Luca Fortis
Dalle Fontanelle ai Vergini

Purgatorio napoletano

Una notte di pioggia al Rione Sanità, tra la musica psichedelica dei ritrovi della città cosmopolita e le anime pezzentelle della tradizione secolare: così gli estremi della storia entrano in sintonia

Le nuvole corrono veloci, quasi si rincorrono nelle notti del Rione Sanità. Ogni tanto rovesciano su Napoli potenti scrosci d’acqua che bagnano violentemente tutto quel che trovano sul loro passaggio, poi di colpo le nuvole lasciano spazio alla luna e alle stelle. A un tratto tutto tace e diventa pacifico. Sulla terra l’acqua cola ancora sulle grandi rocce tufacee e sul cimitero delle Fontanelle. Gli unici rumori che rompono il silenzio sono quelli di qualche gabbiano o motorino di passaggio.

Le gocce cadono filtrate dalla volta tufacea e bagnano i teschi umani con le loro monetine, i biglietti dell’autobus e le sigarette lasciate dai fedeli e dai visitatori che sono passati a salutare le anime “pezzentelle” che riposano nel cimitero delle Fontanelle.

Qui, la tradizione vuole che riposino le anime delle persone morte durante le grandi epidemie o finite in fosse comuni per altre ragioni. La leggenda vuole che non avendo nessuno che preghi per loro, forse perché morirono con tutta la famiglia, rimangono bloccate nel Purgatorio. Per sfuggire a questo destino, le anime “pezzentelle” giungono in sonno per chiedere aiuto. Indicano alla persona a cui sono apparse quale è il loro teschio tra migliaia e chiedono preghiere per la loro anima. In cambio, chi prega per loro chiede che un suo desiderio diventi realtà. La persona che prega adotta anche fisicamente il teschio, detto “capuzella”: lo pulisce, gli dà una monetina per pagare Caronte, un biglietto dell’autobus, una sigaretta.

Una tradizione che attinge le proprie radici in tante usanze greche e romane. Ma anche legata al presepe e alla tombola. Se il desiderio non si avvera, spesso vuol dire che l’anima ha troppi peccati e quindi si smette di accudire e pregare per il teschio.

Certo, questi riti erano praticati originariamente nelle fosse comuni sotto le cripte di tante chiese del centro storico, nel cimitero delle Fontanelle le ossa arrivarono dopo l’editto di Saint Cloud a seguito del quale, non solo Napoleone proibì la sepoltura dei morti nelle città, ma incoraggiò, attraverso il suo luogotenente in città, Gioacchino Murat, anche a svuotare tutte le chiese, fosse comuni e catacombe che si trovavano in città degli scheletri e mummie. Per questo motivo oggi è impossibile sapere se i teschi del cimitero delle Fontanelle appartengano a una persona finita in una fossa comune, a un fedele pagano seppellito negli ipogei della Napoli greca o imperiale, a un cristiano seppellito nelle catacombe tardo romane di San Gennaro o in quelle seicentesche. Solo il teschio che chiama i fedeli in sogno lo può sapere.

Questa tradizione rappresenta un’alleanza tra ceti popolari di “questo mondo” e il popolo in transito tra Purgatorio e Paradiso. Le anime sono chiamate “pezzentelle” non perché povere, ma perché nessuno prega per loro e quindi rimangono bloccate in Purgatorio. Questi due popoli, per la tradizione, possono comunicare e darsi una mano l’un l’altro. Senza paura, anzi con una certa praticità. Se la grazia richiesta non si avvera, è perché l’anima ha troppi peccati: è semplice. Non resta che abbandonarla al proprio destino.

Quello del Rione Sanità è un bellissimo popolo, formato da tanti giovani che hanno saputo togliere alla zona l’etichetta di quartiere difficile o in mano alla criminalità organizzata. Certo, non tutto è risolto, ma oggi il quartiere ha un volto giovane, popolare e cosmopolita, in cui vivono persone provenienti da tanti paesi dell’Unione Europea, ma anche tanti ucraini e cingalesi. Il rione è anche pieno di turisti da tutto il mondo.

Il cimitero delle Fontanelle è nel posto giusto, infatti il Rione Sanità è da sempre la valle sacra di Napoli.

