Mario Di Calo
Al teatro San Ferdinando di Napoli

Cechov e Moscato

Con una nuova edizione di "Festa al celeste e nubile santuario", Enzo Moscato accentua ancora di più la parentela con il teatro di Cechov. E le tre donne dei vicoli diventano quesi delle nuove "tre sorelle"

Fin da quando fu messo in scena per la prima volta al Festival di Asti nel 1988, con la regia di Armando Pugliese e l’interpretazione di tre icone del teatro partenopeo, e cioè Isa Danieli, Angela Pagano e Fulvia Carotenuto, Festa al Celeste e Nubile Santuario di Enzo Moscato, è divenuto nel tempo materia di culto fra i teatranti, e non solo: basti pensare che il link di quello spettacolo su Youtube vanta ben 14.711 (al momento) visualizzazioni. In verità, scavando fra le pieghe della memoria (e del web), esiste un’edizione primigenia di questo capolavoro della drammaturgia contemporanea, scritto nel 1984, con una versione en-travesti, interpretata dall’autore con Tata Barbalato e Gino Curcione andato in scena allo storico Teatro Sancarluccio di Via dei Mille, a Napoli.

Ora ci riprova lo stesso autore a rompere quel muro di sacralità che aleggia intorno a quei ricordi con un nuovo allestimento, prodotto dallo Stabile di Napoli, andato in scena dal 28 novembre all’8 dicembre scorso al teatro San Ferdinando. Lo spettacolo visionato in prima nazionale, vanta un cast di altrettanta eccezionalità, Cristina Donadio, Lalla Esposito e Anita Mosca, tre attrici che con il poeta dei quartieri spagnoli hanno condiviso parecchi intercorsi artistici che si fondono, si concretizzano ecletticamente in questa essenziale messinscena. All’aprirsi del sipario un’immagine ingiallita dal tempo salta subito all’occhio, seppiata con viraggio di antica, tradizionale sapienza fotografica, prende corpo sul palcoscenico del Teatro San Ferdinando, le luci bellissime di Cesare Accetta sono elemento determinante di questo allestimento.

Enzo Moscato procede per stazioni, per postegge, quasi si trattasse di una via crucis il dettato esistenziale di queste tre inconsuete sorelle: Annina, Elisabetta e Maria. I nomi delle tre protagoniste non sono affatto casuali, e trovano innesto solo nella fede atavica che queste anime erranti portano verso l’Ignoto Divino. Cugina, Madre e Vergine immacolata di un vangelo contraffatto. Tutte votate anima e corpo – soprattutto corpo – a quella Vergine Immacolata che è stata la Madre di Cristo, e in particolare Annina che con quell’Aldilà mantiene un personale rapporto privilegiato. Ed è proprio in una di queste visioni/incontri col soprannaturale, nella persona di un povero zingarello si annuncerà e materializzerà la gravidanza dell’avvenente – e muta – Maria. Quel lieto evento le emarginerà ancor più dal loro quartiere, retroterra culturale imprescindibile, nel quale già non son viste di buon occhio per le loro stranezze; e il parroco del rione finanche arriverà a scomunicarle.

Manca poco al divino parto, mentre la vita a tre scorre inesorabilmente amara. Un finale a sorpresa scompiglierà i piani della scaltra Annina che tutto aveva previsto, se non un “miracolo” inaspettato. Queste tre sorelle moscatiane sembrano la risposta popolare alle loro più nobili parenti russe ma con la caratteristica di essere meno idealiste, velleitarie, e più concrete, nella follia omicida che le spinge verso il soprannaturale. Il sacro in Enzo Moscato è un paradigma essenziale, quasi necessario, o almeno del primo Moscato, un ideale irraggiungibile che permette ai personaggi di interfacciarsi dignitosamente con esistenze spesso disagiate, dilaniate, ai margini di un consorzio impermeabile, inarrestabilmente avviato all’estinzione, ma qui come in Cechov l’attesa, infinita attesa, diventa un elemento essenziale quasi emblema della sopravvivenza. Come hanno insegnato i maestri del Novecento, l’attesa si traduce miracolosamente in tutto ciò che è sconosciuto, misterioso, metafisico.

E si ritorna alla mitologia di antica memoria in un circuito senza termine. Eppure quell’assoluto naturale può pure fagocitare, virare contro gli stessi anelanti protagonisti di quella sospensione, come accade in Bordello di Mare con Città, il divino che può essere specchio dei propri fantasmi, paure e/o ossessioni, di conseguenza terribile assassino. Lo spettacolo ben curato, di forte impatto visivo deve molto alle straordinarie interpreti, un po’ scompigliate nell’adesione anagrafica, e forse anche questo fa parte della passione di Enzo Moscato di sparigliare le carte, di s-concertare sempre il suo pubblico, rinnegando spesso se stesso per poi riaffermarlo in altra occasione, ed è in questo la sua eccezionalità. In scena con le tre attrici un giovane talento, Giuseppe Affinito, sorpresa finale, inatteso risvolto, spiegamento delle trame, quel Toritore, “perno” inconsapevole delle espiate colpe delle tre gattemorte.

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