Flavio Fusi
Cronache infedeli

Doppio Limonov

Da una parte "l'eroe del nostro tempo", nazionalista e comunista, uomo dalle mille contraddizioni; dall'altra il mito letterario creato da Carrère: chi era veramente Eduard Limonov, agitatore e scrittore russo appena scomparso?

L’ultima volta in Italia fu nel maggio del 2018, al salone del libro di Torino. Il pubblico si aspettava fuoco e fiamme e si trovò di fronte un cantore delle bellezze naturali e artistiche di santa madre Russia. Si aspettava una denuncia del potere putiniano e si trovò in mano un libro – Zona industriale – che diluiva i toni della biografia maledetta in cedimenti  intimistici e moraleggianti. La sbiadita apparizione italiana confermava una eclisse personale, artistica e politica: a Mosca, Eduard Veniaminovic Savenko – in arte Limonov – era ormai uscito dai radar del pubblico scandalo e dalla lista dei nemici del Cremlino.

Ora che il piccolo, aguzzo, straripante, infelice ragazzo della periferia russa è morto, possiamo finalmente dirlo: nel nostro Occidente, Eduard Limonov è stato essenzialmente una creazione letteraria, protagonista mitico di un fortunatissimo libro che Emmanuel Carrère ha pubblicato nel 2012 sottoforma di autobiografia. Un volume denso, affascinante e sommamente bugiardo, che il vero Limonov confessava con civetteria di aver sfogliato e abbandonato a pagina 45.

Lo abbiamo incrociato, il vero Limonov, nei tumultuosi Anni Novanta a Mosca: indossava l’eterno giubbotto di pelle nera, si aggirava tra giornalisti e funzionari, sempre circondato e protetto dai ragazzoni del Pnb. Da Prospekt Mira alla Piazza del maneggio, da via Tverskaja a Piazza Puskin, presente in tutti i tafferugli, di volta in volta folklore, di volta in volta pericolo pubblico. Il suo Partito Nazional-Bolscevico, rosso-bruno, nazionalista, comunista e neofascista, era la copia esatta del fondatore: una contraddizione vivente.

Nella sua storia, vera o presunta, spicca l’adesione alla causa nazionalista serba nella guerra di Bosnia, la sua familiarità con il criminale di guerra Radovan Karagic. Ed era vera, o solo una vanteria da bullo, la sua partecipazione ai combattimenti, sui monti di Pale, in una squadra di cecchini serbi? Certa era la sua fede nazionalista, l’appassionata difesa delle radici di santa madre Russia, che seguì come una stella polare nel crogiolo dell’esplosione delle nazionalità, dall’Ucraina orientale, all’Abkasia, alla Transnistria.

Il suo giornale, poi, si chiamava Limonka. E limonka, nel linguaggio delle periferie russe, significa “bomba a mano”. Una bomba a mano, una granata pronta ad esplodere, si doveva sentire da sempre il piccolo Eduard, che fin da ragazzo volle chiamarsi Limonov. Adolescente scapestrato, e poi giovane expat nelle metropoli capitalistiche, prima New York e poi Parigi.

L’uomo Limonov, nel romanzo del francese Carrère, è il simbolo dell’irregolare: quattro mogli, gran seduttore di uomini e donne, “bisessuale e libertino”, homeless alla ricerca di sesso estremo nelle scorribande notturne a Central Park, mantenuto di lusso nella Ville Lumière, sempre pronto a disfare, rovinare, azzardare. Un personaggio “larger than life”, in bilico tra il trionfo e la catastrofe.

Distinguere il romanzo dalla vita è operazione inutile e vana, ma è un fatto che a Parigi, per esempio, Limonov collaborò simultaneamente con l’organo del partito comunista L’humanitè, con il foglio nazionalista Le choc du Mois, e con L’idiot International, una pubblicazione sommamente irregolare firmata insieme da intellettuali iscritti al Pcf ed esponenti della destra estrema.

Di nuovo in Russia, nel magma del passaggio dal socialismo realizzato alla terra di nessuno capitalistica, Limonov interpretò di nuovo il suo personaggio estremo e contraddittorio, con la fama ormai consolidata di intellettuale e scrittore maledetto. Il suo primo libro, Io sono Eddi  spacciò in Russia un milione di copie e in Italia  fu tradotto da Frassinelli con un titolo assai esplicito: Il poeta russo preferisce i grandi negri.

Per dirla con Lermontov, il personaggio Eduard Limonov, fu un «eroe del nostro tempo», di quel tempo fiammeggiante, una faglia tra due epoche nella storia russa: l’era dei grandi torbidi, che segnò il passaggio dal sonno comunista alla immobile palude del putinismo. La storia di quegli anni è anche cronaca di personaggi minori e ormai dimenticati. Stravaganti e drammatici: che fine hanno fatto il nazionalista Zirinovskij, il colonnello ribelle Rutskoy, il ceceno Kasbulatov, il torvo generale Lebed?

A tutti loro Limonov sopravvive, e nella sua ultima incarnazione di oppositore del presidente Putin verrà arrestato più volte per  terrorismo e manifestazioni non autorizzate: un perdente che tuttavia non rinuncia alla provocazione. «Il carcere – scrive – è stato per me come un monastero».

Ora che tutto è finito, resta un libro di successo e un personaggio letterario: il rosso-bruno, il fascio-comunista, il bolscevico nazionalista. Per rintracciare l’uomo che fu Eduard Veniaminovic Savenko, in arte Limonov, bisogna forse affidarsi alla sua più indifesa confessione: «Mi piace ubriacarmi, recitare poesie, discutere d’arte, chiacchierare e flirtare con le ragazze…».

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