Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

Big Data Trump

Al di là dell'impeachment (che i repubblicani e i legali del presidente sanno gestire alla perfezione), la campagna elettorale Usa segna una grande novità: un nuovo uso delle profilazioni per "motivare" i propri elettori, più che per convincere gli indecisi

Sappiamo già che la procedura di impeachment del Presidente Trump, che si svolge adesso al Senato americano, non andrà da nessuna parte. I repubblicani infatti hanno la maggioranza in quella Camera e negheranno l’autorizzazione a procedere, ostacolando anche la citazione (subpoena) di possibili testimoni quali Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale nell’amministrazione Trump, allontanato dal presidente nel settembre scorso e altri. Bolton ha appena finito di scrivere un libro, non ancora uscito nel quale, secondo alcuni reporter, accusa Trump di abuso di potere. Ma questa volta, rispetto al passato, c’è qualcosa di diverso e di più grave. Le parole della senatrice democratica della California Dianne Feinstein fanno riflettere non solo sull’intero processo, ma su quello che sta accadendo negli States al momento. Qualcosa che non va preso alla leggera.

Parlando al Los Angeles Times il 28 gennaio, la politica californiana ha infatti affermato che l’impeachment previsto dai padri fondatori nella Costituzione proprio per impedire al potere esecutivo di avere tentazioni antidemocratiche e dittatoriali “in questo caso non riguarda tanto una singola offesa. Realmente riguarda il carattere e l’abilità, la sanita mentale e fisica dell’individuo a servire la gente e non sé stesso”. E ha aggiunto che è “chiaro che le azioni del presidente sono sbagliate”. Dopo avere detto che ha ricevuto più di 125.000 lettere che sostenevano la procedura contro Trump, la Feinstein ha concluso: “Queste hanno un peso fondamentale, tanto che mi chiedo: sarà abbastanza il voto che ci viene richiesto oggi per scongiurare altre derive?”

Nel frattempo Trump ad una manifestazione in New Jersey ha affermato che il suo impeachment e il procedimento in Senato sono parte di “una pazzoide crociata partigiana” messa in piedi dai democratici che, ha minacciato, “ne soffriranno le conseguenze e dovranno affrontare una schiacciante sconfitta’.

Ma perché le parole della senatrice sono importanti? Mettono in luce indirettamente il fatto che stanno cambiando le regole democratiche di uno dei paesi che sono stati un faro per la libertà e la democrazia nel mondo. A conferma di questo fatto, gli avvocati di Trump hanno infatti difeso l’autorità costituzionale del presidente di praticare e condurre la politica estera e gli affari esteri come meglio crede. “La nostra posizione è che il presidente abbia agito in ogni momento secondo l’autorità legale che gli è stata data” ha affermato Jay Sekulow, uno degli avvocati per l’impeachment. Mentre John Dershowitz, un altro del vasto gruppo di legali che difendono Trump, ha detto che “se un presidente fa qualcosa che crede lo aiuterà ad essere eletto nell’interesse pubblico, questo non può essere il tipo di quid pro quo che determini un procedimento di impeachment”. Secondo queste affermazioni ogni abuso di potere del presidente che lo aiuti nella sua rielezione non è passibile di impeachment. Aggirando un principio fondamentale della costituzione americana secondo cui un abuso di potere porta sempre all’impeachment del presidente. Un’affermazione grave che può condurre ad un’erosione del tessuto democratico del paese. Una cosa che non nasce oggi, ma che già si è affermata da qualche anno.

Durante le ultime elezioni si è cominciato a parlare di Big Data cioè di quelle informazioni sugli elettori, che sul modello del marketing commerciale, adesso vengono fornite ai candidati, senza lasciare niente al caso. Servono loro per organizzare la piattaforma politica e la campagna elettorale. Ebbene questi elementi forniscono un quadro totale degli elettori di una parte politica. Ma non incoraggiano il candidato a cercare di convincere gli indecisi; lo aiutano solo a capire come mantenere la propria base e come colpire i suoi avversari. Dunque gli algoritmi dei Big Data diventano divinità assolute e gli elettori invece zero.

I candidati adesso possono circumnavigare l’intero processo di persuasione. Non interessa loro convincere la gente o discutere per portare un elettorato che la pensa diversamente dalla propria parte. Semplicemente identificano le categorie sociali che sono sicuri li voteranno ed escludono gli altri. E questo può generare errori. Una delle ragioni per la quale Hillary Clinton ha perso le elezioni è che la sua campagna elettorale si è concentrata su quelli che in precedenza avevano votato per Obama, immaginando che di sicuro avrebbero votato anche per lei. Invece non si è impegnata sul motivo che poteva determinare uno spostamento degli elettori rurali, ad esempio,  verso l’avversario. Implicita in tale approccio politico ai Big data è infatti la convinzione che la maggior parte degli elettori dell’opposizione è in realtà irraggiungibile. Ma forse – ritiene Eitan D. Hersh professore di scienze politiche alla Tufts University e autore del saggio Hacking the Electorate: How Campaigns Perceive Voters (Cambridge University Press, New York, 2015) che ha osservato l’andamento delle campagne elettorali dei politici negli ultimi anni – la trasformazione riguarda l’uso specifico dei Big data degli elettori. Si determina un effetto di polarizzazione e di estremo radicamento delle proprie convinzioni a cui gli elettori stessi contribuiscono. Il modo più semplice per l’elettore medio di impegnarsi in politica infatti avviene attraverso il partito o un gruppo ad esso affiliato. Anche i politici preferiscono questo atteggiamento, perché sanno subito chi sta dalla loro parte e non si devono preoccupare delle defezioni. In teoria sembrerebbe che i Big data rendano il processo di “convinzione” inutile e mutano anche il modo di creare le decisioni e i programmi politici, spesso modellati sui desiderata degli elettori. Se i candidati parlano e rispondono sempre ai loro, questo porta però a strategie intransigenti.

Quello che abbiamo imparato nel 2016 è che non c’è nessuna protezione garantita. C’è sempre un prezzo da pagare per l’inefficienza che rende le variabili imprevedibili. Ade sempio i membri del Congresso sembrano pensare che la migliore strategia per mantenere i loro posti di potere è quella di iniziare battaglie di parte piuttosto che fare compromessi. E questo vale per tutti. È possibile dunque che i nuovi dati riguardo alle preferenze degli elettori li informino che una tale strategia è vincente. Ma se i Big data riducono la politica a una meccanica numerica, il dibattito politico non è più necessario. Le variabili che rendono questo processo mobile diminuiscono. Con un chiaro restringimento delle scelte democratiche.

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