Raoul Precht
Periscopio (globale)

Memoriale Szczypiorski

A vent'anni dalla morte, rileggiamo Andrzej Szczypiorski, romanziere polacco che ha raccontato i travagli del suo paese evitando toni moralistici e tratteggiando personaggi "eroici" privi di retorica

A vent’anni dalla morte, avvenuta il 16 maggio del 2000, le opere di Andrzej Szczypiorski non hanno ancora trovato in Italia e nel resto d’Europa, eccezion fatta per la Germania, l’attenzione critica che meriterebbero. In Italia, anzi, sono stati pubblicati solo tre dei suoi romanzi: da Adelphi, La bella signora Seidenman, nel 1988 (con una ristampa nel 2000), su cui torneremo dettagliatamente più avanti, e Notte, giorno e notte, nel 1996, mentre un terzo, Messa per la città di Arras, era uscito per e/o nel 1983. Trattandosi di un autore non particolarmente difficile, o sperimentale, le cause di questa disattenzione restano abbastanza misteriose. (In Germania, sia detto a mo’ di confronto, le sue opere sono uscite tutte, e in maniera puntuale.)

È vero che negli ultimi anni, da Herbert a Miłosz, da Wisława Szymborska a Zagajewski a Różewicz, per citare solo i pesi massimi, e senza dimenticare Halina Poświatowska, di cui abbiamo già scritto (clicca qui per leggere l’articolo), la Polonia è considerata sempre più terra di poeti, immensi poeti. Ma è anche vero che, per quanto attiene alla narrativa, le opere di Andrzejewski o di Gombrowicz fanno parte a tutti gli effetti del canone europeo novecentesco e testimoniano di una tradizione, anche narrativa, che non può certo essere trascurata. Si potrebbero inoltre aprire fruttuose parentesi su un personaggio unico come Bruno Schulz o sulla produzione di un Kazimierz Brandys, come di molti altri per i quali ci manca lo spazio, il che condurrebbe sicuramente alla rivalutazione di un patrimonio troppo spesso negletto. Patrimonio che, come nel caso dell’autore che ci interessa qui, è fortemente intrecciato ai temi spesso tragici della nostra storia recente.

Nato nella capitale polacca nel 1928, Andrzej Szczypiorski partecipò all’insurrezione di Varsavia e fu detenuto nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Dopo la liberazione, rientrato nella capitale, per guadagnarsi la vita cominciò a lavorare come giornalista, operando nel contempo a favore di un progetto di riforma del comunismo e d’indipendenza del paese. Tra il 1955, data d’uscita della sua prima raccolta di racconti, e il 2000 pubblica più di venti volumi, fra cui raccolte di articoli, saggi, racconti e alcuni romanzi di notevole successo. Lavora anche come giornalista radiofonico e alla fine dello stalinismo, dal 1956, è addetto stampa e attaché culturale a Copenaghen per due anni. Ostracizzato al ritorno in patria, per sopravvivere deve ripiegare sulla stesura di gialli e libri per bambini. Alla fine degli anni Settanta, in quanto esponente del dissenso e dell’opposizione democratica – come del resto Brandys, al quale accennavo poc’anzi, deceduto anche lui nel 2000 -, Szczypiorski si fa sempre più critico nei confronti del regime ed è nuovamente arrestato nel 1981 per effetto della legge marziale, avendo pubblicato clandestinamente alcuni articoli, e resterà in carcere per un paio d’anni; poi, nel 1989, alle prime elezioni a suffragio universale, sarà eletto senatore per il Comitato dei cittadini e l’Unione democratica, rimanendo in carica, non senza qualche delusione, fino al 1991. In seguito proseguirà la sua attività giornalistica, divenendo, grazie all’autorità che gli deriva dal suo passato, una specie di coscienza critica del proprio paese. Da sempre impegnato per la riconciliazione tedesco-polacca, Szczypiorski è stato anche membro della Società per l’amicizia polacco-israeliana, ambasciatore di buona volontà dell’Unicef nonché presidente della Fondazione polacca per i bambini e i giovani.

