Alessandro Boschi
Il nostro inviato al Lido

Miracolo Martone

Parte bene la Mostra del cinema di Venezia: il film di Polanski, malgrado le polemiche, racconta la storia (il caso Dreyfus) in modo sorprendente e l'Eduardo di Mario Martone coniuga magnificamente teatro e cinema

L’edizione numero 76 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia sta entrando nel vivo e, giunti al giorno quattro, crediamo sia possibile fare già un primo bilancio. Che, al netto della polemica innescata delle affermazioni della presidente della giuria Lucrecia Martel (“Non applaudirò Roman Polanski”), è decisamente positivo. Leggendo alcuni dibattiti su quello “sbaglio” che è Facebook, definizione data da un regista che stimiamo molto, siamo addivenuti alla conclusione che non se ne uscirà mai: ognuno ha le sue ragioni, le motiva e le sostiene. Per il resto, la pensiamo grossolanamente come Clint Eastwood, che sulle idee applica un principio piuttosto definito e colorito al quale noi, non essendo Eastwood, né Polanski né tanto meno Martel, possiamo solo alludere.

Detto questo una breve considerazione si impone, non tanto sul motivo del dibattere, quanto sul metodo. Dal nostro punto di vista si sarebbero dovute verificare due cose. La prima è che una presidente di giuria che si esprime in quella maniera avrebbe dovuto avere la coerenza di dimettersi, perché è evidente che il film in questione, che dovrà giudicare, verrà palesemente penalizzato. La seconda cosa riguarda invece la produzione stessa del film, che avrebbe dovuto ritirare la pellicola in quanto non si può accettare di partecipare ad un concorso dopo quelle dichiarazioni. In pratica è lo stesso problema visto da due punti di vista differenti. Interessante anche la considerazione in merito fatta dal direttore Alberto Barbera, che afferma che un’opera, una volta rilasciata, non appartiene più al suo autore. Esattamente il contrario di quanto affermato dalla regista presidente di giuria. Qui ci troviamo d’accordo con il direttore, al 100%. Se voi pensate che Michelangelo abbia dipinto la Cappella Sistina in quanto chiamato da Dio per i suoi principi morali siete completamente fuori strada. La consustanziazione di una qualsiasi opera artistica con il suo autore ci porterebbe ad un disastro inimmaginabile. Dovremmo rivedere i nostri giudizi su Caravaggio e tanti altri simpatici delinquentelli di talento. Il film di Roman Polanski, J’accuse, comunque, è un grandissimo film. Che ci racconta il caso Dreyfus da un punto di vista completamente differente, ovvero da quello del capitano Georges Picquart interpretato da Jean Dujardin. Che poi in filigrana ci sia anche un po’ della persecuzione alla quale il regista è stato ed è sottoposto è piuttosto verosimile, ma per i motivi riassunti sopra è anche del tutto secondario.

Il film di Mario Martone, Il sindaco del rione sanità, tratto dall’opera di Eduardo De Filippo, è un altro grandissimo film. Scrivendo di Capri – Revolution, qui a Venezia anno scorso, ci eravamo detti nostalgici del Mario Martone più verace, meno addomesticato. Ecco, qui il regista napoletano è andato oltre, realizzando un film che è mescola perfetta tra cinema e teatro. Il Martone cinematografico ci ha sempre convinto meno rispetto al Martone regista teatrale, ma qui le due dimensioni, anche grazie ad un cast eccezionale dove spicca il protagonista interpretato da Francesco Di Leva, hanno trovato un perfetto equilibrio, una dimensione che sembra un piccolo miracolo e che incolla lo spettatore alla poltrona. I duetti a distanza ravvicinata con Massimiliano Gallo e Roberto De Francesco sono indimenticabili. Ecco, forse il segreto sta nell’occupazione dello spazio, che rivelando la dimensione teatrale dell’opera di Eduardo non toglie nulla alla spettacolarità emotiva che il cinema amplia per sua stessa natura.

Altri film visti: Marriage Story, di Noah Baumbach, a dicembre su Netflix. Ottima scrittura, un po’ compiaciuta, e grande prova dei due protagonisti Adam Driver e Scarlett Johansson. Ad Astra, con Brad Pitt, che ci piace sempre più, ma noiosetto e già visto. Ammettiamo però che i film che si svolgono nello spazio, Stanley Kubrick e Antonio Margheriti a parte, non ci hanno mai entusiasmato.

Chiudiamo con il film di apertura, La véritè, di Kore-eda Hirokazu. Dal vincitore di Cannes 2018 con Un affare di famiglia, ci saremmo aspettati un po’ più di coraggio. Il film, interpretato da Catherine Deneuve e Juliette Binoche, è la prima produzione europea del regista giapponese. Funziona, è scritto bene e interpretato benissimo. Ma è un film francese, Kore-eda non c’è. Sembra quasi un omaggio al cinema francese di un regista che in qualche maniera voglia ringraziare per l’opportunità fornitagli. Cosa di cui non dovrebbe avere bisogno.

Ultimissima considerazione. Conoscete la differente posizione rispetto alle piattaforme televisive della Mostra di Venezia e del Festival di Cannes: Venezia è realista, Cannes è fondamentalista. Più o meno. Fino a poche edizioni fa quando appariva il logo di Medusa si sentivano dei fischi. Adesso l’insofferenza si è trasferita sulla società californiana. Insomma, la mamma dei fischiatori continua ad essere sempre incinta.

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