Marco Bruno
Un autore da scoprire

Per António Osório

Invito alla lettura di António Osório, protagonista del Novecento portoghese, poeta del mito e della passione. Per lui, l'imperativo è ricordare: ricordare significa amare, amare significa purificare e purificarsi

Un grande poeta, uno dei più grandi, portoghesi ed europei, del Novecento. António Osório. Mi fu imposto, io fui scelto, ma non scelsi io. E così non amai. Ma mi accanii sull’interpretazione. Avversità. Avversità. In tutti i sensi. Lavoro ciclopico, dedizione assoluta, attraversamento, odio espresso attraverso incomprensione voluta o indotta, rifiuto. Anni e anni di lavoro, per approdare all’anonimato.

“Dopo” sono tornato ad António Osório. “È difficile avere un padre, e non basta leggerne le poesie. […] Che [Nazim Hikmet] sia morto, non ha una grande importanza. Il suo modo di essere si è realizzato ed espresso nella sua poesia, e tutto continua, salvo il rinnovarsi della sua personale felicità o infelicità e il battere faticoso del cuore tra un infarto e l’altro. I suoi amici, presenti e futuri (ne nasceranno ancora tra molto tempo), continueranno a leggerlo e a ritrovarlo. Per Mehmet [figlio di Hikmet] soltanto la cosa sarà diversa.” (Joyce Lussu, dalla Nota alle proprie traduzioni, curatela del volume N.Hikmet, Poesie d’amore, Oscar Mondadori). Bisogna infilarsi fra i versi di Osório e scavalcarli, o cavalcarli. Persino il surrealismo portoghese è meno incomprensibile. “Sei le parole e i silenzi”, recita una mia poesia (libro del 2004). Solo facendo surf sul filo, sul pelo, fra le onde lapalissiane – fin troppo – e quelle ostili, esoteriche, reticenti fino all’assurdo, solo spostandosi continuamente da un’onda all’altra – così si può resistere in acqua, procedere, sopravvivere. Bisogna captare il confine, come un segnale radio. Per uscire dall’inferno, dantescamente, il piede fermo dev’essere sempre il più basso. “Chi dà luce rischia il buio” (Montale). Chi dà buio rischia luce. Ed ecco che Osório, nel suo rifiuto di dire, in realtà non ci lascia mai soli. La sua è una poesia “del day after” (Marco Bruno 2008).

Leggo Osório: BRIVIDI. Osório è maestro del sublime. Cosa comunica Osório: la missione di amare. Di trascendersi. Di perdonare. “Il segreto è amare” (titolo di un libro del poeta Sebastião da Gama, amico di Osório). Ricordare significa amare, amare significa purificare e purificarsi. Le poesie di Osório qui presentate sono straordinarie. Osório è un classico moderno e contemporaneo. Un autore che resterà per sempre. Un autore – come anche Pessoa, o Ariosto – può, con la letteratura, organizzare il mondo. Ma superiore al mondo (vedi Anna Maria Ortese, Cristo e il tempo) è la vita. E la vita è sposa della letteratura, della poesia, dell’innocenza. La vita non sono gli altri. Omero può organizzare il proprio funerale, per diventare immortale. “L’ignoranza della morte” è acquisizione di un sapere ulteriore rispetto all’inganno della morte. Ma è l’affetto che deve restare, senza il quale ogni vita perde pienezza, senso, bellezza. Discese agli inferi: la prima, la seconda, la terza. Osório preferisce paganizzare il mondo, e non per ateismo. E uno dei miti è il varco: dopodiché Dante / Osório, nel XXXIV dell’Inferno, può ritornare a galla con lo stesso mezzo che aveva usato per scendere: la voce, la poesia, che ignora, per natura e destino, la morte. È la voce che sale e che scende, perché non ne ha paura. “I’ son Beatrice che ti faccio andare; / vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare. / Quando sarò dinanzi al segnor mio, / di te mi loderò sovente a lui.” (vv.70-74); “I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, / che la vostra miseria non mi tange, / né fiamma d’esto ‘ncendio non m’assale.” (vv.91-93) (Inferno, II). La voce porta il divino al divino prima del divino. È l’incontro. È il potere della poesia. Bisogna seguire la voce, che viaggia sulle onde, questo è il contenuto e la forma dei versi di Osório. Bisogna seguire l’invisibile, il filo che non ci promette altro che se stesso, che ci attira solo verso se stesso. La dizione. La vetta.

