Asia Vitullo
Il cinema dal divano

Il volo di Andy

"Le ali della libertà", film capolavoro di Frank Darabont con Tim Robbins e Morgan Freeman è un perfetto apologo sulla prigionia e una evasione impossibile da conquistare. E la cattività è un mezzo per crescere

La realtà, giudice supremo di ogni processo, condanna la nostra esistenza alla reclusione involontaria. Viviamo in una dimensione che sembra averci sottratto l’unica e imprescindibile forza motrice dell’essenza umana, l’autodeterminazione. «La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla», per citare Luis Sepùlveda, recentemente scomparso. E noi da che tipo di prigione cerchiamo di evadere?

Frank Darabont debutta nel 1994 con il film The Shawshank Redemption (Le ali della libertà, USA, 142’), costruendo un universo capace di trascinare lo spettatore nella gabbia infernale della cattività. La pellicola, disponibile su Netflix, si ispira a un breve racconto di Stephen King dal titolo Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, contenuto nella raccolta Stagioni diverse (Sperling & Kupfer, 2018). Classificato dalla rivista Empire al quarto posto nella lista dei cinquecento migliori film della storia, gareggia all’Oscar nel ’95 assieme a Pulp Fiction (Quentin Tarantino), Quattro matrimoni e un funerale (Mike Newell) e il vincitore Forrest Gump (Robert Zemeckis).

La vicenda, ambientata nel 1947, ruota attorno al vicedirettore di una banca di Portland, Andy Dufresne (Tim Robbins), accusato dell’omicidio della moglie e del suo amante. L’uomo, dagli occhi freddi e imperturbabili («Lei mi ha colpito per la sua freddezza e per la sua capacità di non provare rimorso signor Dufresne, mi si gela il sangue solo a guardarla»), è condannato a due ergastoli da scontare nel penitenziario di Shawshank, nonostante egli continui fermamente a dichiararsi innocente. In quel locus horridus incontrerà Ellis Boyd Regging (Morgan Freeman), l’unica sfumatura di colore che aiuterà il protagonista a fuggire dalla sua gabbia mentale e forse fisica. Soprannominato Red, è conosciuto dagli altri carcerati come «colui che può procurare qualsiasi cosa», perché si diverte «a far felice gli altri». La prigionia, alla quale è costretto a causa di un omicidio avvenuto vent’anni prima, non sarà la sua redenzione, ma uno strumento in grado di allontanarlo, per quanto possibile, dal ragazzo che tanto tempo prima aveva commesso quel crimine.

Samuel Norton (Bob Gunton), il perfido direttore della struttura, gestisce i condannati come pedine della sua personale scacchiera, istituzionalizzando i detenuti e deturpando la loro identità. La sua smania di potere è camuffata da una fede ipocrita e menzognera che lo trascinerà lentamente nel vortice della perdizione e della corruzione. Il regista Darabont accompagna il pubblico nella vertigine della privazione assoluta: lo spoglia di ogni tipo di superficialità e lo isola in un cosmo senza un’apparente via d’uscita. Le ali della libertà affronta quello che nella società moderna è un diritto inalienabile e, per certi versi, scontato, mettendo così in rilievo come il vero vincolo spesso nasca da noi stessi.

Andy, il banchiere dalla personalità enigmatica, non smetterà mai di sognare il blu dell’oceano, accompagnato dalla speranza di elevarsi dall’oblio al quale sembra destinato. Perché, come scriveva Frida Kahlo, «piedi, a cosa mi servite se ho le ali per volare?».

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