Luca Fortis
In Siria, dopo l'aggressione turca/1

Viaggio a Damasco

La capitale siriana cerca di tornare alla normalità: bar, musica, musei aperti, quasi una strana movida. Bashar Al Assad è apparso il male minore, tanto più dopo l'invasione turca del Kurdistan che ha convinto il regime a scendere in campo a fianco dei curdi

La luce bianca si riverbera nel cielo quasi abbagliando lo sguardo. Dovunque si guardi il bianco dei marmi riflette i raggi del sole e il blu del cielo. Alle pareti risplendono i mosaici dallo sfondo dorato da cui si stagliano splendidi castelli e foreste verdi. La moschea degli Omayyadi, un tempo chiesa e ancora prima tempio, risplende in tutta la sua bellezza. Fuori, sotto le colonne romane riadattate in souq, la folla si muove rapida e multiforme. Tendaggi con i colori della bandiera siriana sono stesi tra una colonna e l’altra per proteggere dal sole. Sotto, le persone si fermano a guardare le merci o passeggiano. Ognuno va da qualche parte. Quello che colpisce più di tutto è la vitalità di una capitale di un paese in guerra. Damasco è sopravvissuta intatta al conflitto e ribolle di vita. La gente si riversa tra le sue vie e chiede a gran voce che si racconti che la città è lontana dagli stereotipi che si riportano in tv. Le guerre sono “bestie strane”, lontane dall’immaginario televisivo della gente. Angoli di morte e di vita convivono uno accanto all’altro, inferno e paradiso vanno a braccetto.

Zone completamente devastate coabitano con aree rimaste come prima; il dolore della gente convive con la voglia di uscire e divertisti, per riaffermare che si è vivi. Il centro storico di Damasco non è stato toccato dalla guerra, che ha invece distrutto alcuni quartieri periferici. I caffè attorno alla moschea degli Omayyadi sono pieni, la gente fuma il narghilè e beve. Verso l’imbrunire un cantante e suonatore di oud inizia a suonare e cantare e subito si forma un pubblico che lo ascolta. I suoi occhi sono vivi e luminosi, la sua voce poetica ipnotizza le persone.

Con il calare della notte, i ristoranti e i bar del centro si riempiono di gente. Le vie strette sono piene di giovani, alcune ragazze portano il velo, molte no. Più ci si avvicina alla via principale, che ricalca quella romana, e al quartiere cristiano, più i bar sono pieni di persone che bevono vino, arak o birra. L’atmosfera ricorda un po’ quella greca o quella del Sud Italia. Alcuni locali hanno dj set e la gente balla fino a notte tarda. Dopo l’intervento russo e iraniano il paese si sta stabilizzando. La guerra si è allontanata dalla capitale che non si sente più sotto assedio e le persone hanno voglia di tornare a vivere. Di politica si discute poco, se non per parlare male dei terroristi e degli islamisti, che evidentemente hanno rubato con le loro ideologie la scena ai manifestanti pacifici del 2011. Oggi molte delle persone rimaste nel paese sembrano vivere la vittoria del governo come il ritorno a un’insperata normalità dopo una spaventosa guerra civile. Sembrano pensare che sia meglio vivere pacificamente, magari ognuno in una sua bolla, sotto un regime laico e multi religioso e dalle politiche socialiste, che sotto l’integralismo religioso, non solo di Daesh, ma anche dei movimenti islamisti che avevano fagocitato dovunque l’opposizione. La paura e la distruzione sono state talmente tante e le strumentalizzazioni internazionali così forti da aver riportato vasta parte della popolazione tra le braccia del governo. L’opposizione siriana si è dimostrata del tutto incapace di trovare figure carismatiche forti che sapessero bloccare la sua deriva militarista e settaria, e le violenze contro le minoranze religiose. La mancanza di un leader che potesse guidare le manifestazioni è stata drammatica. Nel paese si è istaurato il virus del settarismo e delle divisioni religiose, la paura di dover lasciare il paese se vince qualcuno appartenente a un altro gruppo religioso. La mancanza di leader simili a Mandela o a Gandhi capaci di rassicurare tutte le comunità sulla possibilità di una società multietnica e democratica ha finito per far pensare a molti che Bashar Al Assad per ora sia il male minore.

