Mario Di Calo
In scena a Roma

Commedia Lagarce

Due spettacoli, quasi in memoria di Luca Ronconi, riportano all'attenzione il drammaturgo francese Jean-Luc Lagarce con la sua capacità di catalogare l'umanità. “I pretendenti" e Giusto la fine del mondo” sono ottime palestre per attori

La Roma teatrale di questi ultimi tempi sembra inavvertitamente omaggiare il maestro Luca Ronconi – di cui oggi, 21 febbraio, ricorre l’anniversario della scomparsa – con le connesse riprese degli allestimenti de I pretendenti (4/9 febbraio) e Giusto la fine del mondo (13 febbraio/1marzo) dell’autore francese prematuramente scomparso Jean-Luc Lagarce (1957/1995) di cui il regista volle fortemente la messinscena nella stagione 2009 al Piccolo Teatro di Milano, organismo che dirigeva.  Gli spettacoli, diversissimi fra loro, sono in scena rispettivamente per la regia di Valentino Villa e Francesco Frangipane, al Teatro Studio Eleonora Duse di Via Vittoria e al Piccolo Eliseo.

I pretendenti, testo del 1989, è messo in scena per conto dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica come saggio del III anno del corso di recitazione, in due versioni con due cast ben diversi, 17 personaggi riproposti in serate alterne per quanto sarebbe bello vederli a confronto. In un originalissimo impianto scenico di Francesco Mari, che consta di pochi metri cubici, quasi un luogo di devozione sacrificale, con segrete e botole impensabili, per quanto quel cubo di rosso laccato, mediante corridoi da rifugio nucleare sia attraversato lateralmente, nei quali avvengono molti dei preziosi dialoghi che arricchiscono il racconto. Ritroviamo un gruppo di tecnici convocati da un ipotetico consiglio di amministrazione per nominare un nuovo presidente, sotto la guida distratta di un delegato del ministero. I personaggi che brulicano la pièce a coppie vantano personali dubbi e/o speranze per quella nuova designazione. Alla fine i convenuti son costretti ad accogliere con malcelata accettazione la nuova decisione. Il fresco candidato addirittura abdicherà alla propria identità per meglio ricoprire quel suo ruolo.

La bravura, la raffinatissima tecnica drammaturgica di Jean-Luc Lagarce consiste proprio nel ricamare intorno ad una tematica di teatro dell’assurdo: ci gira intorno prendendosene gioco. I pretendenti non racconta nulla di specifico ma fotografa nitidamente la società, una “commedie umane“ da camera che cataloga tutte le tipologie naturali dell’animale uomo. Ogni identità si confonde nell’altra quasi a ritrovare una continuità della specie darwinianamente evolutiva/retroattiva, in accordo con l’andar avanti proporzionalmente della conoscenza. Valentino Villa, avendo messo in scena sempre con gli allievi dell’Accademia Noi gli eroi nel 2011 e Music-Hall per Rai Radiotre nel 2012, da pedagogo è bravissimo a individuare i tipi fisici dei suoi allievi più adatti nel ricoprire i ruoli più maturi, in modo da non far sentire assolutamente la mancanza di interpreti in età. E da regista impronta una direzione eccellente, millimetrica. Orchestrare i movimenti in uno spazio volutamente scomodo, piccolo, ristretto non è cosa facile; che bellissima immagine ordinata, maniacale, precisa quella di quando tutti e 17 gli attori/personaggi sono radunati all’interno della sala del verdetto.

Bravi, generosi, ineccepibili, da citare meritoriamente tutti gli interpreti, di entrambi  i cast: Andrea Dante Benazzo, Cecilia Bertozzi, Anna Bisciari, Ciro Borrelli, Adele Cammarata, Lorenzo Ciambrelli, Anastasia Doagā, Marco Fanizzi, Federico Fiocchetti, Carlotta Gamba, Vincenzo Grassi, Enrico Elia Inserra, Ilaria Martinelli, Michele Enrico Montesano, Luca Nencetti, Elena Orsini Baroni, Davide Panizza, Sofia Panizzi, Diego Parlanti, Eros Pascale, Evelina Rosselli, Caterina Rossi, Giovanni Scanu, Lena Sebasti. Da citare anche i costumi, bellissimi, di Maria Sabato, laddove finalmente l’abusato vintage anni settanta viene interpretato creativamente e con ingegno.

Viceversa Giusto la fine del mondo (1990) con la regia di Francesco Frangipane punta tutto sulla presenza carismatica di Anna Bonaiuto e di un ottimo cast (Barbara Ronchi, Vincenzo Di Michele, Angela Curri) di cui fa testacoda l’interpretazione impercettibile ed equilibrata di Alessandro Tedeschi nel ruolo del protagonista, Luis. L’uomo trentottenne malato (di Aids, male di cui non si fa mai cenno), dopo molti anni ritorna a casa, dove ritrova sua madre, sua sorella, ed un fratello oramai sposato con prole – dopo averli abbandonati in un imprecisato trascorso – per confessare il suo male, il suo annunciato trapasso. Unico elemento di contatto che lo aveva tenuto in relazione con la famiglia, delle cartoline che di tanto in tanto inviava, con saluti ridotti al minimo. Rientrando le cose non son cambiate fra i suoi familiari e forse motivo della sua partenza: soliti fraintendimenti, silenzi mai mormorati che caratterizzano molti nuclei familiari. Ognuno di loro nutre nel ritorno del figliuol prodigo la segreta speranza che quei nodi affettivi possano disciogliersi ma nulla di ciò avverrà. Luis preferirà tagliare la corda dopo un acceso confronto col fratello: ripartirà senza aver confessato il motivo di quell’atteso ritorno. Un sogno premonitore, in cui Luis perde la rotta, lo fa ritrovare fra terra e cielo, in quella sottile linea di contatto che unisce i due elementi, senza avere la possibilità di urlare il suo risentimento per il mondo intero: è ciò che più la rappresenta. La regia di Francesco Frangipane in bilico fra realismo e astrazione, assecondando il testo che gioca sempre fra autobiografismo e invenzione, come un set di cinema che ricostruisce fedelmente un interno domestico, spiattella dichiaratamente al pubblico il nesso drammaturgico e fra portate di un pranzo sacrificale tutto il resto del mondo può continuare a girare inalterato.

Facebooktwitterlinkedin