Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Il risveglio di Scrooge

“Racconto di Natale” secondo Roberto Mussapi. Che dopo averci introdotto, attraverso la prima parte pubblicata sabato scorso, nella storia già narrata prima di lui da Dickens, oggi ci conduce nella sua conclusione. Come augurio per molti altri risvegli illuminati dall’amore

Pochi giorni prima di Natale ho proposto l’inizio del mio Racconto di Natale, libro di poesia pubblicato da Guanda nel 1995. Ora, come promesso, la parte finale. Natale è passato, per noi, sta ancora avvenendo, per Scrooge, ma è trascorsa la notte fatale e incancellabile delle visite di tre spiriti, con i quali ha volato nel cielo sopra Londra, ritrovando se stesso e il suo cuore. Ora è la mattina di Natale, l’incanto della notte agisce nel nuovo giorno.
Scrooge esce euforico di casa, si tuffa nelle vie londinesi, ansioso di salutare i passanti, ridere, comperare doni e cibi per parenti e amici, versare denaro ai volontari che lo raccolgono per la turba dei poveri; è allegro, felice, irrorato dallo spirito del Natale.
Questa epifania di gioia e rinascita si svolge, nel capolavoro di Dickens, in una mattina di sole: luce che si sostituisce alla nebbia londinese, raggi luminosi che subentrano al cielo grigio e «giallo come frittata», tepore che vince e fa dimenticare il gelo londinese.
Racconto di Nataleè un’imitazione, ma in quanto tale un libro nuovo, mio. La storia è la stessa del modello, con Scrooge rinato che corre per la città, ansioso di irrompere nella casa del nipote, carico di doni, a festeggiare. Ma il mio Scrooge non corre e gioisce in una mattina di sole, bensì, al contrario, nell’incanto di una gioiosa e incontenibile nevicata.
Il clima può cambiare sciaguratamente, come accade, da anni, in tutto il pianeta, ma per adesso noi restiamo o ancora paese di luce e sole, noi italiani, intendo, e da buon italiano il sole londinese mi intristisce. Quello vero è in Liguria, in Sicilia, a Napoli, o nella Costa Azzurra dei cugini francesi, su tutte le nostre coste. Esiste ancora anche a Roma, nonostante i terribili cambiamenti climatici e morali, riassumibili nella moda universale del cupo e del grigio.
Per me a Londra, come in altre splendide città del Nord, la neve è gioia, il Natale è neve. Il mio Racconto finisce con una travolgente, incantevole, miracolante nevicata. Ben diverso il finale, sarebbe stato, a Napoli o a Genova, o nella Capitale del mondo. Ma il prodigio del maestro è londinese, la musica e il ritmo sono quelli della neve, quelli di Walt Disney e del suo moto incantante.

 

«Vivrò nel passato, nel presente e nel futuro!»

Si stava svegliando mentre il tempo si apriva.

«Jacob, siano lodati il Cielo e il Natale!»

E intanto stringeva le lenzuola e diceva «Ci sono!

Non sono state strappate via, ci sono.

E tutti quelli che sembravano scomparire ci sono ancora.

E resteranno, ne sono sicuro»,

mentre si infilava gli abiti al rovescio e li lasciava cadere,

e si sentiva leggero come una piuma,

e allegro come un ubriaco o un ragazzo che esce di scuola.

«Ecco il pentolino dove c’era il brodo,

ecco la porta del fantasma, l’angolo dove era seduto,

e la finestra, e le piastrelle, prima così gelate!»

Tutto era esatto, tutto vero, tutto accaduto.

Intanto le campane scampanavano allegre e cortesi,

forse avevano bevuto, essendo inglesi.

E niente nebbia ma cadeva la neve,

scendeva morbida, danzante e ovattata.

«Che giorno è oggi?» chiese a un bambino.

«Il giorno di Natale» (e pensò, «È cretino»).

Ma lui incurante della rima disse «Un tacchino!

Quello più grosso, alla bottega di Smith, in vetrina.»

