Giuseppe Grattacaso
L'Italia di Salvini e Di Maio

La lingua immorale

L'escalation immorale e volgare del linguaggio del ministro dell'Interno tende a far credere che i problemi si possano risolvere con un urlo o uno slogan. Come nel mondo irreale dei supereroi. Così, lentamente, siamo tutti diventati protagonisti di un fumetto dell'orrore

La crisi relativa al linguaggio, di cui il nostro Paese è oggetto, andrebbe vissuta ed affrontata come una vera e propria emergenza. Gli effetti, già ora piuttosto evidenti, rischiano di diventare, con il passare del tempo, devastanti e recuperabili solo a fronte di un lungo lavoro di ricostruzione. Provo a riassumere in maniera alquanto sintetica e dunque inevitabilmente approssimativa: se nel recente passato, il linguaggio sciatto, volgare e rozzo si era progressivamente diffuso tra i più giovani e appariva tollerato in certi ambiti sociali e in certi contesti, ora una buona parte degli italiani, di ogni livello culturale, lo considera elemento di forza per una comunicazione più diretta e chiara. Soprattutto per quanto riguarda la diffusione delle scelte politiche, sono sempre in maggior numero coloro che ritengono che superficialità di contenuti, estrema povertà sintattica e regressione lessicale siano buon viatico alla accessibilità del messaggio.

I commenti che hanno accompagnato le ultime fasi della vicenda della Sea Watch 3 e dell’arresto della Capitana Carola Rackete sono emblematici, così come la straripante mole di tweet che il ministro dell’Interno Salvini dirama quotidianamente, spesso in sostituzione di note ufficiali.

La questione non è di scarsa rilevanza. Se un alto rappresentante delle Istituzioni può usare la lingua in maniera superficiale, tendenziosa, violenta e inesatta, perché non dovrebbe farlo chi, trovandosi al bar, in un ufficio pubblico, a scuola, non sta rappresentando in quel momento nessun altro che se stesso?

Salvini scrive il 29 giugno: «Comandante fuorilegge arrestata. Nave pirata sequestrata. Maxi multa alla ONG straniera. Immigrati distribuiti in altri Paesi europei. MISSIONE COMPIUTA». E ancora nella stessa giornata, «Giustizia è fatta», «Sulla nave fuorilegge, la sinistra va a letto con un pensiero fisso in testa. Prima gli italiani? No, prima i clandestini», «Ho scritto al mio collega olandese e non mi ha risposto, ma io non voglio fare la figura del fesso. Siamo un grande Paese che non prende lezioni da nessuno». E via di questo passo, in un profluvio di offese, minacce, esaltate affermazioni di se stesso e del proprio lavoro. Da Genova a Lampedusa i tweet si contano nel numero di trenta in una sola giornata, tutti però con la stessa protervia, con la stessa volontà di diffondere facili e tendenziose, oltre che inesatte, parole d’ordine: la Sea Watch 3 è una “nave pirata”, la Comandante è “fuorilegge”, ma poi, in un altro messaggio, diventerà “criminale” quando tenterà di “schiacciare” l’imbarcazione della Guardia di Finanza. Gli immigrati che sono “distribuiti” ai Paesi europei (per ora sono però ancora a Lampedusa) come carte su un tavolo di gioco, sono però, cosa evidentemente impossibile se già identificati, dei “clandestini”. Gli altri Paesi agiscono tutti deliberatamente contro la nostra volontà di fare giustizia, ma Salvini non vuole fare “la figura del fesso”. La realtà che ne viene fuori è semplice: i buoni contro i cattivi, il supereroe che vuole mettere le cose a posto e gli altri non glielo lasciano fare; gli italiani che dovrebbero venire prima degli altri popoli e la sinistra, i Paesi stranieri e l’Europa che non vogliono; la necessità di risolvere i problemi con le prove di forza.

È il linguaggio degli ultras, dei bulli, della manovalanza criminale. È il linguaggio, una volta si diceva “da bar”, di chi pensa di avere sempre una soluzione in tasca, perché il mondo è immediatamente comprensibile, o è bianco o nero, allora come si fa a non capire… È un mondo tanto semplificato quello di Salvini e dei suoi fans (l’espressione “nave pirata” l’ho vista riprodotta in decine di post) da produrre percezioni distorte e irreali, miracolose e fallaci.

Il risultato di questo modo di comunicare è sotto gli occhi di tutti. Ora tutti possono scrivere e parlare così, in un italiano becero e fuorviante, senza ritegno e senza vergogna, senza paura di essere tacciati di pressapochismo, di cialtroneria, di violenza. È il linguaggio del ministro dell’Interno, azionista di maggioranza del governo, vicepresidente di un presidente spesso muto o capace di una pavida eloquenza inconcludente: perché lo stesso modo di esprimersi non può essere esibito, finalmente con la sicurezza di chi sta facendo bene, dalla casalinga e dalla manager d’azienda, dall’impiegato e dal muratore, dall’insegnante contro gli studenti e dallo studente contro gli insegnanti? Ci sentiamo tutti al di là della dogana, finalmente liberi di usare la lingua per dare sfogo, non solo quando siamo allo stadio, ai nostri istinti più bassi. La nostra immoralità linguistica ci serve a rendere il mondo più semplice, perché si sa è il linguaggio ad inventare il mondo.

Il problema è che la semplicità è un punto d’approdo a cui si accede attraverso un percorso complesso e tortuoso. Si può essere semplici, senza essere banalmente disonesti, solo accettando e facendo i conti con la complessità della realtà. È questo il modo, per dirla con Umberto Saba, attraverso il quale la parola può essere “onesta” pur nella sua estrema semplicità. È quello che resta da fare dunque a tutti noi, produrre e pretendere parole oneste.

Appare perciò pericoloso continuare a parlare di Salvini come un bravo comunicatore e dunque un abile politico. Lo dicono tutti, i commentatori e anche i suoi avversari politici. Questo può essere vero solo se si ritiene che la comunicazione politica non abbia come scopo quello di analizzare la realtà e, nel caso, di cambiarla, ma quello invece di banalizzarla e di renderla riassumibile in facili slogan da urlare (tutte maiuscole) nella curva di uno stadio. La comunicazione di ogni tipo, a maggior ragione quella di carattere politico, non può avere l’obiettivo di parlare, come si dice oggi con metafora di indubbia efficacia, alla pancia delle persone.

Salvini, come Trump, vorrebbe farci credere che si può decidere appunto con la pancia e non con il cervello, che il mondo può essere modificato attraverso menzogne, provocazioni. facili parole d’ordine. E questo è profondamente disonesto ed estremamente pericoloso, soprattutto per le generazioni più giovani. È questa disonestà del linguaggio che ci aggredisce ogni giorno e che rischiamo diventi il modo di comunicare più diffuso.

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