Qui nel sottosuolo si trovano sepolture e catacombe che vanno dall’epoca greca fino a quella barocca. Questo perché il rione si trova in fondo a un dedalo di crepacci e canyon che tagliano la collina tufacea appena fuori dalle mura di quella che era la Napoli greca e romana. Era quindi ideale per scavare catacombe di ogni genere.

Le stelle spariscono e lasciano il posto a un violento nubifragio. Un gabbiano vola tra le gocce d’acqua e va a posarsi sulla chiesa di Santa Maria della Sanità, che nasconde nel suo ventre le catacombe di San Gaudioso. Oggi le catacombe sono godibili ogni mattina con visite guidate organizzate dalla cooperativa di ragazzi locali, la Paranza.

Le catacombe sono di origine romana, ma in epoca barocca qui nasce un rito particolarissimo. Gli aristocratici pagavano, come in altri luoghi del Meridione, moltissimi soldi per farsi “scolare”, ma qui fanno un passo oltre. Fanno esporre i loro teschi murati alle pareti, con sotto affrescati i loro corpi, vestiti con gli abiti dell’aristocrazia e con scritte che elencano il nome, i titoli nobiliari e le cariche. Pagavano moltissimo e in cambio di questa pratica avevano il paradiso assicurato. Se alle Fontanelle vi sono le anime condannate a restare in purgatorio, a meno che non vengano aiutate dai vivi con le preghiere, qui vi sono le persone a cui i monaci assicuravano che grazie ai loro soldi, alla scolatura e all’esposizione del teschio affrescato, avrebbero avuto il paradiso assicurato. La ricca chiesa di Santa Maria della Sanità fu costruita e finanziata in pochi anni, grazie a questa pratica.

La sfilata di teschi maschili con il corpo affrescato che guarda la fila dei teschi affrescati delle dame aristocratiche dall’altro lato, lascia senza fiato. Una tradizione simile a quella delle mummie delle catacombe dei Cappuccini a Palermo. Anche se a Napoli durò solo quarant’anni e poi la chiesa la proibì.

Il temporale diventa sempre più forte, e il cielo rumoreggia per i tuoni. A qualche centinaio di metri, nel buio notturno, le catacombe di San Gennaro, sono vuote. Qui per centinaia di anni furono seppelliti prima i pagani e poi i primi cristiani.

In questo luogo trovarono casa per qualche secolo quelle che la tradizione considera le reliquie di San Gennaro. Le ossa del santo furono portate qui nel 400 d.C., dopo che furono trovate in una fossa comune. Vennero poi trafugate dal principe longobardo di Benevento, Sicone I, che assediando la città di Napoli nell’831, ne approfittò per riportare i resti mortali del santo nella sua città natale. Dopo questo furto le catacombe cominciarono a decadere perché considerate insicure.

Si iniziò pian piano ad abbandonare la tradizione romana di seppellire i morti fuori dalle mura della città e si incominciò a usare le chiese come cimitero.

Di colpo il cielo si apre e le stelle appaiono di nuovo. L’acqua continua a gocciolare sulle facciate dei palazzi e ristagna sulle tante edicole votive, dove tra santi antichi e moderni, statuine in ceramica di persone che bruciacchiano sulle fiamme, le cosiddette anime del Purgatorio, si alternano alle foto dei parenti delle persone defunte e luci al neon. Sono le persone che curano gli altari che mettono le foto dei parenti, chissà se sono consapevoli che i romani avevano nelle case gli altari per i Lari, che erano «figure della mitologia romana che rappresentavano gli spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale».

I più diffusi erano i Lares familiares, che rappresentavano gli antenati. L’antenato veniva raffigurato con una statuetta, di terracotta, legno o cera, chiamata sigillum. La tradizione è rimasta identica, solo che si usa la moderna tecnica fotografica al posto delle statuette e lo si fa in nome del cattolicesimo. In fondo anche la tradizione di rappresentare e pregare dei santi specializzati in specifiche questioni, ricorda molto la tradizione degli dei pagani, anch’essi specializzati e protettori di singole categorie.

Il vento soffia e le nuvole e le stelle si alternano velocemente. I gabbiani volano rapidamente nella notte. Uno di essi si avvicina alla casa di Totò che nacque in questo quartiere. Quando morì, Totò ebbe ben tre funerali, uno a Roma e due a Napoli, il secondo nella chiesa partenopea del Carmine, il luogo di culto era talmente pieno che nemmeno la famiglia riuscì a entrare, mentre il terzo fu organizzato nella chiesa di Santa Maria della Sanità, nel rione natale di Totò, da un autentico “guappo” di quartiere. Uno degli l’ultimi rappresentanti di un mondo in cui la demarcazione tra criminale e persona rispettabile era ancora labile. Il funerale fu celebrato con una bara vuota.

