Leonardo Tondo
Cucina in quarantena

Il sapore dell’Est

Assimilabile al proverbiale piatto di lenticchie, il Mujadara è un’antica pietanza povera. Lo mangiano i cristiani arabi durante la Quaresima, ma anche gli ebrei due volte a settimana. Esotico e nello stesso tempo familiare

Il lungomare di Tel Aviv sarà meno glamorous di altri ma si snoda di fronte al Mediterraneo senza temere confronti con Copacabana, anzi è parecchio più sicuro. Già in aprile è pieno di gente che suona, canta, corre lungo i 10 chilometri, rafforza braccia, gambe e addominali nelle varie palestre pubbliche all’aperto. A differenza di venti anni prima, è raro vedere giovani con i mitra, ma di polizia ce n’è molta e rassicura. Sui posti dove andare, mi lascio consigliare da una quasi infallibile guida: un supplemento del New York Timesche racconta come vivere quasi tutte le città del mondo in 36 ore (36 hours in…) disponibile agevolmente online. Fra i suggerimenti per un ristorante si trova il Puaa cafè, nella parte araba a sud, Jaffa.

In un locale tra l’aperto e il chiuso, in una via stretta ma molto illuminata, pieno di giovani e meno di ogni provenienza, i tavoli e le sedie sono scompagnati secondo l’uso (a volte abuso) di tanti luoghi trendy. L’odore è quello dei suk arabi dove prevale il cumino e il curry. Rapidi camerieri mi offrono un tavolo con sedie precedentemente usate in un cinema o teatro, di quelle che la seduta si solleva con la molla appena ti alzi. Tra le varie opzioni, a fatica mi oriento verso un piatto ma allo stesso tempo sarei anche incuriosito da tanti altri. Quello scelto è con riso, lenticchie e cipolle, ingredienti che non possono non piacermi. Si tratta della mujadara o mejadra come appare sul menu. Vecchissima pietanza povera probabilmente cucinata per la prima volta a Baghdad nel 13° secolo, è assimilabile al proverbiale piatto di lenticchie. Lo mangiano i cristiani arabi durante la Quaresima, ma anche gli ebrei due volte la settimana: caldo il giovedì e freddo la domenica. Molto apprezzato anche dai vegani e si capirà dalla ricetta.

Un sapore di grande intensità, straniero, esotico, ma allo stesso familiare. Credo di averlo poi sperimentato almeno altre dieci volte con piccole modifiche e aggiunte. Non c’è una ortodossia nella preparazione come non ci sono gli haredimortodossi a Jaffa e tanto meno al Puaa (in generale non visti simpaticamente a Tel Aviv). Si inizia con olio di qualche seme e per noi rimane facile versare la quantità giusta di quello d’oliva, più o meno due cucchiai (220 calorie). Conta molto insaporire l’olio con un cucchiaino raso di cumino che sfrigolerà quasi subito. Nel frattempo si sarà tagliata una bella cipolla grande sottile (più o meno 80 calorie) e la si lascerà nella padella fino a caramellarizzarla, obiettivo raggiunto quando la cipolla sarà molto ammorbidita e avrà raggiunto per l’appunto un color caramello. Alcuni fanno oltrepassare questo momento fino ad arrivare a una cipolla appena croccante e con un sapore più intenso. Questione di gusti.

 

Nel frattempo, il riso basmati o non, integrale o meno, cuocerà in bianco con molta acqua in modo da eliminare la maggior parte di amido. Per la quantità dipenderà dalla fame, ma indicherei cento grammi a testa (350 calorie). Le lenticchie, il terzo ingrediente fondamentale, verranno cotte per conto loro, direi la stessa quantità del riso (290 calorie), magari con due-tre foglie di alloro. In teoria, se piccole, potrebbero essere cotte insieme al riso, ma la combinazione necessita di attenzione perché se un ingrediente cuoce prima, non c’è alternativa alla pattumiera e al ricominciare daccapo. Se invece riso e lenticchie sono pronti, si tratta soltanto di farli saltare insieme alla cipolla e alla fine si possono presentare con foglie di coriandolo (perfetto) o prezzemolo (accettabile). Una buona idea è l’accompagnamento con yogurth semplice, oppure accompagnato da aglio, cetriolo e menta, insomma tzatziki. Ma anche con pomodorini tagliati e conditi. Garantito che se chiudete gli occhi, nonostante la quarantena, la mente vola verso est senza bisogno di sognare molto.

Immagini di Roberto Cavallini

Facebooktwitterlinkedin