Erminia Pellecchia
Il compleanno di un Maestro

Cavalier De Simone

Sornione, isolato e venerato, Roberto De Simone ha festeggiato se stesso "regalandosi" un concerto e un libro: tracce del suo passato rivolte (come una lezione di teatro) al futuro. Non solo della sua Napoli

Milleventisei like, centoquarantotto condivisioni, trecentocinquantotto commenti: gli auguri di compleanno a Roberto De Simone fioccano sulla sua pagina facebook. Sono le testimonianze d’affetto sincere allo studioso ed all’artista, con l’augurio di poter godere a lungo delle invenzioni straordinarie di un umanista antico e contemporaneo la cui ricerca non ha confini. Quei messaggi spontanei colmano una lacuna. Già. I media hanno dimenticato – 86 anni non fa titolo – la data del 25 agosto che De Simone ha festeggiato, come da rito, nella bella casa dal tempo sospeso di via Foria, visita ammessa a pochi intimi. O forse giornali e tv hanno volutamente messo da parte questo profeta dei mali d’Italia, “grillo parlante” dall’intelligenza scomoda e inascoltata, la cui voce trasparente di pensatore etico ed eroico, in questi giorni di caos politico e di consorterie, di volgarità e non di dignità, non sarebbe stata certo gradita. Così come lo hanno ignorato le istituzioni, d’altra parte da sempre distratte, tranne qualche raro guizzo, nei suoi confronti.

Tant’è. Lui, il Maestro, la festa di popolo l’ha avuta il 7 luglio al Palazzo reale di Capodimonte con il grande concerto sinfonico corale – quattro orchestre sistemate con effetto stereo in quattro angoli del belvedere, quattro pianoforti, più di cento coristi, la voce solista di Anna Rita Gemmabella, sul podio il nipote Alessandro De Simone – che ha inaugurato il “Luglio musicale”. Un happening con la folla stipata per ogni dove e, alla fine, una standing ovation entusiasta. De Simone, neo Cavaliere di Gran Croce (l’onorificenza del Quirinale gli è stata appuntata in serata dal direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger) è felice come un bambino, gli occhi luccicanti, orgoglioso del successo strepitoso di un (capo)lavoro cui pensava da quarant’anni immaginando come scenario, come ha confessato, i Giardini di Boboli a Firenze: “L’ho strutturato attraversando tre secoli, il Settecento con Mozart, l’Ottocento con De Leva, ottimo musicista oggi poco frequentato, e la nostra epoca con una mia composizione”. Un sogno ad occhi aperti per chi ha assistito ad uno spettacolo unico, travolgente, partorito dal genio di un compositore che si dichiara “metastorico con un piede nel passato e un altro proiettato nel futuro”.

Un canto d’amore per un mondo apparentemente felice che non c’è più, guardato con nostalgia ma senza rimpianto, e scandito dalla Serenata K286 di Mozart e dalla Serenata Napolitana, firmata Salvatore Di Giacomo-Enrico De Leva. Ecco A Capemonte, nella splendida traduzione “Capomonte” di Pier Paolo Pasolini e nella sublime orchestrazione di De Simone, suggestionare e suscitare visioni: tra gli alberi secolari del parco danzano le ombre delle “più belle donne di Napoli”, col re e la regina che ballano la tarantella con loro, Maria Carolina che indossa maschere bellissime, le stesse che possiamo ammirare oggi nella biblioteca di San Pietro a Majella. “Un mondo – riflette il musicologo – che l’Unità d’Italia aveva messo a tacere per sempre”.

Una serata magica. Giocata, nello stile del Maestro, “con la sua sapienza coltissima e popolare”, scrive sul Mattino Titta Fiore in un recente articolo in cui ricrea le atmosfere della casa-museo vivo di De Simone, con gli oggetti “che ha contribuito a salvare della dimenticanza”, e traccia il ritratto di un intellettuale a tutto tondo, che a Napoli, “nella città-mondo, solo all’apparenza appartato, ha continuato ad essere un presidio di resistenza culturale e umana con le armi che gli sono proprie: studiando, conoscendo, creando”. E regalandoci i parti preziosi della mente e del cuore di un uomo che non ha mai creduto alle catalogazioni, alle differenze e che è poeta, musicista, narratore, antropologo, drammaturgo, regista insieme senza essere mai banale.

Tra gli ultimi doni il libro in due parti “L’oca d’oro. Commedia dell’Arte e del Mistero”, finalmente pubblicato da Einaudi nella “Collezione di Teatro” a 41 anni dall’assaggio (Teatro Tenda di Roma, 29 giugno 1978, presente De Filippo) in embrione all’evento “Lieta serata con Eduardo e i suoi compagni d’arte”, presentatore Vittorio Gassman che definì l’operina inedita “una pulcinellata”. E che è, invece, l’esempio del teatro totale di Roberto De Simone, un teatro che è recitazione, canto, effetti scenici, che contiene tutte le lingue, che è generoso, vitale, scolpito dallo stupore e dalla potenza del sogno. Un teatro luminoso, semplice e complesso, permeato di magia e di energia. Forgiato, per dirla con Ruggero Cappuccio, “nell’idea di una convivenza sensuale tra alto e basso, eternità e attimo, sopra e sotto, documento e invenzione”.

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