Sergio Buttiglieri
Visto al Fabbricone di Prato

Il partigiano Creonte

Il regista Massimiliano Civica rovescia la tradizionale interpretazione di “Antigone”: l'eroina di Sofocle diventa una prepotente principessa Savoia e Creonte un partigiano. Il conflitto ora è tra democrazia e monarchia

Tutti noi abbiamo amato Antigone, l’eroina di Sofocle che disubbidisce alle leggi terrene imposte da Creonte, per dare sepoltura al fratello morto in battaglia. Una sorta di Carola Rakete dei nostri giorni che scuote la nostra apatia perché ritiene giusto salvare chi è in pericolo nonostante i porti chiusi, abbracciando la legge “non scritta” che tutti noi spesso facciamo finta di non ricordare. Anche con Antigone, però, c’è chi non ha condiviso il suo carattere, il suo radicale non-dialogo con la dolce e passiva sua sorella Ismene. Questa sua intransigenza produrrà come risultato la morte di Antigone stessa, assieme al suicidio della madre Euridice e a quello del promesso sposo Emone che inutilmente cercherà di convincere il padre Creonte: «Gli dei ci hanno fatto capaci di ragionare, non devi vergognarti di cambiare opinione». Neppure l’indovino Tiresia, nella convenzione del teatro greco sempre portatore di verità, riesce a far ragionare Creonte, e a farlo desistere dal suo editto.

D’altronde, passò alla storia la messa in scena di fine anni ‘60 del Living Theatre dell’Antigone riletta da Brecht, autore, quest’ultimo, che sosteneva – a ragione – che era perfettamente legittimo prendere il testo antico e riscriverlo al modo moderno. Naturalmente tutto il problema sta nella qualità della riscrittura. La mitica compagnia americana fece appunto trasparire da questa vicenda in maniera esemplare la tanto citata “crudeltà” di Artaud: «Una sorta di rigorosa purezza morale che non teme di pagare alla vita il prezzo che le è dovuto». Non è un caso che Antigone, già nel 441 a.C. ribadiva che «io sono nata non per condividere l’odio, ma l’amore».

Ebbene Massimiliano Civica, mettendo in scena Antigone – lo spettacolo ha appena debuttato al Fabbricone di Prato, dove rimarrà fino all’8 dicembre – ha decostruito il mito melodrammatico che abbiamo stratificato nelle nostre menti pensando ad Antigone. Anche grazie ai costumi di Daniela Salernitano, che rimandano alla caduta del fascismo (con Creonte capo partigiano, Antigone e Ismene principesse della famiglia Reale italiana, il cadavere di Polinice vestito con la divisa nazi-fascista), e al conseguente caos in cui viveva l’Italia in quel periodo, il regista, invece di mostrarci il bene da una parte e il male dall’altra ci immerge nel dubbio che riesce ad erodere le nostre consolidate certezze. Che ci fanno ripensare anche a quello che osserviamo tutti i giorni nella nostra vita fatta di opinioni troppo spesso manicheiste.

Il teatro che ama Civica è conflittuale e la tragedia che mette in scena, anziché rinfocolare la famosa interpretazione hegeliana, in cui si scontrano il bene e il male, ragione di Stato contro coscienza individuale, racconta conflitti insanabili che porteranno i protagonisti alla rovina. Proprio perché vede in loro analogie che legano Antigone con Creonte, il loro essere simili il loro condividere una stessa natura, che è poi la loro “colpa”. Ma questo i greci, nelle loro rappresentazioni teatrali, lo facevano di consueto per invitare gli ateniesi, nella vita di tutti i giorni, a un maggiore “rispetto per le ragioni degli altri”, per disinnescare i potenziali conflitti autodistruttivi nella vita, ponendo un interrogativo sull’essenza stessa dell’uomo.

Civica, analizzando il testo, e ritraducendolo completamente, ci svela piuttosto come la legge divina di cui parla Antigone è quella delle famiglie aristocratiche, a cui fra l’altro apparteneva Sofocle, contrapposta a quella terrena della nascente democrazia. In questa tragedia è presente la paura di una possibile guerra civile tra gli aristocratici e le istituzioni democratiche. La colpa del “democratico” Creonte non è dunque quella di non avere seppellito genericamente un morto, ma di essersi accanito sul corpo morto di un “nobile”. Il punto cruciale di Sofocle, ci racconta Civica, è spostare dal piano politico la vicenda per portarla sul piano universale della natura umana. Non è il cosa ma il come che è fondamentale per Sofocle.

Antigone, magnificamente interpretata da Monica Piseddu, e Creonte, il bravo Oscar De Summa (accanto a loro Monica Demuru e Francesco Rotelli), per orgoglio hanno superato la misura, si sono fatti loro stessi “misura di tutte le cose” divenendo un pericolo per la città. Tutti e due non ascoltano più nessuno, vanno dritti per la propria strada, convinti di essere nel giusto. Rappresentano l’essenza più profonda dell’uomo che può portarli all’autodistruzione, sono «un miracolo che fa paura». Ma gli Dei «odiano i superbi». E «col dolore faranno scontare all’uomo il suo sogno di grandezza». È questo, ci rivela Massimiliano Civica, il messaggio più sconvolgente di Antigone. Anche se Creonte e Antigone hanno ognuno le loro buone ragioni, ma poiché sono arroganti, superbi, impermeabili alle ragioni degli altri, gli Dei li condannano.

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