La pioggia ricomincia a scendere copiosa e bagna le antiche mura di Palazzo Sanfelice. Dopo la costruzione della reggia di Capodimonte, la famiglia reale e i nobili, nei loro viaggi da Palazzo Reale a Capodimonte, erano costretti a scendere nei crepacci e canyon naturali del Rione Sanità, fino a quell’epoca ancora zona di campagna e degli antichi cimiteri della valle sacra di Napoli, prima pagani e poi cristiani. Per arrivare alla nuova reggia si doveva scendere per poi risalire la collina di Capodimonte. Nacque quindi la moda di costruire palazzi aristocratici per rendere la sosta più gradevole e per stare vicini alla nuova reggia. Palazzo Sanfelice oggi è molto malconcio. Chi lo visita non sa se piangere per le sue pessime condizioni o ammirare lo straordinario fascino che il tempo e la totale decadenza, gli hanno conferito. Si tratta di una sensazione mista e del tutto contraddittoria, a cui forse non esiste risposta.

Il palazzo fu costruito da Ferdinando Sanfelice, architetto, pittore e nobile di epoca barocca, attivo a Napoli, Nardò e Salerno all’inizio del XVIII secolo. Ferdinando Sanfelice è stato uno degli architetti più creativi del Settecento napoletano, famoso soprattutto per i monumentali scaloni aperti da lui costruiti.

Il Rione Sanità, dopo un periodo di ricchezza, decadde dopo che Murat, il luogotenente di Napoleone a Napoli, fece costruire il cosiddetto ponte della “Sanità” che di fatto rese inutile scendere nei crepacci in cui è stato costruito il quartiere. Dal momento che si poteva andare diretti alla Reggia di Capodimonte grazie al nuovo ponte, il quartiere cadde in disgrazia e si chiuse in se stesso fino a pochi anni fa. Qualche centinaio di metri più giù, presso via dei Vergini, dove di giorno vi è un vivace mercato, ecco invece palazzo dello Spagnolo, anche esso con delle splendide scale in stile sanfeliciano, oggi perfettamente restaurate.

La pioggia cade violentemente sui Vergini, bagnando tutto quel che può. Nell’aria riecheggia una musica psichedelica che apre le porte a tanti mondi possibili. La gente balla in piazza nonostante il diluvio. È fuori da uno dei negozi e locali storici del quartiere, la Cantina Sepe, che tutti i giovedì ha creato una serata dedicata alla musica e arte in piazza, “l’Aperisepe”. Ogni giovedì artisti e musicisti si alternano creando serate indimenticabili, molto amate dai napoletani e non solo.

Sotto il diluvio, Pietro Platania e Andrea Ferrari, in arte “Low Gravity”, fondatori del collettivo romano, “RadioCircolo”, incantano la gente con la loro musica, tanto che nessuno fugge per il diluvio universale che si scatena sulle loro teste. Hanno iniziato a suonare in tardo pomeriggio, quando l’antico mercato era ancora vivo e pulsante e hanno continuato fino allo scadere della mezzanotte.

RadioCircolo è un “collettivo multidisciplinare cosmico” nato ufficialmente a Roma nel 2017, ma in attività da diversi anni. Una vasta rete di musicisti, djs, addetti ai lavori, fotografi, artisti visivi, persone veramente appassionate, tutte legate dall’esperienza musicale stessa. Un collettivo che crede nella musica come unità, una forma di resistenza artistica, veicolo di aggregazione e scoperta in una realtà non ordinaria. Nessun limite di generi o stili, una dimensione in cui l’unica cosa da aspettarsi è l’imprevisto. A Napoli hanno portato una selezione di dischi psichedelici, sonorità senza confini per musiche di “mondi possibili”.

La pioggia pian piano scema, le stelle riappaiono in cielo e i gabbiani guardano dall’alto la gente che balla. Il circolo della vita scorre come fa da sempre, apparentemente sempre uguale, ma sempre diverso. Il Rione Sanità continua a essere una porta su tanti universi possibili.

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