Raoul Precht
Periscopio (globale)

Storia di Doris Lessing

Vita privata e passione privata si intrecciano in Doris Lessing. La grande scrittrice inglese (di cui ricorrono i cent'anni dalla nascita) ha attraversato il Novecento raccontandone storture e ombre: «il riscatto può venire solo dal narratore che è in noi»

Nel novembre del 1992 il governo conservatore britannico, allora guidato da John Major, ebbe l’ardire (non mi pare ci sia davvero altro termine possibile) di proporre a Doris Lessing un’irrecusabile onorificenza, quella di Dame of the British Empire. La scrittrice redasse allora una letterina ironica all’attenzione del segretario privato di Major, Alex Allan, chiedendogli di indicarle se l’Impero britannico esistesse ancora e in questo caso dove si trovasse, e facendo anche sommessamente presente che offrire una simile onorificenza a una persona come lei, che aveva trascorso decenni della sua vita combattendo contro l’idea stessa dell’Impero fosse una mossa quanto meno singolare. Cosa si penserebbe, continuava la Lessing, di un individuo che in età avanzata accetti un’onorificenza da un’istituzione che ha attaccato per tutta la sua gioventù?

Oltre a dimostrare quanto poco la politica si occupi di cultura – i burocrati governativi, per non parlare dello stesso primo ministro, non avevano probabilmente letto neanche un libro della pur celebre scrittrice –, l’aneddoto rende l’idea del carattere e delle convinzioni della Lessing, che nella sua lunga vita non ha mai esitato a prendere posizione in modo chiaro e a volte scomodo per le istanze in cui credeva.

Nata in Persia un secolo fa, il 22 ottobre 1919, da genitori britannici, trascorrerà l’infanzia e l’adolescenza nella Rhodesia meridionale (l’odierno Zimbabwe). Ma la storia dei primi anni di vita è complessa e abbastanza inusuale: dopo aver perso una gamba nel corso della Grande guerra, il padre, Alfred Tayler, aveva incontrato la madre Emily, un’infermiera, nell’ospedale londinese dove lo stavano curando. Personaggio irrisolto e irrequieto, si trasferisce poi con la moglie in Persia per lavorare presso la Banca Imperiale, ma nel 1924, ritornato a Londra in congedo e recatosi a vedere l’Empire Exhibition, una sorta di esposizione internazionale, rimane molto colpito dal padiglione della Rhodesia, costellato di pannelli pubblicitari che promettevano a chiunque vi si fosse trasferito un arricchimento quasi immediato e il paradiso in terra. Benché completamente inesperto in materia, decide d’improvvisarsi agricoltore, acquistando una tenuta di 400 ettari per coltivarvi del mais, e di trasferirsi nel paese africano, dove peraltro non raggiungerà mai la ricchezza, né una qualche agiatezza. Quanto a Doris, abbandonata la scuola all’età di tredici anni per manifesta inutilità dell’istruzione ricevuta, due anni più tardi lascerà la famiglia e comincerà a svolgere lavori umili (tuttofare, centralinista), incontrando quello che allora riteneva sarebbe stato l’uomo della sua vita e sposandosi. L’epilogo della storia non è particolarmente sorprendente: ad appena ventiquattro anni si ritroverà già divorziata e madre di due figli.

Nel frattempo, ha cominciato a leggere e a scrivere, ma soprattutto a frequentare circoli marxisti, dove incontrerà il secondo marito, l’emigrato tedesco Gottfried Lessing, da cui avrà un terzo figlio e divorzierà nel 1949, mantenendone il cognome per l’attività letteraria. Sarà questo anche l’anno della decisione, molto sofferta, di trasferirsi con il terzo figlio a Londra, lasciando gli altri due al primo marito in Sudafrica. Impegnata in una serie di campagne politiche contro la proliferazione nucleare e l’apartheid nonché membro attivo del Partito comunista britannico, dal quale si allontanerà poi nel 1956 a seguito della repressione della rivolta ungherese, la Lessing scrive e pubblica in questi anni, da vera e propria angry young woman della scena letteraria londinese, i suoi primi romanzi, che culmineranno nel Golden Notebook (Il taccuino d’oro) del 1962, complessa summa delle inquietudini del tempo, dalla politica radical al femminismo, dal sesso alla psicoanalisi. Nella protagonista Anna Wulf, che tiene quattro taccuini in cui registra ogni istante passato e presente della sua vita (dalla giovinezza in Rhodesia alle relazioni sentimentali in corso, dall’erratico procedere del Partito comunista, sempre più simile a una setta religiosa, alle carenze nella vita emotiva), la Lessing ritrae naturalmente se stessa e le donne che la circondano, riuscendo a creare una struttura di riferimenti e rimandi incrociati fra un taccuino e l’altro che dovrebbe preludere alla creazione di un quinto taccuino di sintesi, in cui superare la frammentazione individuale e sociale alla quale la persona è sottoposta nelle sue interazioni con la società. Nell’insieme, a rileggerlo oggi, ci appare come un romanzo disuguale, in molte parti prolisso e ripetitivo, ma certamente non gli si può negare un carattere innovativo. L’altrettanto prolifica (e torrenziale) Joyce Carol Oates, nel rievocare un incontro con la Lessing, testimonierà molti anni dopo di quanto il libro abbia significato per le giovani donne della sua generazione: sicuramente molto di più di tanti manuali femministi o di “liberazione della donna”, come si usava dire a quei tempi.