Come scrittore, e in particolare come romanziere, la sua fama resta prevalentemente legata a Początek (letteralmente: “L’inizio”), uscito a Parigi nel 1986 e subito tradotto in tutte le lingue europee con il titolo adattato e sicuramente più seducente de La bella signora Seidenman. È il libro che, in particolare nei paesi di lingua tedesca, gli ha fruttato non solo una notorietà improvvisa, ma anche numerosi riconoscimenti rilevantissimi, come il premio dello Stato austriaco per la letteratura europea, l’Andreas Gryphius, lo Herder e il Nelly Sachs. Parliamo di un romanzo di rara compattezza stilistica, dall’andamento vibrante e apparentemente inevitabile, come tutto ciò che concorre a formare un destino.

La storia si può riassumere in pochi paragrafi e conta, come sempre nella grande letteratura, fino a un certo punto. Del resto, Szczypiorski affermava di avere poca fantasia e di non poter quindi scrivere se non di quello che gli era capitato, o che conosceva per esperienza diretta.

Siamo nel 1943, in una Varsavia occupata dai nazisti, dove la bellissima ed elegante Irma Seidenman, vedova di un radiologo, grazie agli occhi azzurri e ai capelli biondi nonché a certi documenti falsi che si è fatta rilasciare, riesce a sfuggire alla reclusione nel ghetto, facendosi passare per la moglie di un ufficiale polacco. (Ricordiamo en passant, per meglio capire la drammaticità della situazione, che nel ghetto di Varsavia, oggi scomparso come se non fosse mai esistito, erano reclusi cinquecentomila ebrei, molti dei quali destinati a essere trasportati verso una morte certa a Treblinka.) Irma non fa i conti, tuttavia, con il destino cinico e baro, qui sotto le spoglie di un informatore dei tedeschi che la vede per strada, la riconosce e la denuncia alla Gestapo. La donna viene arrestata, ma a questo punto entrano in scena, nel ruolo di salvatori, una decina di altri personaggi che cospireranno per liberarla: anzitutto il suo vicino di casa, il dottor Korda, un filologo classico, che lei riesce ad avvisare all’ultimo istante; un altro vicino, Pawelek Krynski, ex mercante d’arte, che di Irma è sempre stato segretamente innamorato; poi Filipek, un ferroviere che opera per la Resistenza, il giudice Romnicki, e ancora Henryczek Fichtelbaum, un ragazzo di diciott’anni in fuga perpetua, la sorellina Joasia, salvata a sua volta, paradossalmente, da una suora cattolica e antisemita, un tale Kujawski, che ha rilevato una sartoria di ebrei e per sopravvivere lavora per i tedeschi, e perfino uno di questi ultimi, Johann Müller, che vive in Polonia, è ufficialmente iscritto al Partito nazionalsocialista e finirà per avere un ruolo di rilievo, poiché riuscirà a convincere il capo della prigione, Stuckler, che si è trattato di un equivoco e di uno scambio di persona. Tutti questi personaggi, apportando il proprio contributo e formando ciascuno una tessera di un grande mosaico, riescono a comporre una rete di salvataggio che porterà all’inaspettata liberazione della trentacinquenne Irma. L’epilogo del romanzo ci proietta nella Parigi del ’68, dove Irma si è rifugiata per sfuggire a una nuova e ulteriore ondata di antisemitismo in Polonia – una Polonia, come la descrive l’autore, sacra, ubriaca, prostituita, in vendita, piena di slogan, antisemitica, antitedesca, antirussa, anzitutto – e dove rincontrerà Pawelek. (Il riferimento all’esilio a Parigi, sia detto en passant, non può non ricordare a un lettore polacco l’altro grande esiliato di questa letteratura, il poeta romantico Adam Mickiewicz, che nel suo esilio attraversa un po’ tutta l’Europa, ma che proprio a Parigi, dove si stabilisce per alcuni anni, scriverà il famoso poema Pan Tadeusz.)

