Raoul Precht
Periscopio (globale)

L’azzardo di Vian

L'esordio da grande promessa, il successo popolare (enorme) con un giallo durissimo, poi l'ostracismo della società letteraria e editoriale francese: storia di Borsi Vian, a cent'anni dalla nascita

Chi ha abbastanza immaginazione e audacia da introdurre in un romanzo, come se nulla fosse, un pianoforte perfettamente funzionante che, al di là delle sue normali prestazioni sonore, è anche in grado di preparare dei cocktail in base alla melodia suonata? Per essere più esatti, in questa creazione fantastica, denominata “pianocktail”, a ogni nota corrisponderebbe un liquore o un aroma, il pedale forte all’uovo sbattuto e quello debole al ghiaccio, mentre il seltz scenderebbe in caso di trillo nel registro acuto e la quantità di ogni aggiunta dipenderebbe dalla lunghezza della nota.

Non è, questo, che un esempio, fra tanti possibili, della fantasia di stampo surrealista, se non decisamente patafisico, di uno scrittore che di questi tempi (disattenti) rischia purtroppo di essere rapidamente dimenticato, Boris Vian. Nato cent’anni fa, il 10 marzo del 1920, Vian è stato uno dei personaggi più popolari e discussi nella Francia dell’entre-deux-guerres e degli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Poeta, chansonnier, autore di romanzi dalla forte componente autobiografica, drammaturgo, traduttore, virtuoso della tromba, cultore ed esperto di jazz, Vian è prima di tutto un personaggio curioso nei due sensi del termine: curioso per la sua apparenza dinoccolata, il pallore e l’esibita indifferenza, per l’eterogeneità dell’opera e degli interessi, per l’adesione spasmodica alle cose a prima vista più insignificanti, e al tempo stesso curioso in prima persona di tutte le sfaccettature dell’esistenza.

La sua breve vita – morirà ad appena trentanove anni – è intensa come poche altre e posta tutta sotto il segno dell’amicizia, che a volte si riveste anche di competizione e rivalità: amicizia adolescenziale con Yehudi Menuhin, alla cui famiglia il padre Paul cede, a seguito della crisi del 1929, la casa padronale, trasferendo la propria, di famiglia, nella casa del portiere, sia pure ingrandita per l’occasione; amicizia, più o meno nello stesso periodo, quello formativo, con François Rostand, figlio del biologo Jean e nipote di Edmond, autore del Cyrano; amicizia con Jacques Loustalot, detto “le Major”, che gli darà l’ispirazione per il personaggio di Chick nel suo romanzo più famoso, L’écume des jours (La schiuma dei giorni); amicizia con Raymond Queneau, che gli spiana la strada per la pubblicazione presso Gallimard del primo romanzo, Vercoquin et le plancton (in realtà si tratta del secondo, essendo preceduto da Trouble dans les Andains, rimasto inedito); amicizia con alcuni intellettuali che come lui frequentano l’ambiente esistenzialista di Saint-Germain-des-Près, come (per fare un solo esempio) il filosofo Maurice Merleau-Ponty; amicizia per il giovane editore Jean d’Halluin, che sarà all’origine dello scandaloso successo di J’irai cracher sur vos tombes (Sputerò sulle vostre tombe); amicizia per Jacques Prévert, con cui negli ultimi anni dividerà il pianerottolo di casa; amicizia, infine, per il duo Sartre-Beauvoir, anche se poi da Sartre si allontanerà anche per motivi personali, quando l’interessamento di quest’ultimo per la moglie Michelle, da cui Vian stava divorziando, si farà un po’ troppo insistente.

Ma l’amicizia è un caposaldo anche nelle faccende amorose, e si insinua in entrambi i rapporti sentimentali che per Vian hanno contato davvero: anzitutto quello appunto con Michelle Léglise, conosciuta a vent’anni durante le vacanze a Capbreton e sposata nell’arco di pochi mesi, in piena guerra, senza che la giovane coppia avesse alcuna certezza di potersi mantenere. Esentato dal servizio militare per una malformazione cardiaca, l’anno prima Vian era entrato all’Ecole centrale des arts et des manufactures al fine di ottenere un diploma d’ingegnere che nella vita successiva sfrutterà solo a fasi alterne; l’incontro con Michelle, il trasferimento a Parigi, nella casa messa a disposizione dai suoceri, e la nascita nel 1942 del primo figlio, Patrick, lo spingeranno a cercare fonti di guadagno un po’ dappertutto, in particolare nell’ambiente culturale che più gli si confà, anche se per qualche anno, grazie appunto alla formazione scientifica, Boris potrà contare su un lavoro stabile presso l’AFNOR. Lavoro che a pensarci bene è una contraddizione in termini, ossia la collaborazione di un personaggio difficile da classificare come Vian con un istituto, l’Associazione francese per la normalizzazione, che faceva di quest’ultima la propria finalità istituzionale. Nel 1946, lasciata l’AFNOR, Vian inizia a collaborare con alcune riviste importanti, come “Jazz-Hot”, “Les temps modernes” e “Combat”; nello stesso, fortunato anno, Gallimard gli accetta il romanzo Vercoquin et le plancton (che contiene peraltro una satira del’AFNOR non troppo dissimile da quella che Albert Cohen farà della Società delle nazioni in Belle du seigneur), e Boris comincia, dimostrando la sua proverbiale versatilità e la capacità vulcanica di abbozzare e far maturare rapidamente le proprie idee, la stesura del terzo romanzo, L’écume des jours, già tratteggiato mentre lavorava all’AFNOR, di cui Sartre gli pubblica subito alcuni capitoli sulla sua rivista.

