Silvia Romanese e Luca Zipoli
Cucina in quarantena

Finché c’è farina c’è speranza

Che cos'è quel vago senso di sconforto che ci prende quando, negli scaffali del supermercato, al posto della farina resta solo una polvere bianca senza più confezioni da comprare? Così sfuma la nostra voglia di torta di limone...

Le strade si svuotano e le dispense si riempiono, e ultimamente questi due termini si sono legati tra loro in una relazione inversamente proporzionale. A pensarci bene, in questi tempi in cui ci vengono a mancare tante certezze e i consueti punti di riferimento cui ancoriamo le nostre giornate, forse ritroviamo un po’ di sicurezza proprio in una dispensa piena e ben rifornita. È quell’istinto primario alla sopravvivenza che ci spinge a far provviste. Bardati di mascherine e guanti, siamo pronti ad affrontare interminabili ed estenuanti file davanti ai supermercati, e siamo disposti a ogni sacrificio pur di accedere a quel luogo pieno di scaffali e di merce in vendita in cui, come nel paese dei balocchi, ogni desiderio trova soddisfazione e ogni brama appagamento. Improvvisamente tutto appare ai nostri occhi indispensabile, di ogni prodotto riteniamo di non poterne assolutamente fare a meno, e preferiamo prenderne anche due, tre confezioni più del necessario.

Fra tutti i prodotti sugli scaffali, c’è quella polvere bianca a essere tanto ambita e ricercata: che sia di tipo 0, 00, tipo 1, tipo 2 o integrale, che sia di grano tenero, di grano duro o manitoba, la farina sta diventando la protagonista di molte delle nostre tavole in quarantena. Questa polvere magica, sapientemente impastata con acqua, olio, lievito, si trasforma in pizza, dolci, pane, e altri prodotti fragranti che sanno di antico, di buono. Ed ecco che i nostri forni, mai tanto attivi come di questi tempi, iniziano a produrre come per incanto torte, ciambelloni e crostate, in una ritrovata passione per la pasticceria. I più bravi e coraggiosi si cimentano addirittura nella pasta all’uovo fatta in casa e qui l’elenco si fa ancora più lungo: fettuccine, tagliatelle, lasagne, ravioli e cappelletti.

Le massaie di una volta erano le regine del mattarello ed era tutto un impastare e stendere con movimenti energici, precisi, e secondo un’arte tramandata di generazione in generazione, da madre in figlia. Quest’arte ormai si è in gran parte persa, ma questi tempi di reclusione forzata possono forse essere un’occasione per riscoprirla e farla rinascere tra le nostre pareti domestiche. Peraltro, mettere – letteralmente – “le mani in pasta” rilassa, scarica la tensione, e ci può allontanare momentaneamente dalle ansie del tempo presente. Se è la prima volta che ci cimentiamo, possiamo ricorrere a internet, ai tutorial, e possiamo scaricare e condividere le ricette: «l’ho fatto in casa per voi» recita proprio un programma tv di cucina molto seguito.

Oggi, scendendo a piedi dal terrazzo condominiale in cui avevo steso i panni, sulla porta di un vicino ho notato un foglio attaccato con lo scotch. Sembrava un avviso, e ho voluto leggerlo, per curiosità: forse avvertiva di tenersi alla larga da una famiglia contagiata e messa in quarantena? Nulla di tutto ciò, con mia sorpresa ho letto che si trattava di una ricetta per fare la glassa al limone. Penso che sia un segno dei tempi e del distanziamento sociale cui siamo obbligati, e di come però, ancora in questi tempi, la voglia di condivisione (anche culinaria) non sia venuta meno. La cucina non ha confini, non conosce costrizioni, e molte delle nostre case si sono trasformate in fucine che sfornano ogni ben di Dio, spesso oltre il necessario. Un desiderio di riscatto, un inno ai piaceri della vita.

Le mie riflessioni sulla farina hanno fatto subito cortocircuito con questo suggerimento inaspettato del vicino e mi è scattata l’idea: oggi preparerò una soffice torta al limone. Controllo di avere tutti gli ingredienti a portata di mano: bastano 3 uova, 200 gr di zucchero, 120 gr di olio di semi, succo e scorza di limone, lievito per dolci e – per l’appunto – 250 gr di farina. Il procedimento è semplice: per prima cosa si sbattono bene le uova con lo zucchero, quando il composto risulta spumoso si aggiunge l’olio a filo continuando a mescolare, quindi il succo e la buccia grattugiata del limone, infine si aggiunge un po’ alla volta la farina setacciata insieme al lievito amalgamando bene affinché non si formino grumi. Infine, versato il tutto in uno stampo imburrato e infarinato, si pone in forno preriscaldato a 180° per circa 40 minuti: il profumo sarà delizioso, garantito.

Finché c’è farina c’è speranza, insomma, ed è per questo motivo che è tanta la desolazione quando, arrivati al supermercato, ci troviamo di fronte allo scaffale vuoto su cui rimane solo un triste e leggero velo bianco. Ci sentiamo persi, speriamo che riforniscano al più presto per tornare a impastare. Questa battaglia, d’altra parte, la stiamo combattendo anche così, a mani nude, a mani infarinate, per non perdere la voglia di normalità e di ricominciare a vivere. Continueremo a farlo finché non sarà cessato il pericolo e chissà, forse allora isseremo ai davanzali i nostri grembiuli da cucina e i nostri canovacci in segno di vittoria. Viva l’Italia e viva la farina…di grano italiano naturalmente.

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Le immagini sono di Roberto Cavallini

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