Luca Fortis
Uno scambio di civiltà artistica

Visita a Baalbek

Il celebre museo Sursock di Beirut ospita una grande mostra dedicata ai tesori di Baalbeck, la località archeologica libanese che con i suoi templi romani ha segnato l'immaginario collettivo mediorientale

I templi di Baalbek sono il simbolo più noto del Libano nel mondo, dopo i cedri e le montagne. Nell’immaginario comune il Libano è pero legato anche alla cucina e alle antiche e sempre più rare case. Abitazioni che a un italiano ricordano quelle di Venezia, influenzate a loro volta dall’Oriente. Difficile capire chi per primo abbia inventato quello stile, che da secoli viaggia lungo la via della Seta e il Mediterraneo.

I templi di Baalbek negli ultimi anni hanno ricominciato a essere visitati, anche se per molto tempo lo sono stati poco, in parte perché la zona è controllata da Hezbollah e in parte perché si trovano vicino al confine siriano.

In realtà non si correva un reale pericolo a visitarli, ma più che altro vi erano timori psicologici, strascichi della guerra civile libanese che ha diviso il paese in zone cristiane e musulmane. Strascichi che solamente ultimamente si erano allentati e che proprio ora, che il paese viene da mesi di proteste di piazza e dalla bancarotta, cominciano purtroppo a tornare vivi. Il sito archeologico torna a essere nuovamente vittima sacrificale della guerra per procura tra Iran e Stati Uniti e Arabia Saudita. Una guerra che sta distruggendo l’economia e il tessuto sociale del paese. Tanto che i giovani, che non sopportano più le divisioni religiose e la visione settaria del paese, ma anche tanta gente per motivi economica, sono tornati a emigrare.

Dopo Baalbek, uno dei monumenti più visitati del Libano, è il museo Sursock, nato dall’impegno del collezionista libanese Nicolas Sursock per sostenere e promuovere l’arte. Riconoscendo la necessità del supporto istituzionale degli artisti in Libano, Sursock lasciò la sua splendida dimora allo Stato come museo d’arte alla sua morte nel 1952.

Proprio prima che le rivolte di piazza e la nuova crisi esplodesse, il museo – oltre a una mostra su Picasso – ha ospitato una splendida esposizione che si proponeva di analizzare e raccontare come Baalbek avesse influenzato l’immaginario comune libanese e internazionale. Una mostra che a suo modo, ha unito due dei monumenti più conosciuti del Libano, Baalbek e il museo Sursock. Due monumenti che attraversano in modo alternato, come il paese, continui momenti di crisi o di splendore, vittime delle circostanze internazionali e domestiche.

La mostra Baalbek, Archives of a Eternity, curata dall’anglo iraniano Vali Mahlouji, ha indagato sul sito di Baalbek e sull’immaginario a esso legato. La mostra ha raccontato il sito unendo tra loro prospettive archeologiche, etnografiche, antropologiche, culturali e artistiche per raccontare la storia di Baalbek dalle origini al momento contemporaneo. Tentando di accertare se e come Baalbek sia stata nel corso della storia ed è ancora un punto di riferimento e indicatore di “identità”.

L’archeologo diventato Vali Mahlouji è il fondatore della piattaforma “Archeology of the Final Decade”, che cerca di indagare su materiali culturali e artistici di tutto il mondo che sono stati sottoesposti, vietati o distrutti. Questa propensione per le forme trascurate si avvicina a ogni progetto, compresa la sua mostra Baalbek, Archives of a Eternity al Sursock Museum di Beirut.

Il designer della mostra è l’architetto Jacques Aboukhaled, lo stesso che insieme all’architetto francese Jean-Michel Wilmotte ha curato l’ultima ristrutturazione del museo. Aboukhaled, racconta che ha da subito apprezzato l’intuizione di Vali Mahlouji di raccontare e indagare la storia di Baalbek nell’immaginario comune.

Il visitatore della mostra, racconta, iniziava il percorso con una parte storica e archeologica, una parte su come il sito archeologico è stato raccontato dagli orientalisti europei e sulla loro visione di Baalbek. Si potevano vedere molti quadri, stampe e manoscritti dell’epoca. Poi vi era una parte con rari documenti antichi arabi e ottomani sul sito.

