Flavio Fusi
Cronache infedeli

La favola di Tim

Adelaide Cattaneo e Lina Senserini raccontano "Il mondo di Tim", un'avventura destinata ai più giovani ma che si propone come una metafora perfetta della vita. Dove la fantasia e l'illusione hanno lo stesso peso della realtà

Non c’è cosa più seria – e spesso più crudele – delle favole per bambini. Troppo tempo fa ce lo insegnavano le nonne nelle veglie serali, e più tardi ce l’ha confermato lo spietato raziocinio del professor Bruno Bettelheim. Così anche Il viaggio di Tim, ultimo arrivato di una sterminata letteratura di genere, che è il fantastico, arrembante, confusionario, serissimo racconto di una guarigione. In questa cronaca a due voci, Adelaide Cattaneo ha messo la mestizia del ricordo personale e l’allegria colorata delle illustrazioni, Lina Senserini la sapienza delle parole e il calore dell’amicizia.

C’è un prima non detto, da cui dipende tutta la storia. Il ragazzo Tim giace in un letto di ospedale, ferito nel corpo e nello spirito. Possiamo immaginare il dolore dell’anima per una sorellina che non c’è più, e insieme il dolore del corpo per un misterioso incidente stradale. Immaginare, questa è la parola. Come succede per tutti noi umani, immaginare è vivere: se Tim avrà ancora la forza di immaginare, Tim avrà la forza di vivere.

Immaginiamo dunque una torta a più strati. Lo strato più basso – diremo, la pasta frolla – è il più terreno, il più duro, la base di realtà: un bambino in pericolo in un letto di ospedale, circondato da medici, genitori, amici. Dalla terra degli uomini e dalle sue leggi spietate non si fugge, sembrano dire queste immagini.

Il secondo strato è invece più morbido e dolce, una crema fatta forse della “sostanza delle nuvole” per dirla con uno che di favole se ne intendeva. Le due autrici lo chiamano il Bosco delle rughe, un non-luogo abitato da gnomi compassionevoli, pieno di animazione, di amore e di colori. Un limbo magico in cui “nevicano bambini feriti”, dal cielo della terra.

Il terzo strato è amaro, turbolento, misterioso, e si chiama fiume proibito: “quasi tutti ne hanno paura, e nessuno spiega ai bimbi come trovarlo….chi si immerge nelle sue acque perde tutte le rughe, che poi non tornano mai più. Così il malcapitato resta sempre della stessa età e non riesce più a imparare niente dalla vita”. (Lo chiameremmo morte, questo fiume, se avessimo lo scrupolo di scienziato del professor Bettelheim).

Il piccolo Tim ha dunque davanti a sé una scelta: nel limbo del Bosco delle rughe, attorniato dai nuovi amici, diviso tra il dolore della perdita e il fuoco della giovinezza, dovrà decidere se tornare guarito sulla terra o incamminarsi verso il fiume proibito, da cui nessuno fa ritorno.

Questa è dunque la torta che viene servita, ma a cui si aggiunge tuttavia un ingrediente fondamentale. C’è una pioggia leggera di zucchero a velo, una nuvola dolce che avvolge ogni strato, e che si chiama – che noi lettori riconosciamo – la fantasia del ragazzo Tim. E di cosa sono fatte le fantasie dei piccoli? Ma diamine: di pellerossa al galoppo su agili puledri, di mandrie minacciose di bisonti, di sterminate pianure verdeggianti, di tamburi e fuochi nella sera, di maestosi capi indiani e di graziose fanciulle dalle trecce nere.

In questo MegaMegaMegaMostroSogno si addentra Tim, portandosi dietro l’amico Burberino, che nulla sa delle fantasie degli umani, vivendo da sempre nello smemorato Bosco delle rughe, ma che tutto sa per istinto dell’amicizia indissolubile tra piccoli. “Nel sogno cavalcava senza sella e senza briglie. Era armato di arco e di frecce, ammirato dal villaggio per la sua grande abilità. Il suo nome era Freccia veloce…”.

È infine questa pioggia di zucchero a velo, questa nebbia di fantasia, che salva Tim e lo riporta sulla terra. Lieto fine, come in ogni favola che si rispetti: “Nell’ospedale pediatrico si sentì ad un tratto una risata squillante come una campana che si espandeva da una stanza all’altra”. Ma ogni guarigione, avvertono le autrici, è anche una rinuncia. Per vivere, bisogna compiere l’ultimo atto di amore: lasciar andare chi alla fine ci abbandona per avventurarsi verso il fiume proibito.

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