavirus glielo stringe, il dito, appunto come fa un neonato. Poi testimonia, per farceli ripassare, i carri militari con le bare di Bergamo, i detenuti in rivolta nelle prigioni. Penetra nelle stanze delle Rsa, nei cimiteri, nei poli logistici. “Cosa è successo” è il sottotitolo di questo diario della contaminazione. Monito e memento per l’umido autunno alle porte.

Alla ricerca del best seller, del miracolo dell’autore sconosciuto che scala le classifiche, le case editrici lanciano volentieri opere prime. Originale è quella di Sarah Savioli, scovata da Feltrinelli. Gli insospettabili (240 pagine, 16 euro) è insieme una commedia e un giallo. Ma anche un libro per madri e animalisti, pur affondando nella realtà soggiogante dello spaccio di droga e delle sue vittime. Savioli, di mestiere perito tecnico forense, costruisce la storia attorno ad Anna, mamma di un bambino di quattro anni che lavora in un’agenzia investigativa conciliando l’impiego con la routine casalinga. Gli insospettabili del titolo sono svariati animali, domestici e non – un cane, due tartarughe, un piccione: Anna, che a causa o grazie a un ematoma cerebrale riesce a parlare con loro e anche con le piante, ne ottiene informazioni utili all’indagine che sta conducendo (insieme con il titolare dell’agenzia, il burbero Cantoni, e al collega grandi taglie Tonino) sulla morte di un trentaquattrenne ex tossicodipendente, “volato” una mattina dalla finestra dell’appartamento nel quale vive con l’anziana madre e schiantatosi senza speranza sul selciato. L’autrice è abile a tessere toni lievi e drammatici, tenendo le fila di una storia agita da una protagonista improbabile eppure sbozzata bene nel tran tran da vicina della porta accanto.

Marsilio invece punta su un’esordiente statunitense, Julia Phillips, che imbastisce la sua opera partendo da una realtà ben precisa, la Kamchatka dopo la fine dell’impero dominato dal Pcus. La terra che scompare (270 pagine, 18 euro) è sì un romanzo investigativo dove a reggere le fila sono le donne, ma ha un fitto spessore politico perché esplora la complessità dei ruoli femminili nella società anche geograficamente chiusa dell’ex regione sovietica popolata da differenti etnie. Phillips (che presenterà a Pordenonelegge il suo “giallo” in libreria dal 10 settembre) fa partire il plot con il rapimento, un pomeriggio d’agosto, di due bambine allegre in una spiaggia della Kamchakta, estremo nord est della Russia. Per mesi si interrogano sulla loro scomparsa le donne della comunità, russe e indigene, segnate da lutti e decennali paure eppure fierissime. La ricerca delle piccole attraverso il racconto di un testimone, di un vicino, di un investigatore, di una madre, diventa viaggio anche introspettivo attraverso un paesaggio aspro e seducente, tundre sconfinate, geyser, vulcani, oceano gelido. Paradiso perduto e increspato da tensioni etnico-sociali che datano dal crollo dell’Urss facendo degli outsider il bersaglio della intolleranza. Della quale Phillips sa bene avendo per anni lavorato per un’associazione in difese delle vittime di violenze.

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