Nicola Fano
A proposito di "Molecole"

Cercando Venezia

Il film documentario di Andrea Segre su Venezia al tempo del covid è una struggente metafora sui rapporti (difficili? mancati? sbagliati?) tra un padre e un figlio. E così la Laguna, magnificamente ritratta, diventa la quintessenza della solitudine

Ci vuole un po’ di coraggio a parlar di Venezia dopo Shakespeare, dopo Thomas Mann, dopo il languore di Visconti e le visioni di Fellini. O forse ci vuole un pizzico di incoscienza; o un colpo di fortuna (se così di può dire) come è capitato a Andrea Segre che, partito per costruire un documentario sul turismo e l’acqua alta in Laguna, è rimasto inchiavardato alla Giudecca in tempi di lockdown e così ha deciso di affrontare il tema Venezia a viso aperto, senza giri di parole. Ne è venuto fuori un film bello e struggente che, se fossi in voi, cercherei di andare a vedere ad ogni costo sul grande schermo. Io l’ho fatto in una domenica follemente afosa, a Roma, nascosto dietro la mia belle mascherina per tutta l’ora e poco più di film: così, al sicuro, mi è parso di essere più vicino allo spirito del film. Forse ho avuto ragione.

Ebbene, Molecole – così si chiama il film (in realtà un documentario, ma un documentario su tante questioni, come vedremo) di Andrea Segre presentato in anteprima alla Mostra del Cinema – racconta Venezia. Ma non solo Venezia. Diciamo che prende la città desertificata dal covid e la usa come una metafora della solitudine nella quale l’io narrate è precipitato dopo la morte del padre, Ulderico, quando si è reso conto di non averlo conosciuto abbastanza. O forse per niente. Cioè, ammesso che questo sia un documentario, l’oggetto è il rapporto tra padri e figli. E soprattutto quello che si instaura – o, meglio, non si instaura – tra due esseri impenetrabili. Telemaco e Ulisse: legatissimi ma ignoti uno all’altro. Il padre dell’io narrante – il regista stesso – è un uomo schivo, uno scienziato che studia il modo di dare un ordine al caso per – dice il figlio ex post, ma chissà se era vero anche per il padre – capire come affrontare la malattia cardiaca che dalla nascita lo condanna a una morte improvvisa. Come sarà, in effetti: il giorno della morte del padre è raccontato qui con una levità che solo chi ha perso il padre senza accorgersene può apprezzare.

Ulderico è veneziano, ma ha abbandonato la sua città per studiare la fisica, tuttavia a Venezia ha dedicato una preziosa collezione di filmini super8 che il figlio, Andrea, ha ritrovato e usa come ossatura del suo film. Per il resto, ci son solo immagini e una voce fuori campo (quella del regista-io narrante). Le riprese iniziano il 20 febbraio 2020, quando ancora si sperava di galleggiare nel virus e vanno avanti fino alla chiusura totale, quando la pandemia impone ritmi e immaginario a tutti. Anche a Venezia.

Ed ecco che le magnifiche immagini girate da Segre iniziano a tiranneggiare lo spettatore imponendogli un viaggio sempre più in profondità nell’inquietudine di quel che abbiamo vissuto: sconcerto e solitudine compresi. Un interminabile, meraviglioso piano-sequenza su Piazza San Marco abitata solo da tre gabbiani è il punto più alto di questo viaggio negli inferi di ciascuno di noi, lì dove la vita rutilante (anche inutilmente rutilante, diciamolo) lascia il posto a una sospensione che ciascuno deve riempire con quel che ha. Sarà paura, sarà sogno, sarà voglia di domani o risucchio nel passato: in questo film lo spettatore non è mai passivo (circostanza rara, nel cinema). Andrea Segre lì ha trovato suo padre, ma, legittimamente, ognuno è chiamato a trovarci ciò che vuole. Magari se stesso, ché sarebbe la cosa migliore.

Un film? Un documentario? Non sono esperto della materia e non so rispondere. Una cosa però la posso dire: quest’opera di Andrea Segre dimostra come, in alcuni precisi casi, l’immagine cinematografica sia più forte della parola. Molto più forte. Come si sarebbe potuta descrivere altro che con delle immagini la sospensione della vita che ha governato mezzo mondo tra marzo e aprile scorsi? Che cosa, più di quella lunga scena in cui due donne, belle e forzute, vogano sul loro buranello dal canale della Giudecca fino al Porto turistico di Venezia, senza mai incrociare anima viva, avrebbe potuto descrivere l’assurdità di quel che abbiamo vissuto? Non ci sono parole. Ed è per questo, solo per questo, solo per la sua rigorosa aderenza alla realtà delle cose senza mai alterarle che – io credo – Molecole di Andrea Segre è un documentario. Dal mio punto di vista, molto più di un film.

Facebooktwitterlinkedin