Alessandro Boschi
Trent'anni dall'Ottantanove/7

I Muri di Berlino

Così come "La settimana enigmistica", anche il Muro di Berlino vanta innumerevoli imitazioni. E, per ogni mattone venuto giù in Germania, altri ne vengono ricostruiti continuamente, nel mondo

Il mio primo ricordo della Germania è legato a delle bellissime estati trascorse sulla spiaggia di Fano, nelle Marche. Allora sembrava – mi sembrava – che i turisti fossero solo di due nazionalità, italiani e non italiani. Poi, complice la vicinanza di ombrellone e una naturale propensione alla socializzazione dei miei genitori (non mia, per carità), imparai a conoscere che i non italiani si suddividevano in più categorie. Quella più vicina, proprio per motivi territoriali, era la categoria dei tedeschi. Alti, alte, rumorosi. Inge, la madre, Bettina e Wolfgang, i figli, ed Enrico, il capofamiglia, giudice a Düsseldorf. I figli, in particolare Bettina, erano letteralmente pestiferi. Ed io, timido e introverso, faticavo ad inserirmi nei loro giochi, scimmiottando inconsapevolmente l’addolorato personaggio di Goethe.

Per fortuna esisteva la Settimana enigmistica della quale mia madre era ed è consumatrice compulsiva. Proprio la curiosità verso quel celebre passatempo permise alle due famiglie di conoscersi e la parola scritta sui cruciverba diventò un divertente metodo di insegnamento. In poco tempo Inge ed Enrico, seguiti a ruota da Bettina e Wolfgang, impararono i primi rudimenti della nostra lingua e cominciarono a parlare un italiano comprensibile, migliore di quanto non potesse mai essere il mio tedesco. Tuttora. Diventammo amici, amici veri, e lo siamo ancora, anche se le nostre truppe si sono nel frattempo assottigliate. Ricordo che a Natale non mancava mai un loro regalo. Oltre a dei bellissimi pantaloni tirolesi che Fantozzi e Filini si potevano solo sognare e dei quali mio fratello ed io non abbiamo ancora digerito la scomparsa, la festività natalizia prevedeva anche delle curiose scatole di cioccolatini, con tante finestrelle quanti erano i giorni che dal primo dicembre occorrevano per arrivare al 25. Ogni giorno un cioccolatino, in pratica il primo ed unico calendario commestibile della mia esistenza. Una delizia, anche perché il cioccolatino del 25 era sì l’ultimo ma anche il più grande del mazzo. Erano i primi anni Sessanta e io non sapevo cosa fosse il Muro di Berlino, mi interessava solo mangiare cioccolatini e vestirmi da tirolese.

Adesso, dopo trent’anni dalla sua caduta, si torna a parlarne. Torna nelle sale Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders e le manifestazioni si moltiplicano, per non dimenticare. Il Muro, che è qualcosa di concreto, diventa una formidabile metafora. Ho detto che si torna a parlarne. No, non è così, non si è mai smesso di parlarne. Non si è mai smesso di abbatterlo e questo perché non si è mai smesso di erigerlo. Sto sforzandomi per trovare qualcosa di intelligente ed evocativo da dire. Ma mi viene solo tanta tristezza. Perché la spiaggia di Fano non è più quella di un tempo e perché quei ricordi hanno perso tanti protagonisti. Eppure, quei mattoni che sono stati abbattuti, scaraventati in ogni dove, sono come quei mostri che si ricostruiscono e si ricompattano, indistruttibili. Proprio come Terminator, che pure torna nelle sale in una ennesima versione. Proprio come La settimana enigmistica, che vanta innumerevoli tentativi di imitazione, così pure il Muro di Berlino, che ogni giorno viene ricostruito da qualche parte. Dovremmo capire che le radici di quei muri sono molto remote. E forse dovremmo smettere di farci usare come mattoni.

P. S. Per correttezza di informazione: pare che il primo contatto tra la mia famiglia e quella dei nostri vicini tedeschi sia stata meno raffinata: in pratica mia madre si sgolava ogni giorno nel rimproverarmi: «Smetti, smetti». E fu proprio questa litania, scimmiottata dai nostri vicini di ombrellone che volevano capirne il senso, il primo mattone della nostra amicizia.

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