Solamente i curdi hanno agito differentemente. I curdi però hanno oggi più convenienza a trovare un accordo di convivenza con il governo siriano piuttosto che non con gli islamisti di Daesh contro cui hanno combattuto o con i partiti di ispirazione islamica alleati della Turchia, paese che li bombarda. Tanto che le truppe di Bashar Al Assad stanno rientrando nel Kurdistan siriano, in accordo con i curdi stessi, per fermare l’invasione turca.

Gli iniziali ideali di democrazia delle proteste sono stati schiacciati dalla brutalità della guerra e dalla mancanza di politici che li portassero avanti. L’unica opposizione organizzata sul territorio erano i vari gruppi integralisti. Da una parte vi era la ferocia di Daesh, con il suo califfato, sulla cui storia gli esperti dibatteranno per decenni, dall’altra gli islamisti filo turchi che controllavano il resto del paese. Infatti, anche le la parte più armata delle opposizioni finanziate dalla Turchia e dall’Occidente si sono dimostrate islamiste, quindi assolutamente non democratiche. Dell’uso delle armi chimiche, secondo alcune fonti utilizzate non solo dal governo, ma anche, in alcuni casi, dall’opposizione armata, di come sia potuto nascere il califfato di Daesh, dibatteranno gli storici per decenni, appunto. Così come dei genocidi delle minoranze religiose da parte di Daesh e di altri gruppi integralisti e dell’islamismo delle opposizioni finanziate da turchi, francesi e americani. Rimane però il fatto che il regime di Bashar Al Assad, con la sua laicità, con tutte le sue pecche e con l’aiuto russo e iraniano, sembra alla fine l’unico capace di garantire l’integrità territoriale e culturale della Siria. Certo, sarà necessario un dialogo con i curdi, che già avveniva da mesi sotto traccia e che ora, dopo l’invasione turca del Kurdistan e il tradimento americano, è alla luce del sole.  Si tratta di un bagno di drammatica realtà per chi pensava che bastasse scendere in piazza contro il regime per avere la democrazia. La storia dimostra che le rivoluzioni che funzionano sono quelle guidate da leader e che perché siano davvero democratiche o liberali servono leader ispirati. Se si scende in piazza per rabbia o senza organizzazione, saranno gli estremisti organizzati e armati, o chi riceve finanziamenti e armamenti dall’estero, a rubare il sogni della gente.

La voglia di vivere e di divertirsi dei giovani di Damasco è il più grande schiaffo in faccia che si possa dare a Daesh e agli altri movimenti islamisti. Non si tratta di un sentimento presente solamente nella capitale, ma in quasi tutto il paese, Aleppo compresa. È l’immagine più forte che ti lascia la Siria.

La notte cala e un nuovo giorno nasce. La città al risveglio riprende il suo tran tran quotidiano. Sotto le grandissime arcate di ferro del souq la folla si muove come un fiume in piena, la gente guarda le vetrine, si ferma a comprare qualcosa o affolla i caffè. In una delle più famose gelaterie gli addetti pigiano con grandi pestelli di legno il gelato tradizionale in enormi mortai. Si tratta di un lavoro faticoso, ma di grande fascino. La gelateria è talmente affollata che si fatica a camminare. La gente si ferma a guardare la lavorazione tradizionale del gelato e si mette in coda per acquistarlo e poi gustarlo sedendosi ai tavolini.

Anche la zona attigua al centro antico è piena di vita. Il Museo Nazionale ha riaperto ed è possibile vistare la sezione archeologica. Le altre riapriranno nei prossimi mesi, dopo che gli oggetti delle collezioni erano stati nascosti per evitare che i terroristi potessero distruggerli o depredarli, come hanno fatto in molte altre parti della Siria. Vi sono già alcuni turisti europei, italiani, francesi, tedeschi e svizzeri che sono tornati in città. Si tratta ancora di piccoli numeri, ma ci sono. La Siria ha riaperto i suoi musei e permette di visitare tutte le zone liberate concedendo visti turistici se ci si fa organizzare il viaggio da un’agenzia siriana.

La sera in una zona moderna e borghese sulle colline i ragazzi si siedono in un giardino pubblico a fumare il narghilè e guardare il tramonto. Un’enorme bandiera siriana sventola in qualche quartiere a valle. I ragazzi chiacchierano con le ragazze, alcune velate, altre no, sorridono e guardano l’orizzonte, sperando che porti un futuro migliore. Hanno vissuto la loro adolescenza sotto la guerra, ma oggi sperano di poter conoscere finalmente la pace.

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