Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Cinto di luce il Vate

È così che D’Annunzio si vede, mentre scende dalle montagne, avvolto dai loro misteri. Una poesia sull’ascesa, l’anelito primigenio, l’archetipo che ci fonda. Per raggiungere l’irraggiungibile

Lingua a temperatura altissima, che può sconcertare qualche lettore anche amante di D’Annunzio. Il quale è poeta virtuoso e vertiginoso, ma anche modernissimo: qui il virtuosismo trionfa, la modernità non spicca.
Non s’inganni il lettore: D’Annunzio strappa la montagna dalla mitologia popolare delle polente e dei suoi terribili canti, la fa emergere come un vulcano primigenio nella sua tellurica, ignea, creante potenza.
La montagna è la vetta, ma questo D’Annunzio sa che lo sappiamo benissimo, quando scopre sapienzialmente, che è anche le fondamenta, l’archetipo dell’Olimpo del Pantheon greco, il tempio del vertiginoso impulso ascensionale dell’uomo.
Qui, in questa poesia di foscoliana potenza (anche del Foscolo manca l’irraggiungibile essenzialità del sommo lirico, da Saffo a Catullo a Cavalcanti Ungaretti), l’uomo scopre nella montagna il corrispettivo terrestre del cielo: un luogo mitico dello spirito che irresistibilmente aspira ad ascendere. Poesia per chi ama la montagna come esperienza estatica, pienezza ignea della vita pulsante.

 

 

Candide cime, grandi nel cielo forme solenni
cui le nubi notturne
stanno sommesse come la gregge al pastore, ed i Vegli
inclinati su l’urne
profonde dànno eterne parole, e fanno corona
le stelle taciturne;
o Montagne, terribili dòmi abitati da Dio,
ove gli anacoreti
d’un tempo immemorabile per sola virtù di dolore
conobbero i segreti
del Mondo e nelle rocce co’ i cavi occhi lessero come
in libri di profeti;
Montagne madri, sacre scaturigini delle Forze
pure, quando non era
l’Uomo; donde gioiosa alla cieca tenebra sparsa
balzò l’alba primiera
e alle vergini valli guidando le forme dei fiumi
scese la Primavera;
donde scesero stirpi umane d’oltrepossente
vita, giù per aperte
vie più vaste de’ fiumi, stampando titaniche orme
nella pianura inerte
che fumigava umida al sole purpureo, pregna
delle future offerte;
o Montagne immortali, non parla nel sacro silenzio
delle cose ignorate
il vostro Spirto? Ascolta l’anima mia se non giunga
un messaggio. Deh fate,
o Montagne immortali, che scenda dai vostri misteri
cinto di luce il Vate!

Gabriele D’Annunzio

Da Elettra, libro secondo delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi

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