“Il «bambino che ha mancato di tacere» è colui che, al cuore stesso del paradiso, ha conosciuto la minaccia del silenzio, dello scacco, della dispersione, e che racconta, infine, come è divenuto scrittore. […] Una riflessione sulla scrittura autobiografica che, senza pretendere di apportare una definizione in più, tenta di far trapelare uno dei suoi disegni più segreti: trovare la propria lingua per, secondo l’espressione di Canetti, riuscire a «udire i morti».” (Karen Haddad-Wotling, L’enfant qui a failli se taire [Il bambino che ha mancato di tacere]. Essai sur l’écriture autobiographique, Honoré Champion, Paris 2004)

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La radice affettuosa

Con gli anni
a poco a poco
la radice affettuosa
è penetrata
nel profondo della terra
fino ad arrivare
alla più piccola
e più antica
vena di lacrime.

(La radice affettuosa, 1972)

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In memoriam

Al fianco del corpo di mio Padre
piangevo questa povera carne.
E all’improvviso arrivò la tua
e mia felicità:

Ti sono accanto,
sto sorridendo, ti chiamo,
spero e aspetto che tu torni a casa,
ansiosamente corro alla porta.

E in grembo sento il tuo calore,
passeggio con te dandoti la mano,
domando, domando e tu rispondi
occultando il fine e la fine della vita.

Vederti dormire, guardarti dormire, gioia
pari alla tua
quando di notte
tranquillo io respiravo.

Ho tre anni e tu, Papà, sei giovane,
grande, signore del mondo,
dio dolcemente temuto
fin dal principio.

Così ti amo adesso senza lacrime.
Che in questo modo i tuoi nipoti
un giorno si ricordino di me,
nella tua, mia e loro
pura ignoranza della morte.

(La radice affettuosa, 1972)

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Camões

Mi leggeva Camões mio Padre.
La tristezza di entrambi
si fondeva, in me cresceva.
E la voce, l’inalterabile
propagginazione delle parole
procreavano sarmentosi legami.
(Basilico Mamma deponeva sul fuoco,
la carne di rosmarino profumava).
Il libro di bazzana nera,
le lettere congiunte in oro:
poggi, allusioni, muri
verdeggianti, le cose ultime della vita udivo.
Bavaglio invisibile. In lacrime,
mie, di mio Padre e di Camões, volavo.

(Il luogo dell’amore, 1981)

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Amore di sé

E il defunto potrà, come se fosse un
dio, fare tutto ciò che il suo cuore desidera.
Libro dei Morti, cap. CI (1480 a.C.)

Sete della seconda vita. E voglia Dio che io trovi,
occulto, un sentiero d’uscita.
Qualcuno restituisca il cuore
e in pace permanga, reale, incessante.
Possa un dio antico, non distrutto dal fuoco,
conferire la forma di un loto
pienamente aperto e vedermi,
sotto pioggia impietosa, in splendore di purezza.
No, mai confondersi con gli dèi,
combattono fra loro e periscono
come nidi serpeggianti di vespe.
Né con il falco, che nasce
e si occulta sulle montagne.
E voglia Dio che nel ciclo delle metamorfosi
sia, dopo essere stato loto, una rondine
che porti la tenebra prigioniera nelle proprie ali
ed entri in casa mia, nella scuderia
di Cristo e vada a prendere l’alimento
fra la foresta, il cielo e le messi dei posteri.
Che non abbia io nome, prossimo mistero.

