Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

L’uomo senza cuore

Il protagonista del ottimo romanzo di Chiara Valerio si accorge che giorno dopo giorno gli vengono a mancare gli organi vitali ma vive intensamente. Hanne Orstavik e Madeleine Thien (lei in forma di racconti) narrano di amori scansati

Il vuoto – Senza dubbio un romanzo insolito nel canestro della letteratura contemporanea italiana. Non c’è una trama lineare, è un impasto colto e profondo sulla condizione umana e sulle relazioni amorose, amicali, professionali. In un mondo che è una matassa senza bandolo. Chiara Valerio (classe 1978) nel suo ultimo ottimo romanzo Il cuore non si vede (Einaudi, 146 pagine, 17,50 euro) narra di un professore universitario, studioso di mitologia, che un giorno s’accorge che gli manca il cuore e poi, via via, altri organi. Eppure vive. Anzi vive intensamente: non tanto o soprattutto la vita quotidiana, quanto i ricordi, le impressioni, le donne della sua esistenza, i racconti mitologici, i particolari più piccoli e più intimi che hanno costellato il periodo che va dall’infanzia alla maturità.

La sua bussola è costruita sulla mitologia. L’incipit del libro ricorda da vicino Le metamorfosi di Kafka: «Una mattina, dopo sogni inquieti, Andrea Dileva si era svegliato nel suo letto, senza il cuore». Accanto a lui c’è la compagna Laura, l’amica Carla (sposata), il medico Angelica (lesbica), la sorella Cristina. Fa amicizia con un bambino (figlio di Carla), ma non dialoga con gli uomini: come fantasmi. Osserva tutto, anche maniacalmente: «La curiosità era la sua unica forma di etica». Rispetta gli spazi altrui, le pause, i silenzi, tanto è vero che una “sua” donna afferma che «Andrea le aveva mostrato come fosse possibile stare insieme senza rimanere offesi dalla presenza dell’altro». Indifferente? Per nulla. Pulsante come il cuore che non ha più. E amante premuroso. La sua compagna di vita ha per lui il più intenso dei pensieri: «…aveva immaginato la vita con Andrea come un nastro di cui le era infilato in mano un capo. Laura, quella vita, aveva cominciato ad avvolgersela intorno al corpo».

Luna Park – Piccolo centro dell’Europa del nord, costantemente ricoperto di neve. Siamo in Norvegia (l’autrice ha vissuto anche a Oslo e attualmente abita a Roma). Vibeke è madre divorziata, suo figlio Jon è alla vigilia dei nove anni. S’intendono perfettamente, ognuno dei due conosce perfettamente le abitudini dell’altro. Fa così freddo che spesso i pochi abitanti si parlano dai finestrini delle auto, super-riscaldate. La prosa di Hanne Orstavik, autrice di un breve e affascinante romanzo (AmorePonte alle Grazie, 126 pagine, 14 euro), è ridotta all’essenziale ma contiene tutto, oltrepassando i tradizionali canoni che separano i soggetti e ciò che dicono e pensano. Vibeke incontra Tom, un uomo che vive in una roulotte perché a breve si accendono le luci del Luna Park. Mangiano insieme, frequentano un bar. Vibeke, pur attratta da lui, pensa che «non è del tutto normale». Ammira «la sua capacità di rilassarsi. Sembra quasi che dorma. Ha voglia di essere in un letto a guardarlo». Ma Tom, al limite dell’apatia sentimentale, è distratto. Vibeke, lettrice onnivora, intuisce che in Tom «c’è qualcosa di violento», oppure «sta lavorando sull’autocontrollo». In una delle poche frasi l’uomo confessa: «Sai come me che non c’è una continuazione di qualcosa che non è nemmeno cominciata». Tra i due non inizia e non termina nulla. Per un errore, Jon (col tic di strizzare gli occhi) accetta di entrare nell’auto di una donna: si congelerebbe aspettando la madre, in assenza delle chiavi di casa. Fanno un percorso periferico e inutile, è enigmatica, inquietante. Dice: «qui a una certa ora della notte i lampioni li spengono». Jon, scaricato su un viottolo sporco e innevato fatica a trovare casa. Ma dentro c’è finalmente sua madre. Jon ritrova il calore del suo rifugio, pensa al compleanno e si immagina un Luna Park, che non sarà all’altezza dei suoi sogni.

Famiglie – Una raccolta di racconti che ha come fulcro le cattive divergenze famigliari e la rozza e inutilmente militaresca “educazione“ dei padri. L’autrice è canadese, si chiama Madeleine Thien (Ricette semplici, 179 pagine, 16 euro, editore 66thand2nd). Harold ha nove anni e «annegava la sua infelicità facendo volare gli aquiloni… e aveva la sensazione di vivere la vita in punta di piedi». Per un bisticcio in cucina, molto banale, il padre lo obbliga a salire sul tetto della casa, sadicamente incurante delle sue vertigini: «Vai su a rimuginare. Vatti a mettere dove non ti vedo». Harold se ne andrà. E qui l’autrice descriverà il suo futuro opaco, le sue sere a leggere, guardare la tv o sentire la radio. «Sempre timido con le donne», la sua vita cambierà con l’incontro con Thea, un’infermiera che vive con la figlia. Il focus si sposta sulla ragazza avuta da un aviere, una ribelle, vita difficile con la madre («La conversazione a cena era una guerra»). Josephine a 16 anni s’innamora. Harold è una figura marginale, remissivo, non riesce a fare il padre adottivo. La madre ha sbalzi di umore: «I sentimenti vanno e vengono; ci sono giorni in cui lo amo di più (Harold, ndr), altri meno. Altri non lo amo per niente». Madeleine Thien scava efficacemente sulle dinamiche famigliari, ponendo in risalto la sofferenza, le punizioni, le conseguenze nefaste di conflitti infantili. Questo racconto, tra i più incisivi, si conclude così: «Josephine si chiederà come mai abbia scansato l’amore». Sì, quell’amore che anni prima, come in tutti i racconti della scrittrice, non ha avuto occasione di mettere radici.

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