In parallelo, tra il 1952 e il 1969 Doris Lessing è autrice di un ciclo di cinque romanzi in gran parte autobiografici, o fortemente ispirati alle proprie esperienze, conosciuti con il titolo generale di Children of Violence (Figli della violenza), in cui seguiamo le vicissitudini della protagonista Martha Quest dall’adolescenza in Rhodesia alla mezz’età, con un finale spiazzante, poiché la morte della protagonista è ambientata in un lontano, ipotetico 1997. Il ciclo ripercorre tutte le inquietudini di cinquant’anni di vita, di cui la Lessing, sempre impegnata in politica e nelle polemiche giornalistiche, sarà una testimone partecipe e attenta, oppositrice strenua del razzismo e, come ricordavamo all’inizio, del colonialismo britannico, ma anche di un imbelle pacifismo.

Si scoprirà in seguito che ambientare il finale di questo ciclo di romanzi nel futuro non è stata una semplice illuminazione o un vezzo: la Lessing aveva già cominciato a interessarsi di romanzi di fantascienza e a subire il fascino della narrativa distopica. Questo spiega forse il successivo immergersi – dopo le delusioni provocate dal comunismo e dalla psicanalisi (o meglio, dalla psichiatria radicale impersonata da Ronald D. Laing), e sotto l’influenza invece della mistica del sufismo – in una prospettiva più propriamente fantascientifica che le detterà un nuovo ciclo narrativo, composto da altri cinque romanzi usciti fra il 1979 e il 1983 con il titolo generale di Canopus in Argos: Archives (Canopus in Argos: Archivi). Una scelta, questa, che forse le permette di sottrarsi a ogni etichetta critica predeterminata, ma che non mancherà di spiazzare gran parte dei numerosi ammiratori, i quali avranno qualche difficoltà a seguirla in questo nuovo percorso cosmologico e visionario.

Nel frattempo, oltre a diverse raccolte di racconti, fra cui vanno citati almeno The Habit of Loving (L’abitudine di amare) del 1957 e African Stories (Racconti africani) del 1964, la produttiva autrice pubblica anche saggi, poesie e opere teatrali nonché testi dedicati agli amati gatti. Nel 1974 scrive Memoirs of a Survivor (Memorie di una sopravvissuta), altro romanzo distopico, a metà fra fantascienza e fantasticheria visionaria, ambientato in una città del futuro in cui non funziona più nulla e i rapporti umani si sono deteriorati oltre ogni limite. In un contesto in cui saccheggi e violenze sono all’ordine del giorno, l’unione fra una giovane donna allevata da un’anziana a lei del tutto estranea e il condottiero di una banda di ragazzi fa sperare in un diverso avvenire.

Nel 1983, a mo’ di provocazione nei confronti degli editori, e per dimostrare come un autore esordiente abbia scarsissime possibilità di farsi pubblicare e conoscere, presenta con lo pseudonimo di Jane Somers uno splendido romanzo dal titolo The Diary of a Good Neighbour (nella versione italiana Il diario di Jane Somers), storia di un’inaspettata e complessa amicizia fra una donna di mezz’età e un’anziana. Il libro, considerato deprimente e poco commerciabile, sarà rifiutato dai maggiori editori e, una volta pubblicato, venderà pochissimo a causa della scarsa promozione, finché l’anno dopo, al momento della pubblicazione del seguito, If the Old Could (Se gioventù sapesse), non si scoprirà chi si nasconde dietro il nome fittizio dell’autrice.

Nel 1985, con The Good Terrorist (La brava terrorista), la Lessing torna a interrogarsi in modo puntuale e acuto sulla società attuale. Ispirato a un attentato compiuto nel 1983 dall’IRA nei grandi magazzini londinesi Harrods, il libro narra la storia di Alice, trentenne laureata in economia politica e disoccupata, che si avvicina a movimenti politici radicali e si trasforma lentamente in una fiancheggiatrice del terrorismo, non tanto per ragioni ideologiche quanto per una sorta di attaccamento viscerale alla casa che divide con un gruppo di rivoluzionari. L’ambiguità della figura di Alice, sempre più marcata man mano che ci si avvicina all’inevitabile, cruento scioglimento della vicenda, è resa dalla Lessing con grande maestria e una capacità di approfondimento psicologico che ricorda la grande letteratura dell’Ottocento.

