Giuseppe Grattacaso
Cucina in quarantena

Cena con Leopardi

Lo diceva anche Leopardi: quando si mangia, è preferibile restare in silenzio. Figuriamoci in questi giorni in cui i singles vivono le loro esperienze peggiori. Da alleviare con totani e patate o paccheri al baccalà

C’è un momento, nelle giornate di clausura da coronavirus, in cui inevitabilmente chi vive da solo è portato a sentirsi davvero profondamente solo. Trascinato il corpo ad occuparsi di se stesso con le solite abluzioni quotidiane e con qualche manovra per mettere a posto i capelli sempre più fuori norma, ad uso della quotidiana videoconferenza di lavoro, tentato qualche timido passo tra la cucina e il soggiorno, il soggiorno e la camera da letto, facendo attenzione a non guardare verso il letto perché guai a piazzarsi lì prima che giunga notte, curata la mente per mezzo di letture, ascolto di musica, un film che si segue con sempre minore concentrazione, arriva il tempo in cui bisogna mangiare. Si tratta appunto, in questi giorni, innanzitutto di un bisogno, che va trasformato il più possibile in piacere.

Le poche considerazioni che seguono, che non mi azzardo a chiamare consigli, sono rivolte innanzitutto ai singoli di perdurante tenuta o di recente (virale) acquisizione. Esse non attrarranno certamente coloro che hanno postato, con ritmo da ristoratori, foto di piatti succulenti, finalmente sperimentati, impiattati e immediatamente immortalati per la gioia e i commenti estasiati degli amici social. Credo siano poco interessati anche i novelli panificatori, beati loro, alle prese con farine integrali e a doppio zero che, in seguito alle loro improvvisamente sapienti manipolazioni, si trasformano in sculture di sostanziosa varietà.

Qui si tratta biecamente di sopravvivere, e non solo nel fisico, di non lasciarsi andare a settimane di pasta al burro e tonno in scatola, solo per l’assenza di qualcuno sul cui volto vorremmo veder stampato un sorriso di soddisfazione o che solamente ci faccia da spalla. Questo dunque è un minuscolo manuale in dieci consigli e un paio di indicazioni culinarie.

  1. Nella scelta cinematografica quotidiana evitate tutti i film che presentino scene che vi mettano di fronte a cene al ristorante o, peggio ancora, tra le mura domestiche, in cui sia evidente la tensione emotiva dei commensali, la voglia di stare insieme, il gusto della chiacchiera conviviale. Sono da eludere con la massima attenzione le cene di coppia, i brindisi guardandosi negli occhi, ecc. Nel caso ci incappaste per errore, agite di telecomando.
  2. Programmate con anticipo i vostri pasti. La mattina dovete sapere cosa mangerete a pranzo e a cena. È consigliata una pianificazione sulle quarantotto ore. Arrivare a ora di cena e non avere idea di cosa mettere in tavola può causare crisi che si protrarranno inevitabilmente anche nella mattinata del giorno successivo. La giusta organizzazione evita anche di recarsi a fare la spesa troppo spesso, che con quel carico di angoscia che ogni uscita per approvvigionamento comporta, anche in merito alla lista da comporre, non è poco.
  3. Apparecchiate la tavola. Abbiate cura delle stoviglie che utilizzate e in particolare del bicchiere. Per chi ama bere un bicchiere di vino, un contenitore triste può darvi immediatamente l’idea della surreale situazione in cui ci troviamo.
  4. Non vi chiedete mai a che serve tutto questo. È una domanda che può portarvi molto lontano e non solo nello stato di triste consapevolezza. A ben riflettere, del resto, la questione non avrebbe una risposta risolutiva dinanzi a nessuna manifestazione umana.

