Asia Vitullo
Cinema dalla poltrona

Sconosciuta bellezza

Nel tempo della bruttezza, come non fare ricorso a “American Beauty” e al suo ambiguo elogio della bellezza? Il film di Sam Mendes con Kevin Spacey fa ancora riflettere su una società che crolla dietro alle apparenze patinate

Di questi tempi parlare di bellezza è difficile. Abbiamo vissuto gli ultimi mesi catapultati in una realtà che ci voleva diversi, non più liberi, non più pienamente noi stessi. Il 2020 ha dichiarato guerra all’umano e a tutti i valori che sentivamo radicati nel profondo della nostra società. La bellezza, assieme a tutte le sue svariate forme, è adombrata da una sempre più crescente ricerca del brutto.

Nel 1999, ventuno anni fa, il regista Sam Mendes rifletteva sul significato dell’armonia interiore ed esteriore, ottenendo un successo dalla solida impalcatura. American Beauty, vincitore di cinque Premi Oscar, racconta l’ossatura di una famiglia americana apparentemente normale, svelando gli arcani di una comunità vicina alla sua completa dissoluzione. I personaggi della sua storia sono privi di passione, vittime di un sistema che intrappola il soffio vitale in una mera e illusoria menzogna. La voce che ci accompagna nello svolgimento della narrazione è quella di Lester Burnham (Kevin Spacey), un giornalista insoddisfatto del proprio lavoro e terribilmente represso; vive con la moglie Carolyn (Annette Bening), anch’essa frustrata da una vita che non sente di possedere del tutto. Il frutto del loro, oramai, finto matrimonio è la figlia sedicenne di nome Jane (Thora Birch), diversa dagli altri suoi coetanei, ma con una grande voglia di dare e ricevere amore.

I coniugi sono infelici da tempo, deteriorati da una monotonia che, negli anni, li ha irrimediabilmente allontanati. Consapevoli della loro condizione, tentano di porre rimedio alle lancinanti insoddisfazioni: Lester diventa ossessionato da un’amica di sua figlia, Angela (Mena Suvari), e incomincia a percorrere la sua vita a ritroso, praticando sport e facendo uso di droghe, ormai stravolto dalla smania di ricercare un riscatto. Carolyn, pervasa da una incessante voglia di successo, intrattiene una relazione amorosa con un suo collega e Jane, alle prese con i drammi adolescenziali, non riesce a specchiarsi con le dinamiche che la incastrano in una società materialista e mediocre. Ricky (Wes Bentley), il vicino di casa da poco arrivato, inquadra e registra, alla lettera, tutte le idiosincrasie di cui la famiglia è inconsapevolmente vittima. Con la sua videocamera il ragazzo, anche lui prigioniero di un padre autoritario e oppressivo (Chris Cooper), immortala un mondo ipocrita che costruisce e seleziona maschere con l’intento di celare la nostra identità e di trasformarci in automi senza emozioni.

Mendes frantuma in più pezzi l’immagine della società americana, smascherando gli oscuri meccanismi di un’esistenza superficiale e in balia dell’apparire. Le rose rosse, sparse per tutta la pellicola, simboleggiano ciò che American Beauty vuole, in realtà, far emergere: la bellezza, quella nascosta e da lungo tempo perduta. Come sarà lo stesso Lester a dichiarare: «Potrei essere piuttosto incazzato per quello che mi è successo, ma è difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo […]. Non avete la minima idea di cosa sto parlando, ne sono sicuro, ma non preoccupatevi: un giorno l’avrete».

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