«Mezz’ora fa c’era ancora, bello grassone.»

«E se tra cinque minuti è qui avrai un centone.»

«Ma è più grosso di me», disse il ragazzo.

«Costi quello che costa, non me ne importa un cazzo!

Eccoti l’indirizzo e il denaro,

questo per te e questo per il venditore.»

Quello schizzò come avesse il motore.

Poi i suoi occhi scesero al batacchio,

lo avvicinò carezzandolo con la mano,

e distaccandola vide il volto nel rame,

il volto di Scrooge, e non ebbe paura,

e pensò a Marley, a quella meravigliosa avventura

di un morto che s’era degnato di apparire

a un suo ex socio, vivo, per amore.

Così quando uscendo per le strade innevate

vide uno dei due benefattori,

gli corse incontro e gli parlò a bassa voce,

e quello trasalì mentre Scrooge firmava l’assegno.

E mentre l’altro lo ringraziava Scrooge prese molta neve

e gliela stampò in faccia e rideva

come avevano riso altri nel suo passato,

che non sembrava così perduto e dannato.

Andò in chiesa e camminò per le strade

guardò dalle grate nelle cucine delle case,

poi si diresse a quella del nipote.

Scrooge camminava come elettrizzato

dal ritmo vertiginoso della nevicata,

la neve che mulinava ipnotica attorno ai lampioni,

smaltando di bianco le vecchie strade,

la neve che volteggiando diffondeva dal cielo

alati bianchi, briciole di pane,

esseri levitanti, puri e chiari,

la neve che risanava e puliva l’atmosfera

ricoprendo le vie di zucchero filato,

la neve che rendeva sensibile il silenzio del cielo

e il crepitare di impercettibili voli,

e sotto le suole produceva un rumore

crocchiante e delicato da paese lontano,

come se calpestasse una terra dimenticata

che a poco a poco camminando riconosceva,

un bianco più antico di quando era bambino,

che lo legava a tutti i viventi come in un tappeto

le trame legano insieme fibra con fibra:

ora il tappeto crepitava lieve sotto i piedi,

tappeto, o manto, o una pelliccia zuccherata,

che rendeva la città vibrante e incantata.

(…)

Negli anni che passarono Scrooge fu un secondo padre

per Tiny Tim, che riuscì anche a camminare,

e non sapeva di quegli occhi perduti

nell’inferno nebbioso del dolore,

che lo avevano fissato con disperazione

per salvarlo e volevano morire

piuttosto che morisse lui, il bambino.

Quello fu solo un momento di amore,

la cosa strana e nascosta che ci possiede

e può morire con noi inconosciuta

se qualcuno una notte non ci viene a svegliare.

 

Molti ridevano di Scrooge, che pareva un bambino,

ma questo è normale nel mondo terreno,

tu custodisci un miracolo e produci risate.

Scrooge sorrideva sempre, era felice.

Gli spiriti non lo vennero più a frequentare,

erano in lui, li ricordava,

lo avevano popolato e lasciato solo,

con tutti quelli che incontrava per strada.

E tutto per un sogno di una vigilia di Natale,

che lui scambiò per un’indigestione di mostarda gelata,

quando la nebbia nasconde anche la campana

e il suono giunge come lontano e abissale,

e le ossa sembrano sgretolarsi nel dolore,

per tutto il mondo d’immagini che si è disgregato.

All’improvviso attraverso un acuto dolore

e visite tremende, spietate, infernali,

tu hai tutto di fronte, scena per scena,

e ne hai orrore ma anche pena,

e ti vedi come uno sconosciuto lasciato nel gelo

del letto senza amore e senza mattini.

Poi uno ti condusse al buio ma dandoti la mano,

e a poco a poco la nebbia dileguava,

e cominciava a scendere la neve,

con la sua luce molecolare e moltiplicata,

e il bianco rinasceva miracolosamente dal buio,

e Scrooge, uno di noi, si sentì nato.

Roberto Mussapi

(Da “Racconto di Natale”, Guanda 1995)

 

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