Perché la Lessing è senz’ombra di dubbio una grande scrittrice classica, dotata di una notevole facoltà narrativa, di creazione d’intrecci e personaggi, in questo davvero erede e continuatrice del realismo sociale ottocentesco: ma questo non deve illuderci quanto alle sue intenzioni, che sono tutt’altro che pacificamente descrittive. Al contrario: vuole non solo sorprendere il lettore, ma ove possibile disturbarlo, scuoterlo, farlo uscire dal torpore, costringerlo a ragionare. Ne è un ulteriore esempio The Fifth Child (Il quinto figlio), del 1988, che mette in scena la vita felice e del tutto soddisfacente di una coppia tradizionale che vive nei sobborghi londinesi. Genitori di quattro bambini, due maschi e due femmine, ben inseriti nella vita sociale della comunità che li circonda, David e Harriet vedranno la loro intera esistenza messa a repentaglio dall’arrivo di un quinto figlio, completamente diverso dagli altri, dotato di un’inesplicabile capacità di provocare problemi e sofferenze. Anche questo romanzo, come accade spesso con i libri della Lessing, avrà un seguito, dal titolo Ben, in the World (Ben nel mondo), uscito nel 2000.

Tutt’altra atmosfera si respira in The Sweetest Dream (Il sogno più dolce), del 2001, piacevolissimo romanzo d’impianto tradizionale, in cui la Lessing – attraverso la protagonista Frances Lennox e una serie di comprimari, fra cui la ex suocera, madre di un glorioso “compagno” comunista sempre impegnato altrove e troppo indaffarato per occuparsi della famiglia, e i numerosi ragazzi che finiscono per abitare nella grande casa delle Lennox – dipinge un insolito affresco dell’universo progressista londinese dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Senza peraltro mancare, in alcune delle pagine più suggestive del libro, di descrivere la situazione politica e sanitaria dei paesi africani più poveri, condannati alla progressiva e interminabile spoliazione da parte di un Occidente che finge di voler aiutare l’Africa per meglio depredarla. Nel romanzo si accumulano e s’intrecciano personaggi e soprattutto destini; come annota la stessa Lessing, “forse il destino non è altro che il temperamento di ciascuno di noi, quello che attrae invisibilmente la gente e gli eventi.” E qui questi temperamenti diversi e spesso divergenti sono resi con una tale maestria narrativa da costringere il lettore a immedesimarsi, nello spazio della lettura, con i vari personaggi e a seguirne le peripezie con vorace partecipazione. Nel sostituire con questo romanzo la terza parte della sua autobiografia – le cui prime due sezioni erano uscite rispettivamente nel 1994 e 1997 –, la Lessing compie un’operazione coraggiosa e di notevole spessore, rilanciandosi come narratrice di prim’ordine a livello mondiale.

Magistrale anche il ritorno al racconto breve con The Grandmothers: Four Short Novels (Le nonne), raccolta pubblicata nel 2003 che rappresenta un compendio dei temi affrontati in passato: l’amore e l’eros versus le convenzioni sociali e la ragionevolezza nel racconto che dà il titolo alla raccolta, la difficile integrazione razziale nella megalopoli londinese nel secondo, la fantascienza e l’incombere dell’autoritarismo nel terzo e infine la seconda guerra mondiale e le sue conseguenze soprattutto in Africa, combinati con una suggestiva rappresentazione di sentimenti, nel quarto e ultimo racconto.

Nel 2007 arriva il premio Nobel, nel quale l’ottantottenne Lessing non sperava più – sarà la “laureata” più anziana nel campo della letteratura – dopo aver ricevuto comunque nell’arco della carriera altri riconoscimenti di analoga importanza, dal Prix Médicis al Mondello, dal Grinzane Cavour al Príncipe de Asturias. Al momento della proclamazione pare fosse al supermercato a fare la spesa, e che sia sembrata sorpresa, ma non particolarmente elettrizzata. Diversamente da quasi tutti i suoi colleghi, per la “Nobel Lecture” sceglie di non preparare e leggere un saggio sulle proprie istanze creative, ma di proporre invece un godibilissimo racconto-chiacchierata, dall’eloquente titolo On not winning the Nobel Prize, che ci riporta naturalmente anzitutto nel suo Zimbabwe e ci costringe poi a interrogarci sul nostro eurocentrismo, sull’incapacità di renderci conto del fatto che la porzione di mondo che occupiamo e influenziamo è davvero minima. Non ne farò qui un sunto, mi limito all’essenziale. In Zimbabwe un tascabile, ricorda la Lessing, prima del regime di terrore di Mugabe costava l’equivalente di uno stipendio mensile; al giorno d’oggi (2007), di vari stipendi mensili. Ma la gente non demorde, è consapevole della necessità di mantenere in vita le tradizioni culturali, continua a leggere, riesce a ottenere i libri come può, affidandosi a organizzazioni internazionali, biblioteche circolanti, viaggiatori stranieri e a qualsiasi altro interlocutore affidabile. Perché qualunque cosa succeda, quale che sia l’atrocità del giorno, a salvarci e a riscattarci dalla miseria e dalla desolazione – conclude – può essere solo il narratore che è dentro ciascuno di noi e che dobbiamo mettere in salvo a tutti i costi. Ed è questo, forse, il messaggio più importante di una scrittrice deceduta nel 2013, che pur con tutte le ingenuità, gli anacronismi e le polemiche ormai superate che caratterizzano parte della sua opera, ci sembra oggi più attuale e viva che mai.

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