Nicola Fano
Omaggio a Roberto Mussapi/1

Teatro è una parola

La raccolta "I nomi e le voci" propone una serie di testi teatrali che mettono in chiaro quale sia il rapporto tra la poesia e la scena. Una relazione che va dal mito alla quotidianità, dai classici ai sotterranei di un autogrill

Molti studiosi di Shakespeare si sono chiesti spesso perché scrivesse teatro in versi (quei suoi versi così ostici, da comporre, dalla metrica quasi intraducibile): posto che le sue storie sono ovviamente importanti, ma che ancora più importanti sono i sentimenti dei personaggi che le abitano (possiamo dimenticare gli incastri della successione di Danimarca, non lo spaesamento di Amleto che capisce come la vita non corrisponda alle sue aspettative), le une e gli altri appartengono, in genere, alla prosa; alla sveltezza della comunicazione. Perché il teatro è spiccio e immediato: se non lo si acchiappa subito, il pubblico si distrae e sparisce. E teatro senza pubblico non esiste. Il teatro si fa in due, per forza.

Mi è capitato di scrivere testi teatrali ma non ho mai composto un solo verso (non se sarei capace): è per questo che faccio parte della schiatta di chi si pone quella domanda su Shakespeare. Una risposta la ebbi molti anni fa dal massimo studioso italiano di Shakespeare nel secolo scorso: Agostino Lombardo mi disse che «l’attore ha bisogno del verso per appoggiarci sopra le sue emozioni», ma tutto questo mi parve soprattutto una bella astrazione, in conflitto con la magnifica banalità del teatro. Ora, finalmente e improvvisamente, quella lezione di Agostino Lombardo l’ho vista in pratica nel teatro in versi di Roberto Mussapi (I nomi e le voci, Mondadori, Lo Specchio, 168 pagine, 18 euro). E credo di aver capito una volta per tutte che cosa significa che l’attore si appoggia sul verso. Proverò a spiegarmi meglio.

Il teatro è il sunto millenario di quattro autonomi veicoli linguistici: lo spazio, la parola, la musica, il corpo dell’attore. Tutto concorre a stabilire una relazione emotiva tra pubblico e attori: il rito teatrale è quella relazione. Ebbene, il verso è lo strumento attraverso il quale l’attore allarga le parole agli altri veicoli linguistici. Appoggiandosi sul verso, l’interprete non solo fornisce una specifica interpretazione di ciò che dice (o, per meglio dire, del personaggio che dice determinate cose sulla scena), ma dà al pubblico la possibilità di allargare la propria esperienza emotiva agli altri linguaggi, ossia quelli veicolati dalla musica, dal corpo e dallo spazio. Insomma, il verso rende tutto più facile. Ecco perché i tragici greci, come Shakespeare come tanti altri scrivevano in versi: perché conoscevano le esigenze dell’attore. E sapevano che solo le parole potevano scatenare l’immaginazione dello spettatore.

Il teatro di Roberto Mussapi – che si appoggia sulla poesia, essendo l’autore sommamente, primariamente un poeta – è un teatro da attori. Prendete, in questo volume, l’addolorata riscrittura del monologo finale di Antigone (nell’omonima tragedia di Sofocle), prendete il lungo processo a Otello: sono battute da dire assolutamente, la pagina stampata non basta. Ecco, I nomi e le voci impone al lettore di farsi una personale regìa di ciò che legge: nelle parole si leggono i movimenti, le espressioni dei corpi, le curve sonore (e non solo in virtù della metrica). D’altro canto, non si tratta sempre di semplici monologhi: spesso le vicende o addirittura i singoli personaggi sono suddivisi in punti di vista differenti. Abbiamo due voci interiori, per esempio, oppure dialoghi tra personaggio e Coro (come nel caso di Otello). Ancora una volta, qualcosa di molto teatrale.

Il libro è costruito – come dire? – secondo una particolare struttura cronologica. Si parte dai miti (e dai tragici) greci (bellissimo il monologo dolente di Arianna abbandonata da Teseo), si passa prima per Shakespeare e poi per Bisanzio per giungere all’oggi, con una sezione che l’autore chiama “Onore al mio tempo”. E proprio qui, in questo ambito, c’è quello che per me è il testo più affascinante: La grotta azzurra. Venne inscenato nel 2002 da Nanni Garella con Miriam Mesturino ed è la lunga riflessione di una donna che di mestiere sovrintende alle toilette di un autogrill sull’Autostrada della Riviera Ligure. Il suo mondo, ovviamente, è straordinariamente più largo di quella grotta al quale l’acqua e le piastrelle consunte dànno un colore azzurro (che solo nel mito richiama l’antro delle sirene di Capri). Qui, la vita quotidiana (siamo pur sempre dentro un cesso pubblico) si sovrappone ai legittimi sogni della donna: avanti e indietro nella storia, nelle delusioni, nella vita che non abbiamo vissuto. C’è qualcosa di profondamente urgente e moderno, in questo monologo: la sua capacità di coniugare la concretezza bassa del luogo e delle sue suggestioni alla levità mitica dei desideri di chi abita uno e le altre. Insomma, qualcosa che dà senso a tutto ciò che si è letto e immaginato fino a quel punto ne I nomi e le voci: come se il percorso lungo l’epica del teatro non potesse portare altro che a quell’incontro tra sogni e puzze nei sotterranei di un non luogo come l’autogrill. Speriamo che prima o poi di questo testo si possa avere una nuova edizione scenica!

PS. Roberto Mussapi non è solo un grande poeta e un grande uomo di teatro: è anche uno dei più antichi e prestigiosi collaboratori di Succedeoggi. Il legame che unisce questa testata alla sua opera, dunque, riguarda un comune sentire che ha radici profonde. Ecco perché abbiamo deciso di “festeggiarlo” con una serie di interventi distinti in occasione dell’uscita di questo libro che è un po’ una summa della sua attività a cavallo tra scena e poesia.


La foto di Roberto Mussapi accanto al titolo è di Andrea Montagnani

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