Francesco Improta
A proposito de “L’apprendista amante”

Capri d’America

Arriva in Italia il romanzo di Jay Parini (ambientato fra Capri e la Costiera) che racconta il rapporto conflittuale della cultura americana con i paesaggi più decadenti ed estetizzanti della "vecchia" Europa

Dopo sedici anni dalla sua pubblicazione negli Stati Uniti, arriva in Italia, nella bella e abbastanza fedele traduzione di Angelo Cannavacciuolo, L’apprendista amante di Jay Parini (A est dell’equatore, pagg.403, 18 €). Partendo dal presupposto che tradurre è sempre un po’ tradire, devo riconoscere che Cannavacciuolo ha mantenuto la curio­sità e il distacco necessari in un’operazione del genere; la curiosità del lettore attento che cerca di cogliere tutte le implicazioni e le valenze del testo da tradurre e il distacco di chi lo deve trasferire in un’altra lingua, conservandone il ritmo e l’essenza. In questo Cannavacciuolo è stato avvantaggiato dalla sua amicizia con l’autore, dalla cono­scenza dei luoghi in cui è ambientata la vicenda (Capri, la Costiera amalfitana, Salerno e Paestum) e da alcune tematiche comuni, come il binomio Arte/Vita ora felicemente risolto ora sfociato in un’insanabile contraddizione.

Jay Parini si è cimentato con buon successo in tutti o quasi i generi letterari, dalla poesia alla saggistica, alla narrativa, tanto da meritarsi dal The New York Times l’appellativo di pentatleta letterario, ma si è imposto all’attenzione di pubblico e critica soprattutto con le biografie romanzate, genere che ha profondamente innovato, penso in particolare a Benjamin’s crossing, in procinto di essere portato sul grande schermo, e The last station, la cui trasposizione cinematografica qualche anno fa ha ottenuto diverse nomination agli Oscar.

L’apprendista amante è ambientato nel 1970, durante quella incomprensibile ed orrenda tragedia che fu la guerra del Vietnam, ed è incentrato sulla figura di Alex Massolini, un giovane studente di chiare origini italiane. Frequenta la Columbia University ed è a un passo dalla laurea in Letteratura. La morte, però, del fratello maggiore Niky, durante una ricognizione nella giungla vietnamita, accentua l’insod­disfazione di Alex che mal tollera l’affetto opprimente della madre e i progetti che sono stati fatti sul suo futuro, gettandolo in un profondo stato di prostrazione e di immedicabile dolore. Decide, quindi, di abbandonare gli studi e la famiglia e di recarsi in Italia, dove accetta un lavoro di segretario/apprendista presso un famoso scrittore di origine scozzese Rupert Grant. Grant vive a Capri, a Villa Clio, una dimora sfarzosa affacciata sui Faraglioni, con la moglie Vera, non più giovanissima ma ancora affasci­nante, e due giovani Muse, belle e sottomesse, Holly Hampton e Marisa Lauro teorizzando e praticando una totale libertà creativa e sessuale. All’ombra della sua personalità, irascibile e imprevedibile, ma sempre tirannica alla stregua di un antico imperatore romano – non è un caso che vengano riferiti, in una sorta di montaggio parallelo, eccessi e nefandezze di Tiberio, un egomaniaco, sessualmente contorto e onnivoro, che sull’isola aveva abitato negli ultimi anni del suo impero – la vita procede tra riti pubblici e privati, bagni di mare, cene appetitose e lunghe discussioni e polemiche, in cui sono coinvolti scrittori reali (Gore Vidal, Graham Greene, W. H. Auden) e personaggi fittizi, partoriti dalla fantasia di Parini, come Dominique Bonanno, che sembra uscito da un romanzo di Mario Puzo, Patrice, un giovane studente della Sorbona, dichiaratamente gay, il protagonista Alex, nella cui vicenda è possibile rintracciare qualche elemento autobiografico, e Rupert Grant, modellato sulla figura di Norman Douglas, letterato elegante e raffinato, additato come esempio di vita sibaritica. Non a caso egli pontifica: «La morale è per coloro che non credono in loro stessi». Mentre la moglie Vera si considera a tutti gli effetti una sorta di erede della sensibilità del gruppo di Bloomsbury.