Sempre in questo stesso anno, tuttavia, avviene anche l’incidente che imprimerà la vera svolta alla sua carriera di scrittore. Complice forse la noia dei mesi estivi, ma soprattutto la delusione per non aver vinto il Prix de la Pléiade, e il suo non trascurabile appannaggio di centomila franchi, malgrado i buoni auspici di Sartre e Queneau, Boris decide di dare una mano al giovane editore Jean d’Halluin, deciso a sfruttare la moda dei gialli hard boiled americani alla Chandler che stavano conoscendo un notevole successo di vendite. Boris scommette con d’Halluin di essere capace di comporre un romanzo del genere, e fra il 5 e il 15 agosto scrive di getto un testo di grande impatto, scabroso e durissimo, un vero pugno nello stomaco del lettore, che intitolerà J’irai cracher sur vos tombes. Non potendo e non volendo firmarlo con il proprio nome, finge di essere il traduttore del vero autore, il fantomatico Vernon Sullivan. La scelta del nome – tanto Vernon quanto Sullivan stanno per due musicisti allora in grande voga, Paul Vernon e Joe Sullivan – tradisce l’infatuazione di Vian per il jazz, ma lo rende anche facilmente identificabile. Il libro sarà un enorme successo di cassetta, forse il maggiore del dopoguerra, ma anche un succès à scandale, tanto che editore e “traduttore” finiranno sotto processo e saranno condannati, anni più tardi, a un’ammenda di 100.000 franchi. Poca cosa per un testo che, sebbene vietato fin dall’agosto 1949, aveva fatto guadagnare al suo editore due milioni di franchi, spianando la strada alla proliferazione di ulteriori polizieschi dello stesso genere, alcuni dei quali scritti ancora da Vian. Il processo si protrarrà tuttavia per anni, fino alla condanna definitiva di Boris a quindici giorni di carcere, amnistiati, e avrà quale effetto collaterale il raffreddamento dell’entusiasmo di Gallimard per un giovane autore su cui contava e aveva cominciato a investire, la cui reputazione risulta però irrimediabilmente macchiata. Del resto, Vercoquin e il libro del presunto Sullivan escono in contemporanea, e quest’ultimo fa passare quasi inosservato tanto il primo romanzo di Vian, quanto L’écume des jours, composto ancora una volta in tempi record, appena tre mesi, che esce ancora da Gallimard nel marzo 1947. Nell’Écume, testo in cui compare fra l’altro il già ricordato “pianocktail” e dei cui giochi di parole restano vittima anche gli amici, con un Sartre (ribattezzato Jean-Sol Partre) che anziché La nausea scrive un romanzo intitolato Il vomito, Vian concentra i temi portanti che ne innervano tutta l’opera: l’addio improvviso alla giovinezza spensierata, l’amore e le costrizioni del matrimonio, la malattia e la morte, la necessità di guadagnarsi da vivere, il mondo del lavoro, visto come un universo ripetitivo e terrificante, e per converso la libertà del jazz, una libertà peraltro dolorosa, trattandosi di un canto che affonda le sue radici nella sofferenza e nella disperazione. Il tutto sfruttando, da vero continuatore e seguace del surrealismo – Breton, Desnos, Tzara ed Eluard appartengono alla generazione appena precedente -, tutte le risorse della lingua francese, che con giochi di parole, calembours, ricorsi ad arcaismi, contrepèteries, neologismi e accostamenti inediti piega alle proprie esigenze narrative. Partorisce così un testo non impossibile, ma certo sempre arduo da tradurre, e va dato atto a Marcos y Marcos di aver tentato l’impresa non facile, negli ultimi anni, di presentarne in italiano nuove versioni.

In seguito, Gallimard gli rifiuterà il romanzo successivo, scritto mentre lavorava per il suo ultimo incarico da ingegnere all’Office professionnel des industries et commerces du papier et du carton, e Vian sarà così costretto a pubblicare L’automne à Pekin (Autunno a Pechino) con le Editions du Scorpion di d’Halluin; dopo il 1948 ne scrive un quarto (o quinto), L’herbe rouge (L’erba rossa), e si dedica, malgrado una conoscenza approssimativa dell’inglese, a un’intensa attività di traduttore (Chandler, Algren, i romanzi di fantascienza di Van Vogt ecc.), ben sostenuto in questa nuova sfida da Michelle, che l’inglese l’aveva invece studiato in modo approfondito.

