Daniela Matronola
A proposito di "Corpi speciali"

Speciali fallimenti

Ernest Shackleton che raggiunge per secondo il Polo Sud, Samuel Beckett che perde l'amicizia di James Joyce perché non è innamorato della figlia: Francesca d’Aloja esegue i ritratti (reali o immaginari) di personaggi avvolti dalla luce del mito

Speciale il titolo e speciale questo quinto libro per Francesca d’Aloja (Corpi speciali, La nave di Teseo, pagine 263, 18 Euro), scrittrice a partire da Il sogno cattivo, primo romanzo – uscito nel 2006 – e fino ad allora attrice e regista. Pulsa al suo cuore un’idea (altri direbbe, un progetto) che ha una sorta di architettura corrispondente solo nelle “interviste impossibili” di radiofonica memoria. È aggirato il tempo in una cornice che rende possibile l’incontro, figura con tutta evidenza portante, tra l’autrice e donne e uomini ancora viventi o già eterni e tutte/tutti avvolti dalla luce del mito nel calore di un abbraccio umano, derivanti entrambi, curiosamente, da una comune matrice: la corrente d’affetto che scalda la memoria il racconto l’evocazione la relazione.

È la stessa Francesca d’Aloja a dircelo subito nelle prime due pagine, sia attraverso l’esergo tratto dall’amato Flaubert, “Quando scrivi di qualcuno fallo come se dovessi vendicarlo” (quel Flaubert che amava ripetere: “Vivere come un borghese e scrivere come un pazzo”), sia in una pagina di intenti in cui è definito il criterio con cui è stata messa insieme la galleria di ritratti in cui il libro consiste. L’idea, dettata anche da come la materia del racconto che si è formata nel corso di una vita, la vita dell’autrice, e ora premeva, si vede, per versarsi finalmente in un contenitore e un catalogo strutturati, è l’incontro certo, e spesso proprio il fortunato incrocio, che hanno per caso e per insondabile necessità fatto sì che Francesca d’Aloja fosse a stretto contatto con due mostri sacri del cinema e del teatro come Dino Risi e Vittorio Gassman, e poi avesse strette relazioni e frequentazioni con Laura Antonelli, Luciana Castellina, Franca Valeri, Claudio Caligari, e incrociasse in modi inattesi Edith Bruck, il torero Josè Tomàs, Theos Bernard (il Lama Bianco), o Albert Camus visitato presso la sua tomba, e Nadia Comaneci, e poi Jan Karski, Luca Podran, e i mitici giganti del rock…

È spesso ricorrente, da parte di Francesca, voce narrante e regista di questi incontri, l’uso di una frase, “sono (oppure: non sono) fanatica di…”, un modo di attestare il proprio forsennato attaccamento a queste figure, alcune delle quali avvicinate (per forza di cose, cioè per ragioni crono storiche) non in presenza ma per corrispondenze amorevoli e molto trascinanti.

In effetti l’uscita del libro è avvenuta a metà febbraio – poche settimane dopo, siamo piombati nella chiusura, fattasi presto assoluta, che ci ha confinati tutti, e ha attivato altre forme di incontro, e una diversa gestione del caso e della necessità. Un impedimento, speciale forse rispetto ad altri possibili, ma pur sempre una interruzione delle lineari vie di interazione. Dopotutto, l’impedimento e l’interruzione governano per così dire nel libro le due storie in assoluto più speciali (se è lecito usare un simile accrescitivo) del libro (tra le molte storie specialissime): 1. il ritratto dell’esploratore Ernest Shackleton, che tentò di conquistare il mare di ghiaccio in Antartide, il cui fallimento, “un glorioso insuccesso”, fu talmente generoso e clamoroso da offrire a T. S Eliot il modello di una umanità dispersa in una terra infida in cui non c’è acqua vivificante ma roccia e ghiaccio, un deserto di ghiaccio roccioso che congela e annichilisce il genere umano; 2. il fallimento era per Samuel Beckett una sorta di paradigma della nostra naturale e disperante imperfezione, era lui che suggeriva di tentare comunque, di fallire meglio, e per lui perse la testa Lucia (nella foto accanto al titolo), figlia di James Joyce presso il quale a lungo, come l’apprendista a bottega dal Maestro, Beckett si recava ogni giorno intrattenendo un fruttuoso colloquio intellettuale, anche forse una sorta di artistico rapporto padre-figlio: che presentò i suoi costi, molto alti – Lucia, artista a sua volta, fragile e agile, nella passione non corrisposta per Samuel Beckett trovò la crepa che la consegnò definitivamente alla latente schizofrenia che si slatentizzò. Fu la débacle per Lucia e per Samuel l’ostracismo da parte di Mr. Joyce. La storia di Lucia Joyce è in assoluto il ritratto più struggente e straziante, e poi nella sua storia come in tutte le altre è chiaro che la forza proviene da un’adesione di fondo, da una forma d’amore: molto ne passa in queste pagine, a riprova che la spinta a comunicare con questi “corpi speciali” è il sommesso scambio d’amore inseguito dalla ritrattista e dalla sua voce.

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