Sete d’altra vita. E voglia Dio che la morte
mi seppellisca nel volo interminabile dell’infanzia,
sia io figlio di me stesso,
un neonato orfano e risusciti i miei Genitori.
E che smettano di rivolgermi suppliche,
che lavino in questa scaturigine di lacrime
ala spalla e che si adattino alla furia tagliente dei venti.
Possa la memoria non perdere
la sua purificante laringe, che torni, sillaba
a sillaba, ai primi istanti,
che io immobilizzi i suoi precipizi,
riviva, oda, mi guardi senza stupore,
senza cercare qualcuno che debba o no assolvere,
la giovinezza sia l’unico amuleto
e tutto il male esca, attraverso la radice,
dal sarcofago celeste.
Che non sia un essere circondato da mura,
un solitario distrutto nella sua solitudine,
che il mio tumulo fiorisca
e mai emani iracondo odore.
E voglia Dio che io possa tranquillizzare i miei vermi.

(Il luogo dell’amore, 1981)

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Omero

Ettore, l’eroe vinto.
Nulla poteva né può più alterare
la mira della lancia,
né il pianto di Andromaca,
che poi nel seno
gli seppelliva la nuca.
Odiava la guerra
ed era, ciononostante, implacabile
quanto illuminato e dolce.

Aizzati da Achille,
i cani gli leccarono il corpo.
E la pelle, le cartilagini
non si riseccarono: superava
le mura e gli asfodeli
troiani irrorati di rugiada. Suo padre
si rotolava in immondizia e cenere.
Egli era stato coperto da un dio
impietosito con olio di rose.

E quando apparve la decima aurora
lo collocarono su una piramide di legna,
con vino spensero il fuoco
e le ossa raccolsero in un’urna d’oro.
Nessun uomo
fu più degnamente pianto:
così volle Omero per sé
tali omaggi funebri,
bruciando, vivo, il suo fantasma.

(Decima aurora, 1982)

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Orfeo

Sono Orfeo, figlio di un fiume della Tracia
e della Musa Calliope. Poeta, musicista,
ho affascinato con la lira e la cetra
persino gli uomini più crudeli.
Questo è il mio epitaffio, che composi
mentre la testa veniva trascinata dal mare
fino all’isola di Lesbo. Ho avuto la fortuna
di restare nel tumulo che vedi,
presso il Monte Olimpo, dove il canto
dell’usignolo è ancora più dolce che altrove.
Ricorda, o straniero, che non avrei potuto
essere più sagace negli Inferi.
Sono entrato lestamente, ma di fra le ombre
i viventi riprenderanno mai chi amarono?
Non è stato del tutto invano che ho perso Euridice:
ho ottenuto che i supplizi
dei condannati venissero interrotti,
e che i tre Giudici
piangessero per il lamento del mio canto.
In autunno gli alberi (è ciò che devo loro)
hanno perso le foglie lamentando
per me e per loro il dolore del tempo.
Ci sarà sempre qualcuno che desideri
seguirmi nel folto
delle tenebre, e di me avrà nostalgia,
perché io ho accarezzato le belve
e libero dalla peste.

(Liberazione dalla peste, 2002)

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L’antica pensione

Al buio
i cani temono
di salire scale.
Come bambini
e donne anziane.

Era lo studente
che aspettavano
alla porta della pensione.
Restavano
al terzo piano.

Venendo dietro,
gradino per gradino,
egli parlava
e la voce
saliva, illuminava.

(Il dono della vita, poesie inedite e disperse, ne La luce fraterna. Opera completa, 2009)

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La consolazione della poesia

Non mi piacciono i silenziosi
cimiteri. I Greci
e i Romani avevano
ad accompagnarli,
lungo le strade,
dei versi inscritti
sulla pietra tumulare,
che tante volte
li esponeva come esseri
orgogliosi di ciò che erano stati.
Credevano nella poesia,
mai nella morte.

(La felicità della luce, 2016)

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© per gli originali portoghesi: António Osório
© per le traduzioni in italiano: Marco Bruno

 

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