A Villa Clio si discute spesso di letteratura e di scrittori e Rupert Grant, dall’alto della sua posizione di preminenza, riconosciuta dai più, esprime valutazioni e giudizi letterari, talvolta approfonditi e condivisibili come quello su T. S. Eliot e l’imagismo, talaltra sputati come sentenze inappellabili: Hemingway, un uomo sciocco, una figura minore, autore di spacconate e la poesia della Dickinson decisamente monotona. Alex, fragile e inesperto, si lascia irretire da quest’atmosfera “malsana” ma intrigante, pende dalla bocca di Grant che considera suo mentore e partecipa a quei riti, invaghendosi di Holly, senza apparenti speranze e cedendo alle lusinghe di Marisa, dopo avere schivato le attenzioni fin troppo elo­quenti di Vera. Nel frattempo, però, ha la possibilità di esplorare l’isola recandosi in devoto pellegrinaggio nei luoghi frequentati da scrittori e letterati del presente e del passato. Va a visitare Villa San Michele di Axel Munthe ad Anacapri e la villa, a punta Massullo, di Curzio Malaparte, del quale stigmatizza senza mezzi termini il trasfor­mismo politico che lo aveva portato dalla frequentazione di Galeazzo Ciano e Edda Mussolini alle simpatie per il popolo cinese a cui aveva lasciato in eredità la casa di Capri. Ci saranno ulteriori sviluppi in questa appassionante vicenda che non credo sia il caso di anticipare.

Il libro potrebbe sembrare a una prima lettura un romanzo di formazione e tale fu salutato dalla critica statunitense all’indomani della sua pubblicazione; l’equivoco probabilmente è stato determinato non solo dalla superficialità di tanta critica ma anche dal titolo stesso dell’opera che allude a un apprendistato esistenziale e amoroso. Si assiste, senza dubbio, all’educazione sentimentale e sessuale del giovane Alex che, approdato quasi vergine nell’isola del vizio e della trasgressione, viene risucchiato da questa vita glitterata e fascinosa, cedendo a facili lusinghe anche perché in cerca di compensazioni e risarcimenti, dopo l’insoddisfazione della sua adolescenza e il dolore per la morte del fratello, saltato in aria su una mina antiuomo. Ma il romanzo è molto di più. È una lucida descrizione di un clima culturale, psicologico ed erotico, particolarmente diffuso in quegli anni, ed è in questo clima che si inserisce un tema molto caro alla letteratura americana da Henry James in poi: lo scotto che gli ingenui, inesperti “bambinoni” americani devono pagare quando vengono a contatto con le decadenti civiltà europee di non riuscire, cioè, a mantenere la “veste immacolata”, finendo col contaminarsi.

Il romanzo, a mio avviso, è un’approfondita riflessione sui grandi temi del nostro tempo e non solo: la vita e la morte; il possesso e la perdita; la presenza e l’assenza; la natura e la cultura; l’America e l’Europa; lo spirito e il corpo; la commistione tra vita e arte, che si pratica a Villa Clio e non solo, tema quest’ultimo decisamente decadente quello, cioè, di vivere la propria vita come fosse un’opera d’arte. Fa da contraltare a questo mondo seduttivo e intrigante l’eco della guerra del Vietnam che infuria nel Sud-Est asiatico, senza motivazioni che non siano riconducibili alla politica colonia­listica e guerrafondaia degli Stati Uniti e Alex, quasi per non perdere il contatto con la realtà, per ancorarsi alla vita vera, per scrollarsi di dosso quella velenosa fascinazione, legge quasi ogni sera, prima di addormentarsi le lettere che il fratello Niki gli mandava dal fronte, intrise di amarezza e grani di saggezza, maturati nel contatto quotidiano con il pericolo e la paura, tra gli insetti, il fango e le ombre nella giungla vietnamita. Ed è la denuncia, ora indiretta ora esplicita della guerra e dei suoi orrori, o meglio dell’orrore della guerra, perché quello è l’unico vero orrore, a mio avviso, il tema principale del romanzo, con la conseguente accusa rivolta a Nixon, più volte apo­strofato con termini pesanti e negativi (macellaio, vizioso), e indirettamente a George W. Bush, responsabile della seconda guerra del Golfo contro la quale Jay Parini insieme con altri intellettuali americani aveva manifestato apertamente (non ci dimentichiamo che il romanzo è stato pubblicato nel 2003).

A livello strutturale, il romanzo si compone di sei parti, incorniciate da un prologo ed un epilogo, ognuna delle quali ha un titolo in latino che da un lato allude alle tematiche affrontate e dall’altro sottolinea l’amore di Jay Parini per il mondo classico; non a caso all’interno della vicenda si fa riferimento a Svetonio e a Tacito e si citano alcuni versi di Catullo. Da sottolineare tra i pregi del romanzo la varietà dei registri linguistici utilizzati e sempre con sapienza e abilità: da quello familiare, giovanilistico e confidenziale, spesso crudo ma diretto ed efficace, usato nella corrispondenza epistolare dal fronte, a quello raffinato ed elegante che contrassegna le discussioni tra artisti e intellettuali, a quello, infine, approssimativo e sgrammaticato, per scarsa conoscenza della lingua inglese, di Patrice.

Si tratta, come giustamente ha detto il traduttore Angelo Cannavacciuolo, di «un romanzo intenso, magmatico, incandescente, elegantemente scritto ed emoti­vamente coinvolgente».

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