Nel giugno del 1950, tuttavia, avviene il secondo incontro amoroso fondamentale, quello con una ballerina della compagnia di Roland Petit, la zurighese Ursula Kübler, che conosce a un ricevimento da Gallimard. L’anno dopo Boris fugge di casa, lasciando Michelle senza alcuna notizia per sei mesi e dividendo con Ursula una chambre de bonne; il divorzio, pronunciato nel 1952, sarà seguito da un nuovo matrimonio nel 1954, e anche il rapporto con Ursula, come in precedenza quello con Michelle, sarà caratterizzato da una fortissima complicità.

Nel 1951, intanto, Boris sarà costretto, per ragioni mediche, a smettere di suonare la tromba – grave rinuncia, se si pensa che vi si era dedicato fin dal 1938, ispirato dall’incontro con Duke Ellington – e si dedicherà alla stesura di un nuovo romanzo, L’Arrache-coeur (Lo strappacuore): rifiutato (anch’esso) da Gallimard, uscirà presso un piccolo editore, praticamente sconosciuto, e malgrado la prefazione di Queneau passerà inosservato. Per Boris la delusione è enorme, e ne scaturisce la decisione di non scrivere più romanzi e di dedicarsi ad altro. Le strade sembrano chiudersi l’una dopo l’altra, e il suo tono leggero e scherzoso è sempre meno apprezzato. “Dire des idioties,” aveva scritto, “de nos jours où tout le monde réfléchit profondément, c’est le seul moyen de prouver qu’on a une pensée libre et indépendante.” (“Dire delle idiozie ai nostri giorni, quando tutti riflettono profondamente, è l’unico modo per dimostrare di avere un pensiero libero e indipendente.”) Ma né le idiozie né l’autonomia di pensiero sembrano essere più troppo alla moda.

Da allora in poi Vian si consacra prevalentemente al giornalismo e a una serie di attività nel mondo musicale. Fra l’altro, scrive due libretti d’opera, uno per Georges Delerue, l’altro per Darius Milhaud, ed è assunto in qualità di direttore dalla Société Phonographique Philips, per la quale si occuperà in particolare della sotto-marca Fontana. Sarà lui a curare la produzione della colonna sonora del film di Louis Malle Ascensore per il patibolo, firmata da un altro vecchio amico, Miles Davis. Passerà poi a un’altra casa discografica, la Barclay, e comparirà come attore in vari film – da citare almeno le Liaisons dangéreuses di Roger Vadim e Notre-Dame de Paris di Jean Delannoy. Sul fronte poetico, si denuderà ed esprimerà le sue verità nelle liriche di Je voudrais pas crever, e inoltre comporrà e canterà circa quattrocento canzoni, fra cui la più nota, sebbene non la più bella, sarà Le déserteur. Composto ai tempi della guerra d’Algeria, il testo, con cui Vian esorta i giovani compatrioti alla diserzione, rappresenterà un nuovo scandalo per il perbenismo francese di quegli anni.

Nel 1955 – e non si tratta certo di qualcosa di episodico, ma di un piccolo avvenimento che svela un’altra sfaccettatura dei suoi interessi -, Vian sarà accolto come membro a tutti gli effetti del Collège de Pataphysique, dove presenterà, nel segno di Jarry e Allais, vari scritti, fra cui il trattato semiserio Mémoire concernant le calcule numérique de Dieu par des méthodes simples et fausses (1955); è in ottima compagnia, se si pensa che del Collège facevano parte, fra gli altri, Marcel Carné, Joan Miró, Eugène Ionesco, Jacques Prévert e Raymond Queneau. Del resto, le opere “patafisiche” rappresentano il culmine delle sue ricerche sul linguaggio, che rivisita con ironia e piglio parodico, usandolo quale strumento per mettere a nudo le aberrazioni della realtà.

Il 23 giugno del 1959 decide di assistere a una proiezione in anteprima del film di Michel Gast tratto da J’irai cracher sur vos tombes. Benché maldisposto a priori nei confronti della pellicola, a causa della quale si era già scontrato con i produttori – si reca alla proiezione privata anche per decidere se consentire malgrado tutto al regista di far comparire il suo nome nei titoli di coda -, al momento dell’inizio Vian è apparentemente tranquillo, e nulla lascia presagire che dopo appena dieci minuti possa accasciarsi sulla poltrona, colpito da un infarto fulminante. Muore all’improvviso e senza render conto a nessuno delle sue numerose colpe, quasi a confermare il suo aforisma di qualche anno prima: “Ni militaires ni prêtres parce que mon rêve a toujours été de mourir sans intermédiaire.” (“Né militari né preti: il mio sogno è sempre stato di morire senza intermediari.”) Muore di colpo, per uno sfaglio beffardo della fortuna, portandosi dietro il segreto di un’immaginazione scoppiettante e lasciandoci il rimpianto per una stagione culturale forse irripetibile.

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