Polina Levchenko
A proposito della serie "Hollywood"

Sognare stanca

La nuova serie tv di Ryan Murphy sembra scritta proprio per il mondo strozzato dalla pandemia: bisogna continuare a sognare senza mai arrendersi. Anche se poi molti restano delusi dalla "mecca del cinema"

Tutti parlano di Hollywood, la nuova serie tv firmata Ryan Murphy uscita da pochi giorni su Netflix e sono molte le idee che l’artista ha voluto trasmettere. In una Los Angeles appena uscita dalla guerra, tanti ragazzi vogliono lasciarsi gli orrori alle spalle e iniziare la loro nuova vita inseguendo il loro sogno. Ed è proprio il sogno, in tutte le sue sfaccettature, il vero protagonista di questa vicenda.

Tutti arrivano a Hollywood da un contesto diverso, ma i loro destini sono già legati dallo stesso sogno, sono pronti a tutto pur di scalare le sue luci e arrivare in cima. Presto però, l’entusiasmo iniziale lascia spazio alla delusione e il futuro meraviglioso che avevano immaginato appare un vecchio ricordo. Si sentono spaesati, e capiscono che quell’ambizione a lungo agognata non è così facile da raggiungere come si credeva. Molti si arrendono, altri tornano a casa, altri ancora vanno incontro ad un destino tragico. Per chi resta, a volte, succede il miracolo e la città regala davvero quel miele che aveva promesso.

In un mondo esausto, afflitto da una pandemia che rischia di toglierci ogni scintilla di vita, continuare a sognare diventa un imperativo morale. Hollywood ci porta in una nuova dimensione e ci mostra cosa sarebbe potuto succedere se anni prima un gruppetto di giovani artisti avesse avuto il coraggio di credere e lottare per i propri sogni. L’insegnamento della serie tv è questo: niente può cambiare il mondo quando la passione.

C’è una piccola fiamma dentro ognuno di noi che tendiamo a soffocare nel corso della vita. Scegliamo un percorso accademico che non ci piace, perché così troveremo un lavoro più sicuro. Iniziamo a fare quel lavoro e ci accorgiamo di odiarlo. La fiamma è sempre lì, nel nostro cuore, ma giorno dopo giorno diventa sempre più debole, finché un giorno è spenta del tutto. Ed è allora che subentra la depressione, la paura, la morte.

Ryan Murphy esorta ognuno di noi a ripartire da questo: quando la pandemia sarà finita, tutti noi dobbiamo ritrovare il nostro fuoco. La passione non solo ci rende felici ma è capace di farci diventare persone migliori, ci spinge a compiere gesta straordinarie e a lottare per la giustizia.

L’invidia, la gelosia, la cattiveria subentrano quando siamo frustrati, quando siamo costretti a recitare una parte che non ci appartiene, a vivere una vita in bianco e nero. La realizzazione della propria natura, d’altro canto, ci porta finalmente a guadare noi stessi con amore e a scorgere la divinità dentro gli altri, senza alcuna competizione.

Questo grande sogno, però, appare diverso per ognuno di noi e ogni sua versione ha una propria dignità. Per alcuni esso è travestito da una carriera ambiziosa, fatta di conquiste e ammirazione; per altri ha la forma di una famiglia unita, in cui le grida dei bambini si intrecciano ai profumi della cucina, per altri ancora può voler dire una vita di volontariato in Africa. Immenso o bizzarro che sia, ogni desiderio umano deve essere rispettato e valorizzato.

Il tema del sogno non è nuovo nelle opere del regista. In American Horror Story: Murder House, Larry Harvey (Dennis O’Hare) chiede a Ben Harmon (Dylan McDermott): «E tu? Quale sogno stai inseguendo? O forse, dovrei dire, quale sogno sta inseguendo te?».

Chiunque abbia una forte passione non può che ritrovarsi nelle parole del personaggio. Visto da fuori, un dono può risultare una benedizione, quasi quanto un potere sovrannaturale. Dall’interno, invece, ci sono giorni in cui lo si vorrebbe sradicare dalla propria vita, scambiandolo per uno meno impegnativo e con meno ostacoli. Poi, quando perdiamo ogni cosa, e ogni strada della vita inizia a  farci paura, esso torna trionfante a illuminarci il cammino e ci porta in un universo nuovo, dove possiamo essere noi stessi sognare ancora una volta.

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