Lidia Lombardi
Lo scaffale degli editori

Informazione lunga

Incursione nel mondo delle riviste di cultura alla ricerca di riflessioni che non risentono della fretta (e della brevità) dei tempi. Da “Bianco e Nero” che racconta la guerra di Netflix a “Lazio ieri e oggi” che analizza lo stato dei beni culturali a Roma

Questa volta parliamo in apertura delle riviste, non quelle settimanali che affollano le edicole, ma di quelle a più lunga periodicità, che si impongono come raccolte di saggi sotto uno specifico tema. E che spesso sono libroni articolati e densi, anche di immagini rare. Come il numero appena uscito di Bianco e Nero, la storica pubblicazione quadrimestrale edita dal Centro Sperimentale di Cinematografia in collaborazione con la EdizioniSabinae di Simone Casavecchia specializzata in libri di cinema e teatro. La copertina reca il numero seriale 594/595, che ricorda la sua longevità, essendo nata nel 1937 e contando una sola interruzione, tra il 1944 e il 1946, gli anni bui della guerra agli sgoccioli e dell’occupazione. Pur nelle metamorfosi subite – bimestrale, trimestrale, monografica sul cinema muto italiano e ora in uscita ogni quattro mesi, e poi ovvi cambi di copertina, di impostazione culturale, di ragione sociale in quando il CSC è diventato dal 1999 Fondazione – ha sempre avuto prestigiosi direttori come Luigi Chiarini negli Anni Quaranta, Lino Micciché e Fernaldo Di Giammatteo, e dopo il Duemila, Leonardo Quaresima, Alberto Crespi, Felice Laudadio, l’attuale. Il quale firma l’editoriale di questo ultimo numero, intitolato “Netflix e oltre”.

Si squarcia infatti la frontiera più innovativa e in evoluzione del modo di fruire cinema: non più nel buio della sala cinematografica e nella suggestione della visione collettiva, ma attraverso il mezzo digitale e il supporto del computer. Pellicole in streaming che hanno rivoluzionato la distribuzione e dilatato smisuratamente la platea del pubblico. Un cambio epocale visto con diffidenza eppure impostosi nell’olimpo del cinema d’autore se è vero che andrà su Netflix il film più atteso dell’anno, The Irishman di Martin Scorsese, costato, sottolinea Felice Laudadio nell’editoriale, 175 milioni di dollari, il record per le opere del regista di Gangs of New York. Sarà presentato alla Festa del Cinema di Roma il 21 ottobre, a novembre passerà in alcuni cinema selezionati e dal 27 dello stesso mese si insedierà appunto sulla piattaforma. Commenta Laudadio che al netto delle perplessità sul nuovo tipo di fruizione «gli spettatori stanno vedendo e vedranno sulle piattaforme e su qualunque altro tipo di supporto digitale (prerogativa soprattutto dei giovani), molti più film, indipendentemente dalla loro qualità di quanti ne potrebbero vedere andando in sala o sulle free tv stracolme di insopportabili spot pubblicitari». Insieme, lieviteranno le serie televisive, spesso realizzate da maestri del cinema che «come sostenevano Bernardo Bertolucci e Ettore Scola, spesso risultano per qualità di gran lunga superiori a quella del cinema di oggi».

Obietta il filosofo-cinefilo Giulio Giorello nell’articolo che segue, “Il nuovo ordine digitale”: «Non sempre più vuol dire meglio». E fa l’identikit del nuovo spettatore-solitario: il quale può rimodulare a suo piacimento i tre elementi base del cinema: immagini, parole e soprattutto il tempo cinematografico, che impone un argine alla lunghezza di ciascuna pellicola. Con il film in piattaforma potrà fermare una scena, eliminare parole e musica, tornare indietro per rivedere alcune sequenze. «Non dico che si sentirà lui stesso il nuovo regista del film, ma la tentazione c’è». Le tentazioni sono pericolose, come quella della routine «Ma sta a noi liberarcene… con una prova di autonomia intellettuale e (direi quasi) di indipendenza politica».

Gli altri contributi su Bianco e Nero (480 pagine italiano/inglese, 24 euro, abbonamento annuale 32 euro) sono tra gli altri di Alberto Crespi e Alberto Barbera.

Altra longeva testata, Lazio ieri e oggi, fondata più di mezzo secolo fa da quel cultore di antichità, arte, tradizioni e territorio che è Willy Pocino. Il trimestrale è pubblicato da Edilazio, la casa editrice dallo stesso Pocino inventata. E vanta nel comitato d’onore di studiosi e storici come Claudio Strinati, Romolo A. Staccioli, Vittorio Emiliani, Francesco Sisinni. Carta patinata, ricco corredo fotografico, squarcia luoghi meno frequentati del Lazio, scava in personaggi che nei secoli hanno animato la nostra regione. Si trova in alcune librerie al centro di Roma (la redazione è in via Taranto), ma soprattutto arriva in casa per posta sottoscrivendo un abbonamento (50 euro l’annuale, www.edilazio.com).

Campeggia nel primo saggio del numero in corso una celeberrima foto: l’Apollo di Veio, il dio boccoluto plasmato nella terracotta rossa, tipico manufatto etrusco. Ebbene, Claudia Guarisco e Antonmario Pieragostini propongono un viaggio al Santuario di Portonaccio a Veio. Come dire, un tour nel mondo etrusco alla porte di Roma, là dove la periferia è cresciuta spesso disordinatamente e il traffico incombe. Invece l’oasi etrusca riporta indietro di quasi tremila anni, prima della fondazione di Roma. Veio era presso l’attuale Isola Farnese, fiorente per il commercio di sale tratto dalle rive del Tevere, grande quanto Atene, testimoniò Dionigi di Alicarnasso. Entrò nelle mire di Roma, i primi scontri già con Romolo, la definitiva sconfitta nel 396 avanti Cristo, allorché soldati dell’Urbs la invasero uscendo da un lungo cunicolo scavato di nascosto. Ecco la foto che riproduce la spianata della sua imponente area sacra, in località Portonaccio, accostata a una rupe di tufo sovrastante il torrente Cremera, affluente del Tevere. Oltre che Apollo ed Ercole si venerava “Menerva”, l’antenata della saggia dea romana. Tratti di basolato, resti di cunicoli per il drenaggio delle acque, di mura fondanti dei templi sono nelle preziose immagini che modulano l’articolo di Pieragostini e Guarisco.

Con un salto di duemila anni, arriviamo al 1700 grazie al piccolo saggio di Stefania Severi dedicato al “micromosaico romano”, tecnica capitolina che fu sollecitata dalla Reverenda Fabbrica di San Pietro per la riproduzione di dipinti. E che si applicò poi a tabacchiere, piccoli tavoli, oggetti da toeletta, spille diventando una moda ai tempi del Grand Tour: nell’area del Tridente (Corso, Babuino, Ripetta) c’erano a fine XVIII secolo sessanta botteghe. Un’arte applicata che languì nell’Ottocento, sicché ora esemplari di micromosaico da poter acquistare ce ne sono pochissimi e bisogna accontentarsi di quelli esposti nei Musei Vaticani, Napoleonico e di Villa Giulia. Nel sommario di Lazio ieri e oggi spicca tra gli altri un ricordo del tenore Giacomo Lauri Volpi firmato da Pocino nel quarantennale della scomparsa. Anche lui, nato a Lanuvio nel 1892 da povera e sfortunata famiglia ma capace di diventare divo del bel canto, volle collaborare alla rivista, profondo conoscitore com’era del territorio e della sua cultura.

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