Il grande merito del romanzo di Szczypiorski, un ritratto di gruppo con afflati lirici, è la capacità di evitare qualunque tono moralistico e di delineare personaggi coraggiosi e persino eroici senza alcuna retorica e propaganda, e naturalmente a prescindere dalla loro nazionalità. Buoni e cattivi sono ovunque, ammonisce Szczypiorski, e in lui del resto non c’è davvero traccia di manicheismo. La questione che si pone quindi davvero per ciascuno, e che è ineludibile, è quella della responsabilità personale, che si somma e si innesta in quella più ampia delle colpe collettive di un intero popolo. Il romanzo è commovente non perché tenti di esserlo a tutti i costi con qualche mezzuccio diegetico stantio, ma perché riproduce in filigrana, nascosto da una storia tutto sommato “minore”, il dramma di un’intera umanità torturata, in un periodo storico in cui il sonno della ragione non ha prodotto tuttavia solo mostri, ma per fortuna anche qualche atto di giustizia e di umana pietà.

Meno speranzoso si rivela Notte, giorno e notte, del 1991, combinazione di storia d’amore e giallo politico non esente da elementi autobiografici, che si svolge nella Varsavia quasi completamente distrutta dell’immediato dopoguerra. Anche questo romanzo affronta i temi eterni della prigionia, della resistenza e di una storia vissuta che tutti però tendono a rimuovere, anche coloro che l’hanno subita in prima persona, sulla propria pelle, perché a trionfare è sempre e comunque solo la Storia “insaziabile e sinistra”, come la definisce Szczypiorski.

Scritta molti anni prima, nel 1968, in risposta alle purghe antisemite del regime comunista, e uscita tre anni dopo, Messa per la città di Arras ci riporta invece al Medioevo, per l’esattezza al 1461, quando caccia alle streghe e antisemitismo, provocati e incrementati da un’epidemia e dalla fame, finiscono per combinarsi e dar vita alla ricerca a tutti i costi di un capro espiatorio, sfociando in una condivisa barbarie.

Ma anche di altri testi di Szczypiorski, purtroppo finora non tradotti, bisognerebbe dar conto. Una storia d’amore adolescenziale nella Polonia che sta per essere invasa dai tedeschi è al centro di Afferrare l’ombra, romanzo del 1994 la cui componente autobiografica, nella descrizione del protagonista Krzysztof, è ancora una volta piuttosto evidente. Gli anni della seconda guerra mondiale sono descritti da Szczypiorski nell’ultimo romanzo, Giocare con il fuoco, uscito nel 1999. Con il precedente Autoritratto con signora, del 1993, eravamo invece ritornati quasi ai nostri giorni, alla Polonia post-comunista, con una trama ancora una volta incentrata su amore e politica e un ritmo più allucinato e serrato del solito.

Szczypiorski considerava la letteratura come una sorta di missione affidata agli scrittori dalla società, missione che ha cercato di compiere senza voli retorici e con una padronanza pressoché assoluta degli strumenti narrativi. Il suo magistero, soprattutto quello degli ultimi anni, sembra ancor più importante da ricordare se si considera che, dopo aver subito l’occupazione nazista e un comunismo dal volto disumano, la Polonia, paese centrale per l’UE, oggi quinto per numero di deputati al Parlamento europeo, sembra avviato già da alcuni anni verso nuove forme di sovranismo e autocrazia. Nella Polonia di oggi non solo si tende infatti a negare qualsiasi coinvolgimento nei crimini della Shoah, e in generale a reprimere qualunque critica rivolta allo Stato, ma si procede anche speditamente verso l’instaurazione di parametri politici che non sono ispirati alla mera conservazione, ma sono semmai reazionari e grettamente totalitari. Contro questo tipo d’involuzione l’unico antidoto, oggi come sempre, non è l’ennesima procedura d’infrazione dell’Unione, benché essa certo non guasti, ma appunto la memoria, che passa attraverso la lettura.

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