Giuliana Bonanni
Finestra sul mondo

Vendesi MoMa

Negli Usa, il Covid ha rotto un tabù: per ripianare i debiti dovuti all'emergenza finanziaria, i musei potranno mettere all'asta le opere delle loro collezioni. Fino a ora, potevano farlo solo per comprare altre opere...

Il coronavirus ha lasciato le casse di molti musei americani in profondo rosso. Il bilancio è allarmante: il Metropolitan, ad esempio, prevede una perdita di 150 milioni di dollari mentre le istituzioni culturali più fragili rischiano addirittura di chiudere i battenti. Per fare fronte a questa situazione drammatica è scattato il semaforo verde per la vendita delle opere d’arte per compensare i mancati introiti causati dalla chiusura al pubblico. La nuova direttiva – in vigore per i prossimi due anni – è da considerarsi temporanea e legata all’eccezionalità del momento. Per la prima volta la possibilità di mettere all’asta uno o due Monet per ripianare i debiti ed evitare i licenziamenti non è più vista come uno scandalo ma come una soluzione. Allo stesso modo usare una parte dei fondi privati e delle donazioni per le spese generali fa parte di una nuova flessibilità finanziaria riconosciuta ai direttori, impensabile fino a poche settimane fa. Ovviamente i conti devono essere trasparenti e sottoposti ad un rigido controllo.

Fino ad oggi l’AAMD, l’Association of Art Museums Directors, che raggruppa i direttori dei musei di Stati Uniti, Messico e Canada, ha condannato senza mezzi termini qualsiasi decisione di vendere le opere d’arte delle collezioni eccetto che per finanziare l’acquisizione di nuove. Chi ha osato trasgredire questa regola – come nel caso del Berkshire Museum di Pittsfield, Mass., che nel 2018 ha messo sul mercato più di 20 opere per pagare i lavori di ristrutturazione – è stato oggetto di censura, sanzioni e perfino di manifestazioni di protesta di cittadini con tanto di cartelli e slogan. Insomma, per il direttore apostata o semplicemente disperato una tale decisione spalancava le porte della pubblica riprovazione e la fine della carriera. «Il nostro scopo è quello di dotare i membri della nostra associazione di una maggiore flessibilità finanziaria. Non lo abbiamo mai fatto prima ma questa è una situazione che non si è mai verificata prima», ha dichiarato alla CBS Brent Benjamin, presidente dell’AAMD e direttore del Saint Louis Art Museum, ricordando che oltre alla chiusura delle proprie sale i musei hanno visto piombare a picco le donazioni a causa della crisi finanziaria.

Tuttavia resta fermo il sacro principio secondo cui il denaro ricavato dalla vendita di un’opera d’arte non può essere usato per fare fronte alle spese correnti, bensì per arricchire o diversificare il proprio patrimonio artistico.

Oltre a vendite mirate all’acquisizione di artisti particolarmente ambiti per un certo museo – famoso il caso del Museum of Fine Arts di Boston che nel 2011 ha venduto otto opere della sua collezione permanente di impressionisti francesi per comprare Homme au bain di Gustave Caillebotte (nella foto) – la regola aurea che ha guidato il “deaccessioning” fino ad ora è stata quella di dare spazio ad artisti  che meglio rappresentano il contesto sociale del museo. Per esempio il Baltimore Museum of Art ha ceduto le opere di artisti maschi e bianchi che possedeva in abbondanza – come nel caso di Andy Warhol e Franz Kline – per finanziare l’acquisto di nuove opere di gruppi sottorappresentati, come donne e afroamericani. Sono entrati così nelle sale del museo i quadri di Amy Sherald, Charles Gaines, Faith Ringgold e Lynette Yiadom-Boakye proprio perché la loro assenza era «assurda e inappropriata in un museo come il BMA che si trova in una città la cui popolazione è al 64% di persone di colore», come ha dichiarato ad Artnet il direttore Chirs Bedford nel 2018.

L’assunto per il quale le opere detenute da un museo non possano essere vendute se non in circostanze eccezionali, ne ha garantito la rarità e quindi ne ha sostenuto il prezzo. Il venire meno di questo principio potrebbe portare il mercato al collasso. La ricerca disperata di acquirenti da parte dei musei potrebbe scatenare un effetto devastante sulle quotazioni. Da più parti, accanto a questa nuova flessibilità finanziaria concessa ai direttori, si invocano aiuti diretti per salvaguardare le collezioni per le generazioni future. «Fino a questo momento non ho sentito nessuno dire – “oddio devo vendere tutto altrimenti non ce la faccio” – ma piuttosto ho visto i responsabili dei musei fare un ottimo lavoro per dimostrare che le decisioni prese sono le migliori per la loro istituzione» ha detto alla CBS il vice president di Sotheby’s Nina del Rio. La conclusione è di Christopher Bedford che alla reporter della rete americana ha dichiarato: «È è vero che la nostra missione è quella di servire il pubblico con vitalità e incisività ma soprattutto in questo momento consiste nella capacità di far quadrare i conti e mantenere i musei aperti».

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