Tina Pane
Cronache dall'Italia sospesa

Napul’è mille paure

«Attraversare via Salvator Rosa è ormai una sfida con la morte, le poche auto scendono a velocità pazzesca, gli autisti inebriati da tanta grazia pigiano forte sull’acceleratore e non sempre rispettano il semaforo»

Immagini di Roberto Cavallini

Avevo un ottimo motivo per uscire, il pagamento della polizza auto che scadeva. Normalmente, una rottura, che adesso diventava un’occasione. Così mi sono munita di autocertificazione e di polizza in scadenza, ho messo i guanti di lattice e un foulard a guisa di bandito per coprirmi bocca e naso, e mi sono incamminata oltre le colonne d’Ercole del mio quartiere. Piazza Gesù e Maria e via Pontecorvo quasi deserti, il centro sociale Scugnizzo Liberato chiuso come quando era un carcere e dietro piazza Dante, che si stagliava enorme e solitaria, una fila lunga lunga per entrare al Superò.

Poi a via Toledo, che impressione, tutti i negozi chiusi, coi loro begli avvisi di adeguamento all’ordinanza sovrapposti ai cartelli dei saldi, e la merce in vetrina che sembrava in sottovuoto, oltre che in quarantena. Piccole file davanti alle farmacie, tutte che avvertivano “mascherine esaurite”, ottici aperti ma vuoti, e tante persone distanziate in fila sul marciapiede largo del Banco di Napoli. Qualche camioncino che scaricava la merce, qualche operaio al lavoro in un negozio da ristrutturare e poi rari passanti: molti anziani, donne con le buste della spesa, addirittura qualche runner e qualche ciclista. Tutti abbastanza attenti a scansarsi dagli altri passanti, quasi tutti con mascherine di varia foggia e colore da esibire incrociando le ronde, a piedi e in auto, della polizia municipale.

Su tutto un silenzio innaturale e un cielo grigio che faceva apparire ancor più grigie d’espressione le facce della gente. “Sembra Baghdad, hai visto?”, mi ha detto l’assicuratore, e l’operazione, svolta in fretta e senza fila, si è conclusa con un saluto a distanza, l’augurio di prendere un caffè al prossimo rinnovo, tra sei mesi, e l’omaggio tardivo di un’agenda, alla carta non si dice mai di no.

Sono tornata per la Pignasecca, non c’erano le bancarelle di frutta e verdura, ma fuori ai negozi di alimentari file ordinate, e lampi negli sguardi che dicevano l’intesa, cercavano la muta approvazione: “Cosa ci tocca fare, per campare”. Una fila lunghissima fuori alla farmacia dei Pellegrini e chissà che atmosfera dentro l’ospedale. Un principio di lite nell’androne della stazione di Montesanto e fuori un ragazzo che realizzava un murales, unico elemento di normalità insieme a un trasloco della ditta “La Sicura”, mai nome fu più indovinato. Poi la faticosa risalita a piedi per le scale dei Ventaglieri (150 gradini di una delle pedamentine più abbandonate e sporche della zona) e i soliti vecchietti che continuano a stazionare a piazza Mazzini, con il sole, con la pioggia e adesso con il virus, immarcescibili sentinelle di solitudine e nullafacenza.

Attraversare via Salvator Rosa è ormai una sfida con la morte, le poche auto scendono a velocità pazzesca, gli autisti inebriati da tanta grazia pigiano forte sull’acceleratore e non sempre rispettano il semaforo. Varcare l’arco che introduce al condominio un sollievo e ritrovare lo spazio della casa una benedizione.

Pensavo mi avrebbe fatto bene camminare, e invece no, mi ha sconsolato. Una volta di più, io resto a casa, per l’aria mi accontento del balcone, dove ogni tanto arriva varia musica da ascoltare. Napul’è mille paure.

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