Angela Scarparo
Web e capitalismo

Influencer Capitale

Le regole del capitalismo sono ferree: tu vendi e io compro. E se qualcuno fa vendere più di un altro, è un buon imprenditore. E basta. Ecco perché, accettata questa regola nefasta, prendersela con Ferragni e Co. non ha senso

Il problema è questo: finché si trattava della ragazza bionda della Peroni nessuno si sognava di dire: «Supponente», «Materialista», «Chi si crede di essere?». Anzi: per i maschi era un “sogno erotico” e per le donne un tipo da imitare o di cui essere gelose, a seconda dell’attitudine personale. La cosa certa è che quella bionda aveva scelto una “strada di dissolutezza” («Ma quanto vuoi che paghi, la Peroni?»), che in parte risarciva le gelose e in parte sollevava i maschi dai sensi di colpa. Solvi Stubing, così si chiamava, era considerata una figura a mezzo: fra una cattiva attrice e una che non sa far altro che accostare la sua voce, e, soprattutto, il suo corpo a una birra (anche un po’ scadente).

Oggi, il fatto che una esile donna bionda (non la nomineremo perché è così universalmente famosa da non essercene bisogno), solo accostando il suo viso a quello di una borsa, o di un passeggino per bambini, faccia aumentare di vari zeri il fatturato dell’azienda produttrice è qualcosa che proprio non va giù a molti di noi. Ci risulta invece facile far finta di non vedere, girarci dall’altra parte se il regista che amiamo, il critico in cui crediamo, fa da supporter al liquore X, ci dice di apprezzare i prodotti Y, e a volte finiamo per apprezzarli davvero, quei prodotti. Perché i nostri amici sono “colti” e nella “cultura” noi, che siamo bravi e ubbidienti, abbiamo fiducia. Non come quell’ignorante, sempre l’esile donna bionda, che ha fatto della sua vita un sistema “senza filtri”: l’importante è che chi la segue, compri.

Ora, personalmente vengo considerata dalle «amiche che mi vogliono bene» una «poverista/buonista» e, in quanto tale, penso che nessuno dovrebbe essere costretto ad accostare, per campare, le proprie ciglia a un nuovo mascara. Penso pure che tolte due paia di scarpe, il terzo paio serva soprattutto a fare polvere nella scarpiera. Però mi rendo conto che «il capitalismo funziona così» e allora quello che non accetto è il sistema delle due misure. Se una bionda mette su un’azienda di sedici dipendenti vuol dire solo che ha capito come funziona, questo capitalismo, non che voglia rovinare «la nostra gioventù». Ha capito come si mette su una aziendina: e, se non sceglierò mai sua mamma come l’amica del cuore, non è perché la disprezzi (e perché dovrei?), ma solo perché immagino che mi annoierei a fare una vacanza con lei (cosa che prevedo reciproca). Del “budget” non parliamone proprio.

Starei però attenta a chi, in nome della “cultura” (parola ormai “orrenda”, come suggerisce Aspesi) spaccia alla “nostra gioventù” film brutti, libri scadenti, spettacoli pasticciati, senza capo né coda. Starei, in due parole, attenta a chi segue il “sistema della concertazione”: “c’era al tale Festival: va visto”, “l’ha promosso il regista Tal dei Tali: va comprato”, “c’è la Fiera Z, se non vieni sei uno snob”. Nota a margine: le banche (e non solo quelle locali) sono sempre presenti a queste iniziative (“Avere credito” è un vantaggio, non un insulto: come sa bene chi non ha nessuna possibilità di accedervi): e sono presenti benché, spesso, queste iniziative siano finanziate con soldi pubblici. Nulla di male, solo ricordiamocelo.
Basta rassegnazione: chiunque può trovarsi a corto di denari. E a chiunque, proprio come a Solvi Stubing (ma con minor fortuna), può capitare di “fare una pubblicità”. Chi, invece, riesce a capire e, soprattutto, praticare la cultura che lega “pubblicità” e “mercato” (che è questa: “vali tanto quante sono le borse che mi fai vendere”), diventa, a tutti gli effetti, anzi è: una che si è inventata “un lavoro”. Per quanto “pacchiano”, “strano”, o “materialista” sia, o possa sembrare.

In più: le donne non ne saranno mai gelose ma cercheranno i prodotti che pubblicizza, e gli uomini, lungi dal fare su di lei pensieri sporchi, la considereranno “una brava imprenditrice”. Volete mettere? Delle due l’una: se accettate il “capitalismo” sappiate accettare chi è più brava di voi, e se no criticatela, ma sul serio, però. Non nel solito, “macchiettistico”, modo che la commedia all’italiana ha così tante volte illustrato. C’è una terza possibilità che, anche questa, fa ridere, anzi ridacchiare tanti: riprendere a parlare di “capitalismo”. Magari prima di tutto coi nostri figli.

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