Anna Camaiti Hostert
Cartolina dagli Usa

Le vendette di Trump

Prima le provocazioni contro le manifestazioni di protesta per l'omicidio di George Floyd, poi il bavaglio a Twitter colpevole di segnalare le sue menzogne. Più le elezioni di novembre si avvicinano, più Trump brucia l'America

È mattina presto di venerdì 29 maggio a Minneapolis. Con una rabbia pressoché incontenibile sono incollata al televisore guardando CNN che inquadra la polizia in tenuta da sommossa dopo gli attacchi e l’incendio di ieri a un precinct delle forze dell’ordine della città del Midwest. È in attesa di una nuova manifestazione contro l’uccisione di George Floyd, che è stato soffocato dal ginocchio di un poliziotto in piena luce del giorno dopo essere stato arrestato senza opporre alcuna resistenza. Una vera e propria esecuzione a sangue freddo. Il giovane non solo implorava di allentare la presa perché non poteva respirare (I can’t breath!), ma chiamava disperato la madre nell’estremo tentativo di rivolgersi alla persona che sapeva amarlo incondizionatamente perché lo aiutasse, mentre sentiva che la vita se ne stava andando. Non c’è stato niente da fare. Il poliziotto ha continuato a mantenere la sua presa feroce senza che nessuno dei suoi colleghi, ben tre persone, intorno a lui intervenisse e senza neanche ascoltare le voci di alcuni passanti che lo imploravano di sollevare il suo peso da addosso al giovane malcapitato. Lo ha mantenuto finché il giovane non è spirato. La colpa di Floyd? Quella di essere nero.

Reazioni di protesta si sono estese a tutti gli Stati Uniti da Chicago, a Boston, a New York, a Denver, a Colombus in Ohio a Oakland in California a Louisville in Kentucky.

Credo che le immagini di questa esecuzione, perché non si può parlare di altro, abbiano fatto il giro del mondo. Lo sdegno che si prova a vederle, impotenti, è pari al desiderio di giustizia nei confronti di una comunità da troppo tempo discriminata, repressa, violentata e decimata. A conferma dello stato endemico di un razzismo generalizzato c’è inoltre stato in diretta l’arresto del giornalista CNN anch’egli nero, Omar Jimenez, presente accanto alla polizia con la sua mascherina e il suo lasciapassare. Pur avendo mostrato le proprie credenziali, è stato arrestato con gli operatori. Il fermo viene filmato dall’ultimo componente della squadra il quale, prima di essere preso in custodia, riprende ogni minimo particolare, compreso il fatto che tutti e quattro vengono ammanettati come fossero criminali. Alla richiesta del perché vengano arrestati, nessuno di loro riceve una risposta. Addirittura Jimenez contestualmente alla ripetuta richiesta dei motivi dell’arresto, cerca di tranquillizzare l’agente dicendo che se viene detto alla troupe dove devono mettersi per non interferire con le operazioni di polizia, sono pronti a farlo. Di nuovo non riceve riposta, ma solo un «mi dispiace, sto seguendo degli ordini», una frase, specie per noi europei di non felice memoria.

In questo stato di delicati equilibri determinati dalla pandemia che si è mangiata più 100.000 vite negli States, causando un irrigidimento degli animi, esasperando le contraddizioni, le emozioni e predisponendo tutti a reazioni spesso non sufficientemente meditate, ci sarebbe bisogno di un leader equilibrato che, se non è capace di modificare radicalmente la situazione, almeno moderi i toni e riporti il paese il più possibile a uno stato di normalità. E dio sa quanto ce ne sia bisogno in un paese come l’America dove, come ricordava Angela Davis molto tempo fa, «non basta più ormai non essere razzisti; bisogna essere antirazzisti» per modificare lo status quo.

A questo che cosa risponde Trump? Usa un altro dei suoi tweet: «When the looting starts the shooting starts» (“Quando iniziano i saccheggi, iniziano le sparatorie”) con un chiaro incoraggiamento all’esasperazione delle posizioni, alla violenza e allo scontro fisico. Schierandosi chiaramente dalla parte della polizia che, nella maggior parte dei casi e in questo senza dubbio alcuno, assume posizioni discriminatorie, violente, razziste, il presidente compie automaticamente un atto d’accusa nei confronti di chi manifesta liberamente contro i soprusi. Accusa chi scende in piazza di compiere meccanicamente delle infrazioni alla legge, come quella di saccheggiare i negozi o incendiare palazzi. E quindi ne limita la libertà di espressione. E autorizza la polizia a reagire a sparando, implicitamente uguagliando il libero manifestare ad azioni criminali. Come se le ripetute e sempre più frequenti uccisioni dei neri da parte della polizia non fossero atti di brutalità.

