Flavio Fusi
Cucina in quarantena

Los abrazos

Una variante italiana della "birrìa", piatto tipico messicano del deserto del Vizcaìno, può essere chiamata "los abrazos": carne stufata e verdura per resistere alla carenza di abbracci di questi giorni

Se vi capita di attraversare lo sterminato deserto del Vizcaìno (e prima o poi vi capiterà, nella vita) non perdete l’occasione di fermarvi in qualche sperduto villaggio senza nome, per una indimenticabile sosta culinaria sotto la modesta insegna di una “birrieria”. Che il termine non inganni: non si tratta di bersi qualche birretta, ma di assaggiare un piatto popolare delizioso: la birrìa della Baja California.

Niente altro che carne stufata nel suo sugo, la birrìa può essere de res (di manzo) o de chivito (di capretto) e può essere servita come taco de birrìa, avvolta una calda tortilla di mais, o come caldo de birrìa, immersa in una tazza di brodo fumante. Con il caldo torrido del deserto, accompagnato da una birra gelata e condito con tutte le diavolerie piccanti che i messicani sanno inventare, questo piatto vi aiuterà a consumare in allegria i 300 kilometri e passa che vi separano dal meritato riposo notturno.

Il resistente recluso volontario può facilmente ricreare in casa questo semplice  piatto esotico, aggiungendovi qualche tocco in stile squisitamente italiano, e tutto rigorosamente a chilometro zero.

Intanto la carne: scovo un bel pezzo di magro dimenticato nel freezer in attesa di tempi peggiori (e i tempi peggiori sono infine arrivati), lo scongelo, lo sfilaccio con il coltello e lo metto a stufare con olio, abbondante cipolla e un pizzico di peperoncino.

Per il contorno consiglio due ingredienti: le ultime foglie di cavolo nero che ancora resistono nell’orto e un abbondante mazzo di bietola selvatica raccolta nei campi intorno a casa, durante la mia ora d’aria quotidiana.  Tanto per essere precisi: non corro ma cammino, seguo le regole alla lettera, mi tengo a distanza di sicurezza da altri esseri umani, rientro in casa e mi lavo accuratamente le mani.

In una larga padella faccio dorare appena nell’olio due spicchi d’aglio, poi verso a crudo le foglie lavate del cavolo nero e della bietola selvatica, bagno appena con mezzo bicchiere di vino bianco, condisco con un pizzico di habanero infernale seminato nell’orto. Copro infine con il coperchio e lascio stufare controllando di volta in volta il sapore e la cottura.

Nel piatto, infine: la birrìa fumante nel centro, e la verdura croccante a far compagnia. Aggiusto di sale e di piccante, se serve, infine accompagno con pane caldo per fare la scarpetta e un bicchiere di vino rosso della Maremma.

Chiameremo questo semplice piatto los abrazos, gli abbracci necessari tra Italia e Messico, come dire: tra l’Italia e il mondo. E mi sembra un nome di buon auspicio per quando potremo tutti davvero abbracciarsi, darci baci in bocca, pizzichi ai fianchi e pacche sul culo. Per quando i resistenti potranno uscire dalla loro reclusione volontaria, ammaccati, un po’ tristi e pensosi, ma pronti ognuno a suo modo a riprendere la strada.

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Le immagini sono di Roberto Cavallini

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