Gino Agnese
Considerazione sulla Gnam

Rincardiniamo l’arte

La discutibile sistemazione delle opere alla Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma è documentata in un catalogo-mattone che resta perlopiù invenduto. Del resto già il titolo dell’improbabile assemblaggio -“Time is out of joint”- strizza l’occhio all’antagonistica “politica dell’estetica”

Di solito i cataloghi delle mostre sono già pronti in vista del vernissage. Invece il catalogo di Time is out of joint (Il tempo è fuori dai cardini – Il tempo è scaduto), come s’intitola l’assemblaggio pluritemporale di quadri sculture et cetera che dall’ottobre 2016 dà volto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, accusa oltre due anni di ritardo. Ben si può capire perché resti impilato nel bookshop. Prezzo 38 euro, si tratta di un librone di 681 pagine (91 più del catalogo del MoMA di New York) che riserva un terzo di sé agli scritti d’una trentina di autori, quasi tutti impegnati ad avallare la “filosofia” a cui s’ispira la promotrice dello spettacolare assemblaggio: Cristiana Collu, direttrice dal 2015.

Un mattone da un chilo e mezzo, un’edizione scadente. Ciò che vale segnalare, è che il librone costituisce una prova inaudita della mutazione che progressivamente ha interessato i cataloghi delle esposizioni. Ai tempi, essi nascono come servizio al visitatore. Per pochi spiccioli, piccole guide di quel che c’è da vedere. Poi, anni del “miracolo economico”, i cataloghi cominciano ad attrarre due floride convenienze: quella dell’editoria pretensiosa e quella degli autori in caccia di titoli utili per i concorsi a cattedre o ad altri incarichi. Negli anni Settanta e successivi, la tendenziosità politica spesso entra arrogante nelle pagine. Ma il caso del mattone è differente. Esso è un ipertesto che celebra l’assemblaggio realizzato in Galleria e accredita come ottimale e “democratica” la decostruzione delle conoscenze e delle esperienze. In forza di questa vantata eccellenza, ogni consueta collocazione-rappresentazione delle opere nel tempo, il tempo inteso come intervallo tra l’ante e il post, costituirebbe una violenza, una sopraffazione autoritaria. È la negazione della cronologica narrazione storica – quindi anche della storia dell’arte come s’insegna in ogni grado dell’istruzione pubblica – per iniziativa di chi non è chiamata a promuovere vertiginose dialettiche sul tempo e che in questo ruolo improprio persevera, visto che ha in programma per i prossimi anni un altro allestimento, dedicato alla durée. (Ciao Bergson!).

Siamo a un revival delle appassite ideologie francesi degli anni sessantottini, anni che recuperarono in area comunista trascorse giovanili baldanze di tutt’altro segno, per esempio la simultaneità futurista de il tempo e lo spazio morirono ieri, echi a loro volta della scoperta di Einstein. Un revival che nella Galleria di Valle Giulia (il più grande e prestigioso spazio d’arte moderna e contemporanea) omaggia l’antagonistica “politica dell’estetica” dei nipotini di Althusser, fatta propria da lor signore e signori della Direzione.

 

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