Ilaria Garampi *
9 maggio, una memoria per il presente

Tutti figli d’Europa

Nel giorno che celebra le vittime del terrorismo, vale ricordare la vocazione unitaria di Aldo Moro, l’impegno di Peppino Impastato e di tanti giovani intenti a costruire un futuro comune. Una lezione, la loro, più che mai necessaria

Oggi, 9 maggio 2020, in Italia si celebra il giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice. Il 9 maggio del 1978 veniva ritrovato il corpo di Aldo Moro «acciambellato in quella sconcia stiva», evocato da Mario Luzi in una dolente poesia. Moro, illustre statista, docente universitario sensibile e generoso, più volte ministro e presidente del Consiglio, oratore costruttivo e democratico, cercava la mediazione e l’incontro con i suoi studenti come con l’opposizione politica. Fiducioso in una vocazione unitaria dell’Europa per superare i conflitti storici che hanno insanguinato il nostro continente, ha partecipato alla costruzione di un’Europa strumento di pace, di solidarietà, di democrazia. Importanti mattoni fortemente voluti da Moro sono stati la Conferenza di Helsinki del 1975, passo determinante nel superamento della Guerra Fredda, il dialogo euro-arabo – che lo portarono a entrare in contrasto con l’amministrazione statunitense –, la decisione di elezione diretta del Parlamento europeo sotto la sua presidenza del Consiglio europeo nel 1975. Moro non ebbe tempo di proseguire nel processo di integrazione perché venne barbaramente ucciso, così come gli uomini della sua scorta, dalle Brigate Rosse.

A centinaia di chilometri di distanza, lo stesso giorno dello stesso anno perdeva la vita Peppino Impastato, giornalista, e cittadino libero e ribelle: contro la mafia di cui era figlio, contro la sopraffazione nei confronti del prossimo. Per questo, assassinato senza pietà con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sul binario della ferrovia da sicari di quella che lui definiva «una montagna di merda». Oggi, nelle parole di Umberto Santino, fondatore del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, la sua «figura distrutta si ricompone lungo un binario che corre per il mondo, misura del desiderio orizzonte del sogno».

Il 9 maggio si ricordano anche i giovani italiani brutalmente uccisi in Europa. Ragazze e ragazzi, tutte menti brillanti, che da nazioni diverse studiavano e operavano con entusiasmo per dare voce e rafforzare le istituzioni europee. Indegne mani terroriste hanno reciso i loro sogni, il loro progetto, il loro spirito di servizio. Ma non le idee audaci e illuminanti, da tenere sempre a mente quando parliamo di Unione europea. E non sembra forse solo una pura coincidenza che proprio il 9 maggio del 1950 Robert Schuman – allora ministro degli Esteri francese – proponesse la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (la Ceca), il primo atto concreto della nascita dell’attuale Unione europea. Unione che oggi, festa dell’Europa, in Italia e in altri 26 Paesi, dobbiamo celebrare.

L’Europa in questi mesi in cui il mondo sembra fermarsi è il perfetto capro espiatorio, tanto da portare governatori di regioni, luoghi nativi di padri fondatori e di “figli” dell’Europa, ad ammainare la bandiera blu con le 12 stelle gialle. Le risposte europee alla crisi sanitaria, economica e sociale potevano essere certamente più celeri; le critiche sono legittime. Ricordiamoci però che oggi non festeggiamo la Federazione europea sognata da Altiero Spinelli (nella foto) ed Ernesto Rossi: gli Stati membri dell’Unione europea sono sovrani e indipendenti e, ad esempio, l’organizzazione dell’assistenza sanitaria è materia di competenza delle singole nazioni. Eppure in questa emergenza sanitaria si è manifestata una solidarietà tra Paesi che ha accelerato la velocità e i traguardi del progetto europeo. Pazienti italiani e francesi sono stati ricoverati in Austria e Germania, infermieri rumeni e norvegesi sono arrivati a supporto negli ospedali lombardi, milioni di mascherine sono state inviate in Italia da Francia, Germania e Slovacchia.

Le stesse istituzioni europee, seppur con lentezza, hanno approvato concrete misure economiche e sociali. La Commissione, ad esempio, ha sospeso il Patto di Stabilità; ha creato condizioni per una modifica, sulla quale è intervenuto il Parlamento europeo, per estendere l’ambito del Fondo di solidarietà dell’UE anche alla crisi della sanità pubblica. Un ruolo decisivo è stato giocato dalla Banca centrale europea, che a marzo ha lanciato una nuova versione di Quantitative Easing: il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp), un piano di acquisto di titoli di Stato da 750 miliardi di euro, condotti sino alla fine del 2020. Un paese come l’Italia potrebbe quindi vendere i suoi titoli di Stato senza essere strozzato dal mercato nel pieno della crisi. “Potrebbe”, non si sa se potrà, dopo la recente dura presa di posizione della Corte costituzionale tedesca che getta ombre sul futuro della politica monetaria comune e mette in discussione la supremazia del diritto dell’Unione europea. Risuona però autorevole la risposta della presidente Christine Lagarde, allontanando, per ora, il rischio di frammentazione dell’Eurozona: la Bce «continuerà a fare tutto il necessario e tutto quello di cui c’è bisogno per centrare l’obiettivo del suo mandato e assicurarsi che la sua politica monetaria raggiunga tutti gli Stati dell’area dell’euro». A ridarci speranza c’è poi un passo importante verso un’Europa comunità di destini: nel mese di aprile la Commissione ha proposto un nuovo fondo temporaneo da 100 miliardi di euro a sostegno delle politiche del lavoro, il cosiddetto Sure (Supportto mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Il fondo, che dovrebbe diventare operativo il primo giugno, pur nascendo per arginare una crisi, è il primo provvedimento finanziario creato con lo scopo di agire concretamente sulle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei. Servirà a evitare licenziamenti, integrare il reddito di chi si troverà disoccupato, supportare i lavoratori autonomi, organizzare corsi di formazione per le aziende.

Occorrerà che i progressi che stiamo vedendo siano trasformati dai nostri rappresentanti a Bruxelles in leve per un’Europa socialmente più equa, in grado di ridurre le disuguaglianze. Il desiderio di ritorno ai nazionalismi è dannoso, privo di spirito e sordo alla storia. Ecco perché dobbiamo partecipare alla costruzione di un’Europa unita democratica, che sia forza di progresso sociale per sé e per il mondo, anche in nome di Moro, Impastato, dei “figli” dell’Europa, personalità diverse, ma tutte giuste.

  • Ilaria Garampi è laureata in Economia all’Università degli Studi Roma Tre e laureanda alla magistrale in European and Iternational Studies all’Università degli Studi di Trento. A marzo ha iniziato un tirocinio presso il Parlamento europeo.
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