Oltre ai modi in cui Baalbek è stato utilizzata nelle narrazioni nazionaliste e orientaliste, la mostra rivelava la rappresentazione del sito archeologico nella cultura popolare del Novecento, attraverso film, musica, brochure e cartoline di viaggio. Fotografie e dipinti di Baalbek e della vicina valle della Bekaa mostrando come il sito abbia occupato le menti e le immaginazioni degli artisti libanesi, mentre una stanza su un lato dello spazio espositivo del seminterrato era dedicata alla storia del Baalbek International Festival, con poster vintage, programmi, libri e filmati.

Dal 1955, i più importanti cantanti di quegli anni e artisti provenienti da tutto il mondo hanno portato al Festival di Baalbek musica classica, danza, teatro, l’opera e il jazz, così come musica contemporanea di tutti i generi.

L’ultima sezione della mostra raccontava con delle interviste, come Baalbek viene percepita al giorno d’oggi.

L’architetto, Jacques Aboukhaled, con cui avevo visto la mostra quest’estate, mi racconta ora le linee guida con cui, insieme a Jean-Michel Wilmotte, ha ristrutturato il museo Sursock: il museo Nicolas Ibrahim Sursock è ospitato nell’antica residenza del collezionista, costruita nel 1912. L’architettura dell’edificio integra elementi veneziani e ottomani che erano tipici del Libano all’inizio del secolo. Il Salon Arabe, dove Sursock salutava i suoi ospiti, rimane intatto. Il legno intagliato con cui sono fatte le pareti e il soffitto, fu importato da Damasco negli anni ’20. Alcune delle piastrelle originali del palazzo sono ancora visibili al primo piano del museo.

La collezione di arte moderna e contemporanea comprende opere di artisti prevalentemente libanesi, dalla fine del 1800 ai primi anni 2000. Principalmente opere su tela e carta, ma anche sculture e opere miste. Particolarmente nota è la collezione di arte libanese della prima metà del ventesimo secolo, tra cui importanti artisti come Shafic Abboud e Amine el Bacha.La collezione è strettamente legata alla storia e all’evoluzione del Salon d’Automne, poiché le opere d’arte venivano spesso acquisite dal Museo a seguito del Salon. Il Salon, basato sul modello francese del XIX secolo, ha assegnato negli anni diversi premi per le opere più innovative. Si è tenuto regolarmente dopo l’apertura del Museo, ripercorrendo l’evoluzione delle belle arti in Libano nel corso degli anni. I maggiori artisti libanesi presenti al Salon negli anni ’60 includono Shafic Abboud, Yvette Achkar, Etel Adnan, Michel Basbous, Saloua Raouda Choucair, Paul Guiragossian, Elie Kanaan, Aref el Rayess e Adel Saghir.Il museo è rimasto aperto quasi sempre, anche negli anni della guerra civile. Tra il 2008 e 2014 è stato chiuso per ristrutturazione. L’espansione, racconta, Jacques Aboukhaled, ha aggiunto quattro piani sotto il giardino del museo, con un aumento di cinque volte della superficie totale del Museo, che è passata da 1.500 metri quadrati a 8.500 metri quadrati. La sfida principale è stata la creazione di nuovi spazi a venti metri di profondità sotto il museo, preservando l’architettura originale dell’edificio. Le nuove strutture dispongono di spazi espositivi aggiuntivi, tra cui una sala di 650 metri quadrati dedicata alle mostre temporanee, un auditorium da 168 posti, una biblioteca di ricerca completa, due spazi di archiviazione per la collezione permanente e gli archivi del Museo e un laboratorio di restauro, nonché un negozio e un caffè ristorante. Questo rinnovamento architettonico, aggiunge, fornisce tutti i componenti necessari affinché il museo funzioni come un’istituzione culturale all’avanguardia e ridefinisca la presentazione della sua collezione e delle sue mostre.Il museo è stato restaurato con una percentuale delle tasse che la municipalità riceve in cambio dei permessi di costruzione.

La chiacchierata si conclude con l’auspicio di Jacques Aboukhaled che i giovani libanesi tornino in massa a vedere Baalbek nei prossimi anni, nonostante la difficile situazione. Infatti, aggiunge, ancora molti ragazzi libanesi conoscono il sito archeologico solamente grazie alle immagini della tv, internet o della pubblicità, perché per anni si diceva che c’era Hezbollah e che non era sicuro. Questo articolo nasce anche dal fatto che sono stato più volte negli anni a Baalbek ed ero sempre solo, tra le immense e meravigliose rovine.

https://sursock.museum/.

http://www.baalbeck.org.lb/.

http://www.archaeologyofthefinaldecade.com/.

https://sursock.museum/sites/default/files/baalbek-exhibition_guide-en-web.pdf.

https://whc.unesco.org/en/list/294/.

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