Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

La guerra di Putin

Tutte le mosse di Trump vanno nella direzione di rafforzare la strategia internazionale di Putin. Dal folle via libera all'invasione turca del Kurdistan ai dazi all'Europa. Finalmente, anche nel partito Repubblicano se ne accorgono...

Donald Trump ha ordinato il ritiro delle truppe americane dal nord est della Siria. Allo stesso tempo la Turchia sta mettendo in atto una pesante incursione militare per distruggere gli alleati storici degli Stati Uniti, i Curdi, che in quella zona hanno inferto duri colpi all’Isis. Questa mossa avventata del presidente americano esporrà la minoranza curda alla rappresaglia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan il cui nemico storico sono da sempre proprio i curdi che egli, ormai da anni, sta cercando di cancellare da quell’area geografica. Questa mossa ha attirato a Trump, che si trova nel bel mezzo di una procedura di impeachment a causa dell’ukrainegate e che ogni giorno si fa più pressante e vicina, le critiche anche dei suoi alleati più fedeli. Tra di essi il leader della maggioranza al Senato, quel Mitch McConnell che fino ad ora lo ha sempre sostenuto in ogni sua mossa e che al contrario si è trovato questa volta dalla stessa parte della speaker della House, la democratica Nancy Pelosi. In una dichiarazione, ha pregato il presidente di ripensare alla sua decisione, mantenendo la presenza militare multinazionale in quella zona per finire di distruggere l’Isis, che nel frattempo assieme ad altri gruppi terroristici potrebbe tentare di riorganizzarsi e, sul piano diplomatico, di impedire «un significativo conflitto tra il nostro alleato Nato, la Turchia, e i nostri partner del controterrorismo siriano».

Anche il senatore Lindsay Graham uno degli esponenti repubblicani più vicini a Trump ha definito questa mossa “un disastro in divenire”. Lo stesso Jim Mattis, Ministro della Difesa di Trump aveva criticato, prima di dimettersi, la decisione del presidente di ritirare, già in dicembre, un contingente di circa 2000 soldati dalla Siria. Brett McGurk consigliere del Ministero della Difesa, dimessosi insieme a Mattis, e professore alla Stanford University (aveva ricoperto in precedenza incarichi di alto livello nella sicurezza sotto i presidenti Bush padre e Obama) ha affermato in un tweet al veleno che Trump «non è il nostro comandante supremo. Prende decisioni basate sull’impulso del momento senza elementi di conoscenza e senza un’opportuna riflessione. Manda personale militare in zone di estremo rischio senza copertura. Ha attacchi d’ira, salvo poi lasciare i nostri alleati esposti al pericolo quando gli avversari scoprono le sue carte o confrontarsi con loro semplicemente con una telefonata». Mc Gurk si riferisce alla telefonata con Erdogan in seguito alla quale Trump ha deciso di ritirare immediatamente le truppe dalla Siria.

La pericolosità di questa situazione sta inoltre nel fatto che alla Turchia sarà lasciata la responsabilità di circa 12.000 detenuti dell’Isis, di 58.000 donne e bambini adesso tenuti sotto controllo dalle forze curde che hanno titanicamente lottato in questi anni contro lo stato islamico senza tuttavia completamente sconfiggerlo. Trump ha affermato che se i terroristi vorranno andare in Europa sarà una loro scelta ed Erdogan ha già minacciato la comunità europea che se tenterà di impedire le sue manovre militari, farà arrivare in Europa più di 3.500.000 di rifugiati siriani. Come si vede, queste sono posizioni irresponsabili di capi di stato che agiscono con la sicumera di chi non pensa alle vite delle persone e agli equilibri internazionali. Mantenere una coalizione viva con l’obiettivo di sconfiggere definitivamente lo Stato islamico richiede un tocco e una diplomazia che certamente Trump non possiede. La prova sta in un tweet del presidente che ha affermato: «Come ho affermato con forza in precedenza e come ribadisco adesso, se la Turchia fa qualcosa che io, nella mia grande e impareggiabile esperienza, considero off limits, distruggerò completamente e cancellerò l’economia della Turchia».

Il risultato di queste parole in libertà e di una politica avventata è che sia gli Stati Uniti, che l’Europa adesso si trovano in una situazione di grande pericolo, perché il presidente che rivendica di essere un “duro” crolla quando si trova a confronto con avversari molto più forti di lui, come ha mostrato il suo comportamento docile nei confronti del presidente russo Vladimir Putin durante il convegno di Helsinki nel 2018, quando Trump ha creduto meno alle parole dell’intelligence americana che a quelle del dittatore russo che ha negato ogni interferenza nelle elezioni del 2016. Ma Trump come presidente è solo interessato a quello che può guadagnare in termini personali e non in termini di etica politica e di bene comune. Tanto che è stato suggerito che il suo slogan non dovrebbe essere quel Make America great again che lo ha reso famoso, ma invece Let’s make a deal (Facciamo un affare). Anche se al momento è evidente che gli affari non stanno andando troppo bene. Putin lo tiene in pugno. La situazione dell’ukrainegate e la richiesta di indagare sul figlio di Joe Biden che gli sta procurando l’avvicinamento a passi da leone dell’impeachment, è parte di un piano studiato al tavolino da Putin, che al contrario di Trump, medita ogni sua mossa con largo anticipo.

Che Putin sia il vero vincitore del momento lo dimostrano non solo le parole di Mitch Mc Connell («Un ritiro precipitoso dalla Siria porterà vantaggio principalmente alla Russia, all’Iran e al regime di Assad»), ma anche l’oggettiva situazione internazionale. Putin mette in pratica le idee di Ivan Ilyin, filosofo/ideologo reazionario morto nel 1954 a cui il presidente russo ormai da tempo si ispira e cita sempre più spesso. L’idea centrale del suo pensiero complesso e complicato consta di un piano di isolamento dell’Occidente e di espansione verso l’Asia, la formazione di quell’entità chiamata Eurasia, che prevede come fulcro centrale la Russia è in piena attuazione. Si è creata una situazione in cui l’Occidente è oggettivamente fragile: l’Europa con il crescere dei sovranismi e dei populismi finanziati in maniera sotterranea dalla Russia, con i dazi di Trump e adesso con la situazione mediorientale è indebolita, e gli Stati Uniti sembrano essere, attraverso Trump, molto vicini a Putin che tiene in pugno il presidente americano. Adesso l’orientamento della politica di Putin diviene decisivo in Medioriente dopo l’accordo di Astana con Iran e Turchia cui ha fatto seguito la telefonata tra Trump ed Erdogan. Questi due alleati inoltre garantiscono a Putin punti privilegiati di osservazione e di azione rispettivamente in Asia e in Europa. In più l’alleanza con la Cina rende la Russia essenziale nello scacchiere internazionale in termini politici e commerciali nello spostamento dell’asse di azione dall’occidente all’Asia.

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