    In ogni caso, come ricorda Nicola Fano citando Remarque nell’articolo che inaugura questa serie Cucina in quarantena, mangiare diventa un modo per distogliere lo sguardo dall’orrore e dalla fatica di vivere.
  5. Siccome distogliere lo sguardo dal precipizio non è per niente facile e potrebbe sembrarvi assurdo tutto quello che state facendo, consiglio di agire come in una messinscena. Concentratevi sui vostri gesti, agite con rigore, ogni azione deve essere svolta come ci fosse un pubblico a giudicare. Considerate i tempi delle battute. Ma non ci sono battute da pronunciare, direte. Ne siete proprio sicuri? Leggete bene il copione.
  6. Se proprio vi risulta intollerabile il silenzio che grava sul vostro pasto, prima di accendere il televisore, cosa altamente sconsigliata, leggete queste parole di Leopardi a proposito del mangiare degli antichi, che durante il pasto, ci ricorda il poeta, non amavano le chiacchiere. «Essi – scrive Leopardi nello Zibaldone – non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato (…). Quello è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco. (…) Ora io non posso mettermi nella testa che quell’unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esteriori della favella hanno un’altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell’uomo, e la digestione non può esser buona se non è ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforismo medico), abbia da esser quell’ora appunto in cui più che mai si debba favellare. (…) Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell’ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo». Leopardi dixit, noi prendiamo nota e di conseguenza apprezziamo il silenzio che ci fa concentrare sulle vivande. Inoltre appuntiamo che l’occupazione del mangiare è «interessantissima, e la quale comporta che sia fatta bene», perché da essa e dalla digestione «dipende in massima il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell’uomo». Anche mentale e morale, appunto.
  7. Non mangiate molto (il movimento, si sa, è ridotto al minimo) ma mangiate bene, cioè qualcosa che possa fare bene alla salute morale, oltre che a quella del corpo. Almeno una volta ogni due giorni cucinate una pietanza che vi dia piacere, che comporti una preparazione sufficientemente impegnativa. Provate a dedicarvi a ricette che facciano riferimento a un libro o a un film, o che vi ricordino qualcosa o qualcuno.
  8. Per esempio un luogo. Nella mia clausura da cinquanta metri quadrati, non ho nemmeno da guardare dalla finestra. Ho di fronte il muro, nobilissimo certo ma poco comunicativo, della chiesa della madonna dell’Umiltà. Mi manca il mare. Mi piacerebbe essere sul Lungomare di Salerno, le palme, il suono della risacca.
    Nei pressi del Lungomare c’è una trattoria dove mi reco spesso quando ritorno nella città dove sono nato. È una trattoria di quelle a gestione rigidamente familiare, dove propongono pochi piatti della tradizione locale. L’ultima volta vi ho mangiato totani e patate. Così penso possa essere uno dei piatti da proporre a me stesso nei prossimi giorni. La preparazione non è molto complicata. In una padella mettete a scaldare l’olio d’oliva con uno spicchio d’aglio, poi aggiungete i totani che avete tagliato ad anelli, se volete sfumate con vino bianco. Dopo poco unite le patate a tocchi e lasciate cuocere per una decina di minuti, salate e, per quello che mi riguarda, sarebbe opportuno abbondare in peperoncino. A questo punto aggiungete la polpa di pomodoro, coprite e fate cuocere per circa mezz’ora. Il piatto va servito caldo aggiungendo una manciata di prezzemolo. Non ho indicato le quantità degli ingredienti a bella posta. Abbondate, innanzitutto perché mangerete quasi sempre piatti unici e poi perché avete risolto parte del menù del giorno dopo.
  9. Tra il pranzo e la cena puntate decisamente sul pasto serale. È vero, non è salutare, è sconsigliato da tutti i nutrizionisti, ma fa bene all’anima e vi fa passare la giornata avendo un obiettivo. Inoltre potete accompagnare il pasto con un po’ di vino, facilitando così l’accesso alle ore notturne.
  10. Garantite però una certa ritualità al pasto della domenica, anche nella scelta della portata. Bisogna ricordare che è giorno di festa ed è necessario scandire il ritmo della settimana. Io sto pensando a paccheri al sugo di baccalà. Preferisco far soffriggere la cipolla invece che l’aglio, prima di aggiungere olive nere e pinoli. Il baccalà, liberato della pelle, va tagliato a pezzi e non va fatto cuocere troppo. Pomodorini saltati all’ultimo momento. Peperoncino, mi raccomando.

Leopardi, non potendo far assaggiare ai suoi familiari il “famoso latte-e-mèle”, invia la ricetta al padre Monaldo. Così scrive in una lettera del giugno 1827: «La ricetta del latte-e-mèle è molto semplice, perché consiste in fior di latte o panna, gelatina non salata, e zucchero a piacere. Ma il principale consiste nella manipolazione, della quale mi hanno fatto una descrizione assai lunga, e tale che io non so se la saprei riferir bene. Quando poi mi riuscisse di darla ad intendere, nondimeno non credo che la esecuzione corrisponderebbe; perché vedo insomma che tutto l’affare consiste nella pratica e nell’abilità manuale del cuoco…».

Valga anche questo da consiglio: la pratica e l’abilità manuale risultano comunque fondamentali.

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Le immagini sono di Roberto Cavallini

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