Riccardo Bravi
A proposito di “Proust a Grjazovec”

Proust in Siberia

Adelphi pubblica le “conferenze clandestine” sull'autore della Recherche che il pittore e scrittore Józef Czapski tenne durante la prigionia in Unione Sovietica all'inizio della Seconda guerra mondiale. E il tempo diventa il grimaldello per uscire dalla cattività

Ci sono libri scritti in altre epoche di cui è veramente arduo dimenticarsi. Uno di questi, La Recherche du temps perdu, opera-fiume composta di sette volumi dalla penna di Marcel Proust resta ad oggi uno dei capolavori della letteratura mondiale di tutti i tempi. Ora mi pare senza senso attardarsi a riassumere l’intero svolgimento – peraltro asincronico, come dal titolo, essendo proprio il tempo il principale protagonista di questa lunga narrazione – della storia che ne fa capo, dove il protagonista mescola il je dell’esperienza soggettiva con il moi del narratore che prende parte al racconto, vivificando a mano a mano quei tralicci d’esperienza rimasti a lungo offuscati dalle maglie della memoria involontaria, resuscitata proprio all’inizio, nel primo tomo Dalla parte di Swann, attraverso quei ricordi che riaffiorano alla mente di un già malato Marcel dopo aver inzuppato una madeleine al burro in una tazza di tè caldo.

Questo singolare prodotto artistico ha dato vita nel tempo a diversi tipi di riletture, riscritture, traduzioni (famosa quella iniziata negli anni ’30 da Walter Benjamin), sceneggiature e palinsesti prodotti nelle lingue di tutto il mondo, quasi a voler “sfidare” l’unicità dell’opera e darne – di conseguenza – un corrispettivo nella propria cultura di appartenenza. Di queste numerose rievocazioni entra a far parte la serie di letture tenute dal fine intellettuale e militare polacco Józef Czapski, eseguite durante l’inverno ’40-‘41 nell’allora campo di internamento siberiano di Grjazovec, recentemente ristampate dai tipi di Adelphi (Józef Czapski, Proust a Grjazovec. Conferenze clandestine, Adelphi, pp. 125, euro 18,00).

Neanche a farci apposta si tratta di una serie di letture – o meglio di ricordi («Questo dunque non è propriamente un saggio letterario, ma piuttosto una raccolta di ricordi su un’opera alla quale dovevo molto, e che non ero sicuro di poter rivedere, un giorno») – avvenute durante un duro confinamento, quello toccato ad un insieme di soldati dell’esercito polacco fatti prigionieri dai russi in una località siberiana chiamata Grjazovec agli inizi della seconda guerra mondiale. In questa serie di disparate disquisizioni alla maniera del Decameron di Boccaccio – dalla storia del libro a quella dell’Inghilterra passando per la storia dell’architettura e quella dell’alpinismo – Czapski decide di scandagliare l’animo dei suoi compagni commilitoni analizzando a memoria alcuni passaggi cruciali della Recherche di Proust, la quale era stata peraltro tacciata nell’allora Unione Sovietica di incarnare uno degli esempi della letteratura borghese decadente, venendo così messa al bando.

Ne viene evocato il profilo di un uomo totalmente travolto dalla scrittura, capace di sondare la realtà con una sensibilità smisurata ma soffrendo profondamente allo stesso tempo della sua condizione di malato, e dunque di outsider, in una società mondana che tanto si impegna a descrivere e raccontare (anche nelle sue frivolezze e abiezioni).

Scrive Czapski nella premessa: «In quei momenti pensavo con emozione a Proust, che, nella sua camera surriscaldata e tappezzata di sughero, si sarebbe meravigliato e forse commosso se qualcuno gli avesse detto che, a vent’anni di distanza dalla sua morte, un manipolo di prigionieri polacchi, dopo un’intera giornata trascorsa sulla neve, in un freddo che arrivava spesso a quaranta gradi sotto lo zero, avrebbe ascoltato con il massimo interesse la storia della duchessa di Guermantes, l’episodio della morte di Bergotte e qualsiasi altra cosa sono riuscito a ricordare di quell’universo di preziose scoperte psicologiche e di sublime bellezza letteraria. […] La gioia di poter condividere uno sforzo intellettuale ci dimostrava come fossimo ancora capaci di pensare e di recepire stimoli mentali completamente estranei alla nostra realtà contingente, e addolciva le ore trascorse nel grande refettorio dell’ex convento, sede di quella strana scuola clandestina in cui riuscivamo a far rivivere dentro di noi un mondo che allora ci sembrava perduto per sempre».

Sembra proprio un tragitto premeditato questo, il quale, prendendo a prestito la materia più incandescente della Recherche, cerca di sbarazzarsi delle pene apportate da quel marchingegno che sia Proust sia i commilitoni della prigione di Grjazovec fanno lo sforzo di recuperare: il tempo.

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