Cronache infedeli
La guerra di Masaccio
Il nuovo romanzo di Roberta Lepri racconta l'avventura di un quadro di Masaccio (la “Madonna del solletico”) dalla sua realizzazione fino a una contesa tra Hitler e Churchill. Un gioco prezioso per mescolare le passioni alla storia
Una storia disseminata d’indizi, un lungo viaggio nel tempo intessuto di colpi di scena, strappi e contraddizioni, animato da una brulicante folla di personaggi. Così ci appare il nuovo romanzo di Roberta Lepri, che fin dal titolo (Le lacrime di Hitler, 15 Euro) ci sfida a decifrare un estremo quesito: piangeva, il grande Satana del Novecento? O meglio: avrebbe potuto piangere, e quindi liberare l’umanità dalla guerra? La risposta ci porterebbe tuttavia fuori strada: non è il Fuhrer, e non è Winston Churchill, e non è Hermann Hess il protagonista dell’intreccio. L’attore che non ti aspetti è invece una inanimata ancorché sontuosa opera d’arte: la “Madonna del solletico”, minuscola tempera su tavola che il giovane Masaccio dipinse in terra di Siena agli albori del quindicesimo secolo. Ecco dunque: «Masaccio si accomodò nella grande stanza del cardinale Casini e dentro di sé ringraziò per il bel fuoco che la riscaldava. Siena era una città oltremodo fredda in quel novembre del 1426». Questa la scintilla iniziale: il potente porporato chiede alla scapestrato pittore un’opera unica, una impresa tale da far tremare i polsi: «Per realizzarla voi dovete essere ad un tempo artista, mago, scienziato e alchimista».
Siamo a pagina 32 e da qui in avanti il romanzo si dipana nel tempo – parola dell’autrice – come «la storia di un piccolo dipinto che voleva salvare il mondo». Da Siena a Firenze medievale, da Atene a Costantinopoli all’alba del Novecento, da Londra dei mercanti a Brighton dei marinai, la Madonna del solletico («una madre che solletica il proprio bambino sul collo ed egli che si ritrae») compie la sua ardita navigazione. Si nasconde e si ritrova, viene negata e rivelata, passa di mano in mano, illumina la vita degli umani che ne vengono in contatto, appare in sogno come un rimorso a chi la dimentica e la perde.
È infine nella tana dei lupi, nella Berlino dell’infezione nazista, che la piccola sfolgorante opera d’arte porta scompiglio. Qui il romanzo riconosce il suo punto di arrivo e Le lacrime di Hitler si distende in un intreccio di spy story all’interno di una narrazione rigorosamente storica. C’è una missione segreta, un aereo che vola nella notte di coprifuoco tra Berlino e Londra oscurata, un paracadute che plana con un fruscìo nella campagna scozzese, una muta di cani nel buio, un castello dalle finestre illuminate.
Ed ecco a Berlino i dignitari del Reich: il mercante d’arte Walter Hofer, algido e raffinato, il gerarca Hermann Goering, tormentato dalla gotta e dal tarlo del bene, l’inflessibile Rudolf Hess, spericolato messaggero del regime. Su tutti, aleggia lo spirito nefasto del Fuhrer, ed è singolare la scelta dell’autrice di fare di Hitler non un personaggio in carne ed ossa, ma un’aura violenta, una presenza di volta in volta impalpabile e oppressiva.
Se Hitler è privo di sostanza umana, il suo deuteragonista Winston Churchill è al contrario pura, sanguigna, terrena immanenza. Corpulento, iroso, sarcastico, Churchill «sembrava impazzito: si svegliava nel cuore della notte e si infilava nella vasca da bagno, poi beveva, fumava, dormiva mezz’ora, si alzava di nuovo. Tutto lo staff seguiva quelle peripezie e prendeva appunti delle sue direttive, spesso sotto ai bombardamenti». Il ritratto del personaggio risponde del resto alla verità storica: proprio oggi, nel momento in cui il Regno Unito abbandona l’Europa e l’Europa a malincuore lascia il Regno Unito al suo destino, dobbiamo forse guardare con gratitudine alla felice testardaggine di un uomo che ottanta anni fa, con il suo rifiuto di arrendersi al male trionfante, scelse la guerra e con la guerra salvò la sostanza e l’idea dell’Europa moderna.
Romanzo storico nella precisione dei suoi riferimenti e nella ricostruzione del paesaggio sociale e umano, Le lacrime di Hitler è in sostanza una parabola sul potere taumaturgico dell’arte e sulla potenza arcana della bellezza. E soprattutto una funambolica dissertazione sulla storia come poteva essere, e come invece inesorabilmente è stata.
Un piccolo miracolo domestico, infine, è stato compiuto dalla Madonna del Solletico. Scrive l’autrice, a commiato del libro: «Sono grata a questo singolare dipinto per aver reso le mie notti più brevi, affinando la mia capacità di ricerca e facendomi conoscere studiosi e storie che altrimenti non avrei incontrato. Ma ancora di più per avermi piegata alla pazienza e costretta alla compassione».