L’uso della narrativa esasperata di Trump incita alla violenza ed è certamente qualcosa di cui il paese, specie in questo momento, non ha bisogno. E va a inficiare quello stesso primo “sacro” emendamento della Costituzione americana, backbone della sua democrazia, che sancisce la libertà di stampa e di parola e dunque di manifestazione a cui ogni cittadino di quel paese non solo ha diritto, ma che invoca come essenza del suo stesso essere parte di quella comunità. Eh sì, perché non si può inneggiare alla presunta libertà della polizia appena macchiatasi dell’assassinio di George Floyd, di sparare sui manifestanti e poi accusare Twitter di privarlo della sua, quando il gigante tecnologico invita a verificare i fatti di cui egli stesso parla.

È accaduto infatti che Trump abbia, in un suo tweet, affermato che il voto per corrispondenza sia soggetto a frodi a suo svantaggio contestando che, così facendo, quelle del 2020 risulterebbero necessariamente elezioni truccate. Si è parlato di quel sistema di voto in conseguenza della situazione dovuta al coronavirus e al fatto che in ottobre ci potrebbe essere una seconda ondata e dunque sarebbe bene evitare sovraffollamenti del tipo di quelli che si verificano ai seggi elettorali. Al tweet di Trump Twitter ha messo una nota scrivendo in blu, in calce al messaggio, “get the facts about mail-in ballots” invitando cioè a verificare la veridicità di questa affermazione. È vero, è un intervento mai verificatosi prima, ma è anche vero che molte altre affermazioni menzognere sempre via Twitter di Trump – il social media che gli ha fatto vincere le elezioni – sono state lasciate correre come quella recentissima in cui accusa un giornalista di MSNBC Joe Scarborough di avere assassinato una stagista, mentre si trovava in Florida. La colpa del giornalista: avere fatto affermazioni contro do lui.

Sembra che il presidente invece di cercare di risolvere un’emergenza come quella del coronavirus stia soprattutto cercando di prepararsi il terreno per le elezioni di novembre, vendicandosi delle voci avverse. Così, per punire Twitter e gli altri social media (Facebook Google etc.) accusati di avere delle prevenzioni nei suoi confronti e di essere tutti troppo liberal, ha varato un executive order per limitarne il potere. Ha dunque reinterpretato, eliminandolo, il privilegio che secondo la Sezione 230 di quello che viene comunemente chiamato il Communication Decency Act del 1996 esentava i social da cause legali nel caso un soggetto pubblicasse qualcosa di illegale o ambiguo o peggio ancora controverso. Era una sorta di scudo che ha concesso loro di non intervenire sulle tante richieste di cancellazione dei contenuti.

Che ci sia un problema reale rispetto allo strapotere di questi giganti di Silicon Valley è confermato dal fatto che già Joe Biden ha annunciato vorrebbe limitare nel caso sia eletto. Ma per Trump è solo una vendetta, a causa del loro ostracismo, a sua detta, nei confronti del pensiero conservatore: loro obiettivo, secondo il presidente, sarebbe infatti quello di alterare le elezioni del 2020. Ma sia da destra sia da sinistra si sono levate le proteste degli esperti legali rispetto al provvedimento del presidente. Sarebbe anticostituzionale perché violerebbe i diritti delle società riguardo al primo emendamento (Trump viceversa si erige a paladino contro lo strapotere e il monopolio dei social media) e perché tenterebbe di bypassare gli altri due poteri dello stato. In sostanza Trump è pronto a censurare perché censurato, come gli ha detto Mark Zuckerberg, intervenendo a una trasmissione su Foxnews. Il fondatore di Facebook tuttavia ha criticato anche Twitter per il suo intervento.

Come sempre Trump, con un suo tipico atteggiamento, ribalta la situazione e si serve di una sorta di reverse discrimination per mettere in atto provvedimenti che giovano alla sua causa. E allo stesso tempo restringe i diritti di libertà di espressione del primo emendamento approfittando della situazione di emergenza di questi tempi di pandemia durante i quali la gente è preoccupata per il proprio domani immediato e impegnata a sopravvivere, piuttosto che a pensare alla propria libertà. Così contemporaneamente il presidente usa una narrativa che inneggia alla violenza da parte della polizia nei confronti di manifestanti infuriati dal suo comportamento violento e razzista, dando per scontato che siano solo ladri e criminali e implementa provvedimenti che, senza alcun tipo di regolamentazione, cercano di limitare a suo vantaggio il potere dei social media. Che ci sia un bisogno urgente di regolamentare internet è un fatto, ma il compito non può essere lasciato né a uno stato nazionale, né al mercato che tenderebbe a non occuparsi di porre limiti ai monopoli, né tantomeno a un singolo, che, come nel caso di Trump, vara provvedimenti su misura , ma ad un organismo sovranazionale che abbia un occhio attento alla situazione globale, al bene comune e a quello delle persone.

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